Black Mirror: come il futuro sta oscurando la nostra immagine riflessa

Negli ultimi vent'anni la tecnologia ci è esplosa fra le mani come una bomba, ecco come Black Mirror ha raccontato chi siamo e dove stiamo andando.

Black Mirror: come il futuro sta oscurando la nostra immagine riflessa
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Non troppi anni fa, già all'inizio degli anni '90, non avreste letto questo articolo come state facendo adesso, sullo schermo di un computer o - più probabilmente - di uno smartphone o un tablet. La diffusione di internet non era affatto capillare come lo è oggi, il web aveva fatto capolino solo in alcune case e l'informazione di massa non era ancora online, al contrario splendeva esclusivamente nell'inchiostro della carta stampata. Gli ultimi vent'anni hanno cambiato profondamente la nostra vita, la tecnologia ci è letteralmente esplosa fra le mani come una bomba all'idrogeno, abbiamo assistito all'uscita dell'iPhone, all'arrivo dell'iPad; alla fibra ottica che ha portato la velocità di internet a 1 Gbps, mentre agli albori si viaggiava tramite una normale telefonata a 56 kbps, al 4G di massa per le reti cellulari mentre già si sta testando il 5G a 5Gbps. Dai vinili e ai CD siamo passati alla musica digitale in streaming, ai contenuti video in 4K, ai dischi di memoria virtuale sul cloud che hanno sostituito quelli fisici sulle nostre scrivanie. Abbiamo persino smesso di acquistare macchine fotografiche, poiché i sensori minuscoli montati sugli smartphone riescono tranquillamente a scattare immagini magnifiche. Siamo stati completamente travolti da un'onda anomala e sconosciuta che per certi versi ci ha colto di sorpresa, facendoci perdere la bussola e l'orientamento. Se al cinema e in televisione sono migliaia i titoli che hanno provato a prevedere il futuro, esiste un solo prodotto che si è fermato a pensare alle conseguenze di questo tsunami digitale sulla nostra pelle, sul nostro modo di pensare: Black Mirror.

Via al televoto da casa, dopo l'opinione dei giudici

La serie TV ideata da Channel 4 e Charlie Brooker, con due stagioni in archivio e una terza in arrivo il 21 ottobre, è riuscita in soli sette episodi a mostrare il lato oscuro di noi stessi, assuefatti dalla tecnologia e dai suoi stessi effetti collaterali. Un tempo era assolutamente impensabile, se oggi invece qualcuno ci chiedesse di vivere all'interno di un cubicolo, di accumulare punti esperienza per ottenere oggetti virtuali, di svolgere ogni azione della nostra vita per il solo scopo di apparire ed essere qualcuno, quanti accetterebbero senza alcun rimorso? O meglio, quanti lo fanno già e non se ne accorgono? È la meccanica subdola dei reality show, di alcuni videogiochi immersivi all'estremo, pensando ancora più in grande è il sistema normale delle società contemporanee e cosiddette sviluppate, che prevedono il sudore della nostra fronte in cambio di pochi spiccioli utili a vivere. E quante cose inutili acquistiamo nei nostri giorni? Attenzione a non fraintendere però, non è scopo di questo articolo - né tantomeno della serie - di criticare negativamente il mondo che abbiamo costruito, non ne abbiamo la presunzione ovviamente. Come nella serie TV prendiamo atto della realtà, di ciò che siamo diventati, pedine al servizio di qualcuno che si è messo su un piedistallo ed è pronto a giudicarci con violenza. Per questo motivo il discorso di Bing che chiude il secondo episodio della prima stagione fa male, un male profondo, che squarcia l'anima e fa venire voglia di uscire fuori per strada a urlare. Di abbandonare il nostro cubicolo e ribellarci al sistema, di voler essere qualcuno di normale per qualcun altro di normale, non qualcuno famoso per un pubblico che neppure conosciamo. Smettere i panni dell'oggetto e tornare umani, seppur anche l'umanità possa talvolta terrorizzare.


