La grande Paolezza: 5 motivi per cui The Young Pope è una serie imperdibile

Paolo Sorrentino esordisce sul piccolo schermo con una miniserie dal sapore internazionale. Ecco perché va vista a tutti i costi.

La grande Paolezza: 5 motivi per cui The Young Pope è una serie imperdibile
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Grazie alla collaborazione tra Sky (Italia), Canal+ (Francia) e HBO (Stati Uniti), il regista partenopeo Paolo Sorrentino, l'ultimo italiano ad aver conquistato un Oscar per il miglior film straniero (La grande Bellezza), passa al piccolo schermo. Si tratta di un esordio di un certo peso: The Young Pope, miniserie in otto episodi (con la possibilità di stagioni ulteriori, infatti Sorrentino sta già lavorando al secondo ciclo), è un racconto a dir poco epico, multilingue e dal respiro veramente internazionale. Incentrata sulla figura del primo Papa nordamericano, il fittizio Lenny Belardo alias Pio XIII, la serie ha fatto parlare di sé all'ultima Mostra di Venezia, dove le prime due puntate hanno fatto parte del programma fuori concorso quasi due mesi prima della messa in onda ufficiale. Anche solo per via delle emittenti coinvolte si annunciava come un evento di un certo spessore, ma ci sono anche altre ragioni più concrete per goderselo dall'inizio alla fine. Ecco quelli principali.

Paolo Sorrentino

Che lo si ammiri o disprezzi (e i suoi film tendono a generare entrambe le reazioni), Sorrentino è un cineasta con un'impronta autoriale ben definita e riconoscibile, e anche The Young Pope lo mette in evidenza, con stravaganze visive che rendono benissimo l'idea dello sfarzo del Vaticano ma anche la follia che può circolare al suo interno (vedi la sequenza del canguro). Questa volta però le "sorrentinate" sono al servizio di una storia solida ed appassionante, dove per la prima volta le ambizioni internazionali del regista e la sua inconfondibile italianità coesistono quasi perfettamente. Rimane da vedere se gli episodi ancora inediti saranno all'altezza delle promesse iniziali, ma se dovessero riuscirci si potrà effettivamente parlare di un esempio di grandissimo cinema sul piccolo schermo.

Jude Law

L'attore inglese, che dieci anni fa era stato oggetto di scherno da parte di Chris Rock per la sua ubiquità, ultimamente è stato meno presente, almeno per quanto concerne progetti destinati al grande pubblico. Come grande ritorno non poteva scegliere un ruolo migliore, anzi: Lenny Belardo potrebbe anche essere la cosa migliore che ha fatto nella sua già lunga carriera. Carismatico ma irriverente (fuma anche quando sarebbe vietato dal protocollo vaticano), il suo è un Papa per i nostri tempi, destinato a far breccia nel cuore degli spettatori in tutto il mondo (peccato solo che proprio gli americani dovranno aspettare, dato che HBO trasmetterà The Young Pope a partire da febbraio 2017). Ne risentiremo riparlare l'estate prossima nel periodo degli Emmy? Molto probabilmente sì.

Diane Keaton

Veterana di Woody Allen, che le fruttò un Oscar, e della trilogia de Il padrino, l'attrice americana era da anni confinata in parti simpatiche ma non eccelse in commedie abbastanza dozzinali (per dire, la sua parte più memorabile ultimamente è stata una voce in Alla ricerca di Dory, dove interpreta la madre della protagonista). Ed ecco che è arrivato Sorrentino con il ruolo di Sister Mary, figura materna, confidente e assistente personale del nuovo pontefice, con la stessa ventata di novità associata a Belardo nonostante l'età più avanzata. Memorabili soprattutto i suoi duetti con un altro attore, anch'egli in stato di grazia e di cui parliamo nel punto successivo.

Silvio Orlando

Rispetto ai suoi colleghi d'oltreoceano, Orlando non ha molto da dimostrare dato che la sua carriera continua ad essere caratterizzata da ottime interpretazioni al servizio di registi importanti come Nanni Moretti, Pupi Avati, Valeria Bruni Tedeschi e il compianto Carlo Mazzacurati. Dopo una pausa dallo schermo durata quasi tre anni (La sedia della felicità, film di commiato di Mazzacurati, è passato al Torino Film Festival nell'autunno del 2013), è tornato in grandissima forma nei panni del cardinale Voiello, devoto alla Chiesa ma anche ad alcuni piaceri più terreni, come si può evincere dalle cover dei suoi tre telefoni cellulari. Protagonista di un memorabile colpo di scena al termine del secondo episodio, dà alla serie quel velo di ambiguità in più che contraddistingue la narrazione seriale catodica più riuscita di oggi.

L'Italia oggi

Pur raccontando la storia di un Papa inventato di sana pianta, The Young Pope vuole comunque essere un ritratto dell'Italia al giorno d'oggi, un elemento sul quale Sorrentino ha insistito attraverso piccoli ma importanti dettagli, come la grafica del telegiornale di Sky (viene usata quella nuova, non ancora inaugurata durante le riprese della serie). Eppure in mezzo a cotanta precisione un piccolo imprevisto ha creato un anacronismo involontariamente geniale, che ha tanto fatto ridere il pubblico in sala durante l'anteprima veneziana: il buon Voiello, tifoso accanito del Napoli, ribadisce in più di un'occasione la sua passione per Gonzalo Higuaín, con tanto di uso del soprannome San Pipita. Peccato che Higuaín sia passato alla Juventus poche settimane prima della suddetta proiezione, portando lo stesso Sorrentino, in sede di conferenza stampa, a ribadire l'importanza tematica di "fede e tradimento". Chissà se, in caso di conferma della seconda stagione, tale ferita a danno dei napoletani verrà menzionata...