Westworld: un primo sguardo alla nuova serie di Jonathan Nolan

Un cast d'eccezione - da Anthony Hopkins a Evan Rachel Wood - e la supervisione di Jonathan Nolan e J.J. Abrams: doveva essere una meraviglia, e lo è.

Westworld: un primo sguardo alla nuova serie di Jonathan Nolan
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Si definisce realtà tutto ciò che possiamo concretamente sperimentare secondo vari livelli di contesti, situazioni, esperienze. Toccare una cosa la rende reale, guardarla la rende reale, percepirla la rende reale. Eppure più ci avviciniamo all'essenza più ci rendiamo conto che mai come in questo caso la duplicità di un concetto non basta per contenere tutto ciò che in realtà questo termine rappresenta. Le cose infatti non sono solo reali o irreali, ma all'interno di queste due facce esistono molteplici sfumature, in cui si muovono le nostre esperienze e le nostre fantasie spesso mescolandosi tra di loro e mescolando lo stesso significato dei due opposti: proprio all'interno di questo spettro si muove spesso la cinematografia (il pensiero va ad esempio a Matrix sul grande schermo, o a Lost sul piccolo), ed è spesso proprio la misteriosa profondità di questa astrazione ad affascinare lo spettatore. Lo sapeva bene Michael Crichton, che nel 1973 diede vita a Westworld, pellicola che diventa oggi una serie TV grazie a due scrittori d'eccezione, Lisa Joy e Jonathan Nolan (anche in veste di produttore insieme a J.J. Abrams). Il distopico parco divertimenti a tema western è la quintessenza della mescolanza tra reale e irreale: le persone pagano per entrarvi e vivere un'esperienza nuova grazie a storie preconfezionate per loro e messe in scena da una serie di robot dalle fattezze umane chiamati host, che di fatto non sono altro che perfezionatissima carne artificiale da macello pronta a soddisfare ogni bieco e primordiale istinto umano. I primi uomini alla scoperta del "nuovo mondo" si scontrano con i pionieri della robotica: e come ai tempi della colonizzazione non c'è coscienza in Westworld, non c'è interesse nei confronti di questi robot umanoidi che tuttavia non sono altro che un fin troppo perfetto specchio di noi stessi, quasi indistinguibili, creati appositamente per addormentare qualsiasi tipo di morale ma arrivati ad un punto in cui, quella morale, dovrebbero davvero risvegliarla.


As good as it gets

Westworld è molto più ambizioso di quanto una semplice sinossi avrebbe potuto rivelare: già di fronte alla sigla iniziale (musicata da Ramin Djawadi, che in molti conoscono grazie a Game of Thrones) ci si rende conto di avere tra le mani un prodotto che finalmente chiude la congiunzione tra cinema e serialità, rendendoli ormai un indistinguibile unicum. Un ulteriore passo avanti in termini di regia e scrittura per un medium che si spinge sempre di più oltre i suoi limiti, e che stavolta sta tra le mani di Jonathan Nolan, in questo pilot sia regista che sceneggiatore, pronto ad entrare nei dettagli dei suoi personaggi, siano essi reali (come il direttore del parco Anthony Hopkins) o fittizi (come la host Evan Rachel Wood). Si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima, ed è proprio degli sguardi che fin dall'inizio Nolan si preoccupa, infilandoci nelle pupille dei protagonisti come se fossero porte verso la nostra personale percezione del reale. Destino, casualità, istinto: tutte cose che dentro Westworld non hanno alcun significato per gli host, ma che sono dominio assoluto dei divertimenti degli spettatori paganti di questa vita artificiale. Dov'è la realtà, dov'è la finzione? Ma soprattutto, possibile che l'uomo di fronte ad una perfetta civiltà da lui stesso creata abbia solo voglia di distruggerla con un downgrade di comportamenti e microchip? Sono molte le domande che Westworld pone allo spettatore, ma questo in fondo è solo l'inizio e le risposte, se arriveranno, non trovano ancora posto in questo mondo.

Le meraviglie dell'orrore

Non è un caso che Michael Crichton sia anche l'autore del romanzo Jurassic Park, da cui è tratta una delle saghe più conosciute della cinematografia moderna: anche in quel caso l'uomo giocava a fare Dio ricostruendo la vita in un parco divertimenti, senza rendersi conto di quanto possa essere pericoloso questo eccesso di ubris. Westworld tuttavia fa un passo avanti rispetto a questo scheletro narrativo, costruendoci intorno un immaginario ancora più doloroso e penetrante, perché fatto di volti, di mani e piedi, di cuori che non battono ma esistono. L'intreccio è più maturo, e Lisa Joy e Jonathan Nolan se ne servono alla perfezione creando delle stratificazioni finora inedite perfino per le serie più amate e rappresentative del genere: così come la già citata Lost ha rappresentato un punto di svolta per il genere, Westworld ha tutte le carte in tavola per fare il passo successivo, almeno ad una prima occhiata. Lo sviluppo narrativo della prima puntata getta infatti delle basi per una complessità architettonica potente ma allo stesso tempo familiare, come solo le grandi serie sanno fare: ci siamo, siamo lì, siamo dentro Westworld e siamo pronti a fare il nostro gioco. La speranza è quella di non essere delusi dall'esperienza, che tuttavia al momento è nientemeno che meravigliosa.