1993: Recensione della serie di Stefano Accorsi

Soubrette arriviste, politici corrotti, scandali, ambizioni. La serie targata Sky Atlantic continua sulla scia tracciata da 1992...

1993: Recensione della serie di Stefano Accorsi
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Che i vari romanzi criminali, da quelli sulla Magliana ai Savastano, abbiano fatto scuola è un dato di fatto, barlumi di qualità all'interno di un panorama mediocre. Sky Atlantic ha deciso di crearne quindi un marchio di fabbrica, aprendo la pista a quello che sembra un filone dalle uova d'oro. Pensiamo a Suburra, ad esempio; per la prima produzione originale italiana Netflix ha deciso di trasporre in serie il film di Sollima, guarda caso faro del rinascimento Sky, buttandosi sul genere di più sicuro impatto per l'esordio italiano negli original. Questo vuol dire che in Italia funzionano solo i crime di stampo storico sul crimine organizzato del Bel Paese? Assolutamente no, anzi, manifesta ancora una volta la nostra graniticità, l'immobilismo, l'incapacità creativa, il poco coraggio. Se una cosa funziona è meglio non cambiarla, non rischiare. Ed ecco che nel 2015 usciva 1992, serie sul periodo di mani pulite da un'idea di Stefano Accorsi. Un Gomorra fatto peggio, o un Il capo dei capi girato decisamente meglio, in sostanza questo quello che ci ritrovavamo. Il 6 Giugno sono usciti gli ultimi due episodi di 1993, manco a dirlo la seconda stagione di questo excursus sulla fine della prima Repubblica.

Gli intricati intrighi del potere

La serie riprende la sua caratteristica narrazione intrecciata, che vede il continuo avvicendarsi dei protagonisti già visti in 1992. Leonardo Notte (Stefano Accorsi), pubblicitario di Publitalia, continua la sua scalata politica, rimbalzando per convenienza tra i saloni di Arcore e via delle Botteghe Oscure, sede del PDS; Luca Pastore (Domenico Diele), poliziotto malato di AIDS al servizio di Antonio Di Pietro, continua la sua crociata contro la mala sanità, iniziando a scendere a patti con la sua malattia e iniziando un percorso di apertura al mondo; Veronica Castello (Miriam Leone), la soubrette dai facili costumi, sentendo il peso della precoce vecchiaia mediatica ha bisogno di qualcosa di nuovo per smuovere la sua carriera; Pietro Bosco (Guido Caprino) deve ancora trovare il posto che gli spetta nella Lega Nord, e tra situazionismo e compromessi è pronto a manovrare uno scontro tra i capi pur di ritagliarsi un angolino.

Poi c'è lei, la donna che nonostante la non eccelsa qualità fece parlare della serie due anni fa, Tea Falco. La sua Bibi Mainaghi torna più sobria, più composta, più comprensibile, prendendosi le responsabilità di famiglia sulle spalle, carica di una voglia di redenzione che la porterà al rischio di compromettere tutta la sua vita. Realtà e fiction ancora una volta si intersecano, mischiando le vicende di questi anti-eroi di carta alle vere vite dei protagonisti della politica italiana di fine ‘900. Come per la prima stagione però è proprio questo racconto alternato, interconnesso, a creare i maggiori dubbi.
Non sono racconti paralleli, tra di loro indipendenti, ma storie irrimediabilmente collegate, che riuniscono i personaggi, che tra di loro per ruolo, luogo, estrazione, dovrebbero essere completamente oscuri, come se fosse una delle tante fiction o soap opera a cui il pubblico italiano è sempre stato abituato. E non importa allora se finalmente c'è la discesa in campo di Silvio Berlusconi, con Paolo Pierobon finalmente inquadrato nei panni del Cavaliere, i fatti succedono tutti ai nostri protagonisti, e capitano tutti dove sono loro, i deus ex machina della storia italica. Succede di tutto, fino ai "mischioni" più impensabili, che portano ad un ultimo episodio carico di avvenimenti e colpi di scena più o meno telefonati.

Il peso della qualità

Eppure rimane un prodotto dalla indubbia qualità, soprattutto se calato nel panorama nostrano. Qualità tecnica impeccabile, figlia della grande produzione e tradizione Sky, accompagnata anche da una discreta vivacità interpretativa, che dalla, purtroppo o per fortuna, meno iconica performance della Falco, passa per la buona interpretazione della Leone, a quella ottima di Caprino, fino a quella media di Accorsi, che dove lo metti metti ha sempre la sua tipica espressione, un po' il Clint Eastwood o il Ben Affleck italiano.

Rimane sempre un peccato parlare di questo progetto. perché ha da sempre creato aspettative; perché il paragone con i suoi due padri putativi è inevitabile quanto imbarazzante; perché il materiale è di assoluto rilievo e parte integrante dei nostri giorni; perché dà sempre l'impressione di essere una mezza occasione sprecata. Mette tantissima carne al fuoco 1993, ma sembra gestita da un cuoco inesperto, non a suo agio con un barbecue così ricco, con il certezza che qualcosa si debba per forza bruciare. E si brucia. Non resta allora che attendere l'epilogo di questa trilogia, 1994, che una volta per tutte ci potrà dire se ne era valsa la pena o meno.

1993 - Stagione 1 Ancora una volta l’idea di Stefano Accorsi sembra non trovare la sua consacrazione, rimanendo a metà tra l’eccellenza produttiva di Sky Atlantic e la tradizione televisiva italiana.

6.5