L'importanza di chiamarsi Stephen King

L'opera di Stephen King ogni anno da vita ad innumerevoli trasposizioni su schermo, tra cinema e tv. Ma quali sono i motivi?

L'importanza di chiamarsi Stephen King
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1974, per soli 2500 dollari la casa editrice Doubleday acquisisce i diritti di stampa di Carrie, romanzo d'esordio di un giovane sconosciuto. Dopo l'iniziale insuccesso, l'edizione tascabile vende oltre un milione di copie. Da lì si arriva a più di ottanta titoli pubblicati tra romanzi e raccolte, 500 milioni di copie acquistate in tutto il mondo, e una innumerevole quantità di trasposizioni cinematografiche e televisive. George Romero, J.J. Abrams, David Cronenberg, John Carpenter, Rob Reiner, Stanley Kubrick, sono solo alcuni tra gli autori che hanno voluto cimentarsi con adattamenti per lo schermo dell'opera di King, e stiamo parlando di registi tra i più influenti e significativi della storia, mica bruscolini. Pellicole come Shining o Stand by me sono entrate di prepotenza nel novero dei capolavori, rendendo di fatto il loro creatore originario una vera e propria superstar. In un mondo nel quale musica, cinema, televisione e fumetto hanno in qualche modo scalzato la letteratura dal ruolo di modalità espressiva dominante, creando una sovrastruttura di celebrità e di immagine infinitamente più maestosa, Stephen King è riuscito a ritagliarsi uno spazio di primissimo livello, divenendo fin da subito un vero e proprio oggetto di culto. Amato dai suoi lettori, fonte d'ispirazione costante per i suoi colleghi, giacimento inesauribile di idee per gli artisti degli altri medium. Stephen King è a tutti gli effetti l'icona più fulgida e riconoscibile della cultura pop degli ultimi quarant'anni. Tutti, più o meno, amano King; tutti in un modo o nell'altro lo vogliono omaggiare; tutti, i furbetti in prima linea, vogliono salire sul grande carrozzone che dovrebbe, apparentemente, portare a fama e un mucchio di soldi.

I motivi di un'idolatria

Se diamo uno sguardo ai prodotti in circolazione non è poi così difficile constatare che le sue siano tra le opere letterarie più sfruttate sullo schermo. Probabilmente solo la natura procedurale ed intrigante degli scritti di sir Arthur Conan Doyle e Agatha Christie gode di un numero maggiore di trasposizioni. Il motivo della cosa è presto detto. Innanzitutto la quantità: King scrive talmente tanta roba da poter fornire materiale all'infinito. Quello che stuzzica maggiormente gli intelletti dei registi vari è però la sua visionarietà. Stephen King non è semplicemente uno scrittore di horror, come lo liquidano i detrattori poco avvezzi alla sua bibliografia, ma uno straordinario creatore di mondi, un'attento descrittore dell'immaginifico, un pittore su carta stampata. C'è di tutto nelle sue opere, dai romanzi di formazione al fantasy, dai mostri ai politici, dai ragazzini ai carcerati. C'è insomma pane per i denti di chiunque, permettendo alle sensibilità più disparate di trovare qualcosa da cui trarre ispirazione. Memorabile è la sua costruzione della suspense, mai banale ed improvvisa, mai tronca ma strutturata per gradi, facendo annusare il senso di strano; così come raffinata la sua gestione dell'infanzia e dell'adolescenza, che ci ha restituito tra i più credibili ritratti della giovinezza, nonostante il più delle volte sia calata in situazioni sovrannaturali o quantomeno estranee alla normale vita quotidiana. La vera forza di King è aver creato un immaginario, altamente riconoscibile e riconducibile alla sua mano ma profondamente originale in ogni iterazione, con un senso di varietà incredibile. È autore iconico, lavora per immagini, e diciamocelo, chiunque legga qualcosa di suo ha quella automatica, davanti ai suoi occhi e nella sua mente, figurazione delle situazioni, delle scene, degli ambienti, dei personaggi, di tutto insomma. Succede a noi, così come sicuramente sarà capitato a un Kubrick, ad esempio; e non è un caso se uno degli esteti dell'arte cinema, il più grande degli esteti, abbia pescato tra le opere di King; così come non è un caso se l'operazione furba e ottimamente realizzata che va sotto il nome di Stranger Things sfrutti un'impalcatura fortemente in debito con King per creare il suo castello di citazioni e riferimenti. King è estetica, è caratterizzazione, è struttura, dialoghi, descrizioni, fantasia, terrore, sentimento. King è nato per scrivere, e i suoi scritti sono nati per essere messi in scena.

Il rischio del successo

10 Agosto La Torre Nera al cinema, 25 Agosto The Mist su Netflix, 19 Ottobre It ancora sul grande schermo. In poco più di due mesi in Italia compariranno tre nuovi adattamenti dell'opera di King. Questo per rendersi conto della densità di operazioni di questo tipo. Se quantità non significa qualità nella sua produzione letteraria, con mediamente titoli eccelsi a fronte di pochi scritti veramente usciti male, molto peggio è la situazione su grande e piccolo schermo. King è autore di culto, capolavori e ottimi successi sono stati i prodotti dei grandi registi impegnati nel tempo con la sua bibliografia. Questa miscela ha quindi creato nelle menti di produttori e spettatori un assunto erroneo per cui qualsiasi cosa di King portata su schermo deve essere bella, o se non altro un modo estremamente facile per fare soldi. Al netto di pellicole imprescindibili, possiamo affermare che siano moltissime le operazioni poco riuscite, per essere gentili, e veramente poche le cose belle uscite fuori dalle trasposizioni letterarie di King. E questo non per carenze del materiale di partenza. Abbiamo già accennato al fatto che King sia autore molto più complesso di un "semplice" scribacchino del terrore. Lavora di atmosfera e immagini, è scrittore sensoriale e visionario. Va da sé che non basta prendere una sua storia e portarla dalla carta al girato per creare qualcosa di grandioso. Questo è stato in generale il più grande peccato degli sprovveduti che gli si sono voluti avvicinare senza accortezza, pensando solo alle trame, ai colpi di scena, ai mostri, e non tenendo conto del resto. Non che le storie di King spogliate di tutto possano essere considerate brutte, ma sono prive di anima, sono private del tocco del loro creatore, della sua visione appunto. Una serie come Under the Dome, ad esempio, risulta vuota nella sua piattezza e povertà scenica; così come la miniserie di It, dove il solo Tim Curry ne usciva egregiamente. Probabilmente è una questione di budget, in primis. Mettere in piedi un impianto visivo che sia degno dell'immaginifica scrittura di King richiede sicuramente un investimento non indifferente, tra animazioni, costumi, scenografie, effetti e fotografia. Dove non arrivano i soldi ci deve allora essere l'occhio del regista a sopperire, autore anch'esso al livello di King, capace di creare con una sua personale visione qualcosa di nuovo, vera strategia vincente delle trasposizioni.

Come abbiamo detto però, la maggior parte delle volte si è voluto attingere in modo acritico dall'enorme fonte che è l'universo King, pensando più ad una facile resa che a qualcosa di artisticamente valido. O non se ne è capita la portata, riconducendo il successo dello scrittore unicamente allo strato più superficiale di banale maestro del terrore. Sta di fatto che anche questo nuovo capitolo del lungo romanzo di King sullo schermo, per motivi diversi ma anche uguali, si preannuncia essere una delusione, per chi, con ancora negli occhi i pochi veri capolavori, sta aspettando fiducioso una svolta, ed il giusto trattamento per uno degli autori più significativi del nostro tempo.