Recensione Breaking Bad - Stagione 2

Mr.White e Jesse Pinkman di nuovo in combutta per sconfiggere la concorrenza (e il cancro)

Recensione Breaking Bad - Stagione 2
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Bianco e nero. Un rubinetto che perde, una lumaca su un muretto, un bicchiere lasciato sciogliere al sole. Poi lo shock: un occhio galleggia sulla superficie limpida di una piscina. Ci guarda prima di venire risucchiato all’interno del filtro di depurazione. No, non è l’inizio di un film d’avanguardia, ma uno dei leitmotiv d’apertura di questa seconda stagione di Breaking Bad. In onda dal 3 giugno su AXN, negli Stati Uniti ha da poco concluso la sua terza stagione. Vincitrice di due Emmy Award fra cui miglior attore protagonista (Brian Cranston), Breaking Bad si è imposta sulla scena dei serial televisivi per il suo carattere coriaceo e sensibile che ne fa uno dei prodotti più originali degli ultimi anni.

Sulle montagne russe della suspance

Avevamo lasciato il nostro professore di chimica Walter White ed il suo “peggior” allievo Jesse Pinkman in affari con il selvaggio Tuco. Produrre e spacciare metanfetamine non sembrava così difficile, almeno finchè il giro riguardava solo qualche migliaio di dollari. Ora che per Walt le spese sanitarie aumenteranno e la vita “a sbafo” di Jesse sarà drasticamente interrotta, il loro business avrà bisogno di una svolta radicale. Ma Albuquerque in New Mexico è un piccolo mondo e le vicende dei due “criminali da strapazzo” s'intrecceranno (ovviamente) con quelle di Hank Schrader (Dean Norris), cognato di Walt e agente dell’antidroga, che in certi casi si rivelerà più utile che nocivo. Gradualmente acquisterà importanza anche la vicenda familiare di Walt (sua moglie Skyler ha un bel pancione ma ha iniziato a fantasticare sulla doppia vita di suo marito). Il plot scorrerà lungo le montagne russe della suspance, uscendo per qualche boccata d’aria disimpegnata, per rientrare perfettamente nei binari e condurci ad un’emozionante finale.

Cazzotti visuali

Se Brian Cranston è l’assoluto protagonista della serie (dirige anche il primo episodio della stagione) anche il resto del cast se la cava egregiamente (buono l’ingresso di Krysten Ritter in qualità di “vicina” di Jesse), supportato dalla raffinata fotografia di Michael Slovis ed una regia dei volti e dei gesti che riesce ad umanizzare efficacemente tutti i personaggi della storia, anche i più cattivi. Altra arma segreta della serie è il montaggio. Stacchi sul movimento, sul suono e rari ma preziosi montage musicali, vanno a braccetto con il flusso della narrazione. Inoltre, ogni episodio si apre in genere con un flashforward volutamente ambiguo che viene mano a mano ricostruito lungo il corso della puntata. Il più ridondante è quello già citato in apertura, che nel corso delle 13 puntante viene arricchito di nuovi particolari ed infine svelato (ma non del tutto) nell’episodio finale. Seppur le location ed i personaggi si contano sulla punta delle dita, lo stile visuale di Breaking Bad riesce a catturarci nel vortice di situazioni sempre diverse ed inaspettate. La scenografia claustrofobica degli interni fa a cazzotti con i panorami desolati del New Mexico creando quel contrasto fra apparenze e inganni, vita e morte, che è uno dei temi portanti della serie ideata da Vince Gilligam (X-Files).

Mr. White & Mr. Pink

La chimica di Breaking Bad continua a fare effetto. La sua formula è composta da tanti ingredienti ed il suo staff (come viene presentato nei titoli di testa) è come un elemento della tavola periodica che si lega agli altri. Ma l’alchimia è una scienza antica e, nel nostro caso, attinge ai grandi maestri del passato (e del presente). Walter “Mr.White” e Jesse “Pink-man”: non vi ricordano niente? A noi decisamente l’omonima coppia di gangster, uno giovane, l’altro più stagionato, interpretati rispettivamente da Steve Buscemi e Harvey Keatel ne Le Iene di Quentin Tarantino. Uno affrettato, emotivo, senza scrupoli e l’altro riflessivo, diffidente, un criminale etico. Entrambi come bambini. Questo collegamento tarantiniano è supportato dall’impianto narrativo che come detto parte dalla fine per ricostruire (e determinare) all’indietro le sorti dei protagonisti (come in Le Iene, Pulp Fiction, Kill Bill) e dalla fitta rete di situazioni post-moderne per eccellenza (un mix di droga, cibo, sangue, risate, sesso) di cui è piena, troppo piena la serie. Altro “pezzo grosso” tirato in ballo è sicuramente Hitchcock. Molte le scene di suspance che, tipiche nel maestro inglese, si basano sul mantenimento delle apparenze e sull’anticipazione. Debitrice è la scena in cui Walt e Jesse tentano di avvelenare il piatto di Tuco di fronte allo zio paraplegico. Lo zio si accorge dell’avvelenamento ma può comunicare con suo nipote solo attraverso il suono di un campanello. Così s’instaura un perverso gioco a tre fra gli esecutori, l’ignaro Tuco e noi spettatori consapevoli ma impotenti che osserviamo la “guerra fredda” fra i protagonisti e lo zio.

Breaking Bad - Stagione 2 Breaking Bad: “Breaks very well”. Rompe bene con il montaggio lineare, con i clichè moralisti, con il “pulp” fine a se stesso. Dietro l’idea di Vince Gilligam, c’è uno staff creativo che non smette di sorprendere e supera i risultati della prima stagione (qualitativamente alta ma composta solo da 7 episodi). Chi non conosce questa serie perde uno dei prodotti più interessanti dell’ultimo periodo, tenendo presente il fatto che non siamo di fronte a produzioni milionarie come in casa Fox o HBO. Provare per credere.

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