La vita in un sensore

Siamo ormai talmente abituati a vedere e osservare le cose tramite uno schermo che non sappiamo più goderci un concerto senza registrare ogni momento con lo smartphone: preferiamo vedere il nostro artista preferito da un display grande 5 pollici nonostante sia a pochi metri da noi, vero, vivo, reale. Siamo pronti a tirar fuori il nostro nuovissimo telefono per registrare qualsiasi cosa, anche il momento meno opportuno, una tragedia, un lutto, un disastro: è ciò che sente sulla sua pelle Victoria Skillane durante la seconda stagione: è confusa, con la mente annebbiata, e quando prova a scendere in strada trova gente che vuole ucciderla e altra che filma tutto con lo smartphone, un'orda di zombie digitali decisa a non perdere neppure un istante dell'azione, mentre in realtà perde tutto. L'episodio in questione si ricollega poi al discorso precedente, del reality show portato all'esasperazione, poiché questo personaggio misterioso non è altro che l'ennesimo concorrente di un programma televisivo, vittima sacrificale dei tempi immolata al nostro bisogno di salvare tutto in un file .mov. Perché la nostra vita ormai è ridotta a un cumulo di file, MB e GB, non esistono più rullini fotografici, non stampiamo nemmeno più le immagini su carta, non collezioniamo più videocassette e DVD, abbiamo tutto sugli hard disk, gli SSD o sul cloud, in un server chissà dove nel mondo. Server che quotidianamente rispondono alle nostre domande con voce quasi umana, vi dice niente la combo di parole "intelligenza artificiale"?

Hey Siri, accendi forno e riscaldamento che sto tornando a casa

Siri, Cortana, Google Assistant, Hound, Alexa? Basta pronunciare "Hey Siri" per acquistare un biglietto del cinema, sapere se oggi pioverà, se un'auto di Uber può passare a prenderci nel più breve tempo possibile. Riflessi nello specchio nero vediamo questa intelligenza diventare umana al 1000%, quando Ash muore improvvisamente e Martha lo sostituisce con un androide replicante. La nostra voce, i nostri ricordi, i nostri dati e la nostra immagine sono già nel web, basta soltanto inserirli in un sistema meccanico e senziente per riavere accanto una persona cara che non c'è più. Questo può sconvolgere, può farci rimanere di sasso, ma fermatevi a pensare: siamo davvero così lontani da tutto questo? Quanto tempo fa immaginavate di parlare con il vostro smartphone come fosse una persona in carne e ossa o quasi?


15 milioni di like

Neppure un decennio fa se qualcuno avesse predetto le attuali meccaniche dei social network ci saremmo fatti una grassa risata, invece come nulla fosse ci siamo ritrovati incastrati in sabbie mobili da cui è impossibile uscire. Un video postato su Facebook, Twitter o Instagram ha potenzialità virali infinite, e non sono poche le persone umiliate che si sono poi anche suicidate per questo - è purtroppo cronaca di tutti i giorni. Persino un ridicolo sondaggio proposto alla popolazione digitale può acquistare sempre più valenza oggettiva, smuovere le masse e far cambiare opinione a governanti e a chi ha il dovere di prendere iniziative. È stato proprio questo il debutto di Black Mirror, un Primo Ministro britannico costretto dalla viralità dei social a piegarsi al volere di uno squilibrato, all'umiliazione e alla gogna pubblica. Certo esistono anche lati positivi della faccenda, ovvero un Governo o chiunque altro non può più insabbiare informazioni, che al contrario diventano subito di pubblico dominio e dunque inarrestabili; il volto che però vediamo nello specchio nero ci mostra la catastrofe, l'abuso, la violenza dell'informazione diventata spettacolo.

Non esiste più solidarietà, nessuno conosce la pietà, comunque dobbiamo vedere, assistere all'inevitabile per alimentare il nostro senso del disgusto. Grazie a internet 2.0 poi è possibile anche superare i limiti senza essere puniti, merito delle chat cifrate, dei proxy, del dark web, tutti elementi del nostro presente, non del nostro futuro, di cui sarebbe utile preoccuparsi. Abbiate timore dunque se guardandovi oggi allo specchio vedete un'immagine distorta, offuscata di voi stessi, se passate gran parte del vostro tempo piegati sul display del vostro smartphone anziché guardare e ascoltare la persona che amate, se la vostra realtà è più virtuale del dovuto. La tecnologia può essere un mostro famelico e Black Mirror ce lo ricorda costantemente senza filtri o palliativi, tocca forse solo trovare il coraggio di rompere il vetro.