Un inizio stagione troppo lento, episodi centrali dal ritmo più incalzante e un finale frettoloso che apre tanti - forse troppi - interrogativi: Iron Fist prima annoia, poi convince e infine lascia perplessi, ma si è comunque guadagnato l'approvazione di una grossa fetta di pubblico. La seconda metà stagione aggiunge molta carne al fuoco, dalla nuova minaccia rappresentata da Bakuto (Ramón Rodríguez) all'arrivo di Davos (Sacha Dhawan), fino allo scontro finale con Harold Meachum. E forse proprio qui sta il suo difetto: ci sono troppi spunti narrativi che alla fine si risolvono in maniera più superficiale di quanto ci si aspetterebbe da uno show di tale portata, specialmente in vista della serie corale The Defenders. Se la trama risulta carica di elementi poco approfonditi, dal lato personaggi finalmente vediamo più introspezione per il protagonista, e dietro la scorza di guerriero invincibile di Iron Fist scorgiamo un Danny Rand più vulnerabile e rabbioso, ancora perseguitato dai fantasmi del suo passato e appesantito da responsabilità - quelle legate all'essere il protettore di K'Un-Lun - troppo grosse per lui.
Davos e Bakuto: le responsabilità del passato e il pericolo del presente
I due personaggi attorno ai quali ruota tutta l'introspezione psicologica di Danny in questi episodi sono Bakuto e Davos. Da un lato, la nuova "testa del serpente" che sostituisce Gao alla guida della Mano, e che rappresenta un'inevitabile minaccia per Danny e per la Rand Enterprises; dall'altro Davos, l'amico di sempre, che gli ricorda che il suo ruolo è quello di difendere K'un-Lun e non New York. È grazie a loro che vediamo per la prima volta dietro la maschera dell'invincibile Iron Fist: scopriamo così un Danny più umano e vulnerabile, e i suoi attacchi di rabbia diventano finalmente comprensibili anche a noi spettatori. Sono personaggi funzionali per la presa di coscienza del protagonista, ma non solo. Sono anche l'incipit di nuovi filoni narrativi: se da un lato ritroveremo Bakuto in The Defenders, dall'altro le incomprensioni tra Davos e Danny sono la genesi della nemesi di Iron Fist, Steel Serpent.
I tre Meachum, una famiglia poco funzionale
Se nella prima metà di stagione le scene con i Meachum sembravano quasi dei riempitivi, ora finalmente acquistano un senso, anche se la rivelazione di Harold (David Wenham) come vero villain di stagione arriva tardi e sembra quasi buttata lì per caso, così che alla fine manca un crescendo di tensione fino al climax dello scontro tra Danny e Harold. Succede tutto troppo velocemente, e Harold non sembra all'altezza di un Wilson Fisk o di un Kilgrave. Occasione sprecata, quindi, mentre invece è più interessante l'evoluzione di Ward (Tom Pelphrey), personaggio ambiguo ma profondamente umano in tutti i suoi difetti. È forse però Joy (Jessica Stroup) la vera delusione tra i tre: algida donna di ghiaccio che pensa solo al bene dell'azienda, ritrovando Danny sembra ritrovare anche l'innocenza dell'infanzia, tra m&m's e propositi di redenzione. Lo difende strenuamente fino all'ultimo episodio, arrivando anche a ribellarsi al padre per questo, eppure nella scena finale la vediamo mentre parla con Davos di eliminare Danny. Una deviazione caratteriale del tutto sconclusionata e che gli autori dovranno ingegnarsi a giustificare se vogliono convincere gli spettatori di questa insensata evoluzione.
Uno show che deve migliorarsi in punti fondamentali, ma che supera la prova
In conclusione, Iron Fist si guadagna la sufficienza piena nonostante gli evidenti difetti, dalle zoppicanti scene d'azione (ne abbiamo parlato nel mid-season) al ritmo narrativo troppo incerto e altalenante, per il quale abbiamo avuto tre primi episodi lenti e ripetitivi contro tre episodi finali in cui succede tutto troppo velocemente, sacrificando pathos e tensione. Ma, difetti a parte, Danny Rand è un personaggio che può ancora dare tanto, soprattutto se gli autori vorranno approfondire il lato più ‘mitologico' della serie, con maggiore spazio per K'un-Lun e le sue tradizioni. Se gli sceneggiatori riusciranno a perfezionarsi, allora forse avremo un prodotto all'altezza di Daredevil. Per il momento, però, non possiamo fare altro che aspettare.
Iron Fist si guadagna la sufficienza piena nonostante gli evidenti difetti, dalle scene d'azione piatte e poco avvincenti al ritmo narrativo troppo incerto e altalenante, per il quale abbiamo avuto tre primi episodi lenti e ripetitivi contro tre episodi finali in cui succede tutto troppo velocemente, sacrificando pathos e tensione. Ma, difetti a parte, Danny Rand è un personaggio che può ancora dare tanto, soprattutto se gli autori vorranno approfondire il lato più ‘mitologico' della serie, con maggiore spazio per K'un-Lun e le sue tradizioni.