Speciale The Wire - Special

Le ultime tre stagioni della "migliore serie televisiva della storia".

Speciale The Wire - Special
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THE WIRE - SPECIAL

Precedentemente noi di SerialEye vi abbiamo proposto la recensione della seconda stagione di The Wire, oramai datata 2003, e visto che la quinta ed ultima stagione è stata trasmessa in Italia a partire dal gennaio di quest'anno(mentre la serie è finita nel 2008 in America), abbiamo deciso di velocizzare i tempi, proponendovi un unico super speciale incentrato sulle ultime tre stagioni. Questo speciale quindi recensisce la terza, la quarta e la quinta stagione del capolavoro telefilmico della HBO ed al tempo stesso funge anche da “scuse ufficiali”, per il trattamento riservato involontariamente nei confronti della serie che ancora oggi, in America, detiene il titolo di “telefilm con le migliori recensioni di sempre”; questo perchè noi redattori di SerialEye siamo grandi redattori e sappiamo riconoscere i nostri errori.

“I'M JUST A GANGSTA...I SUPPOSE.” - Avon Barksdale

“I ain't no suit-wearin' businessman like you. You know, I'm just a gangsta...I suppose. And I want my corners.”
Con l'inizio della terza stagione si chiudono le vicende del plot principale della seconda, ovvero quello relativo al porto, al sindacato, alla famiglia Sobotka e al “Greco”. Con la terza stagione, The Wire torna un po' alle origini, ossia al plot di inizio serie relativo ai personaggi protagonisti del traffico di droga, ovvero Stringer Bell ed Avon Barksdale, due personaggi straordinari che nella stagione precedente sono stati messi un po' da parte. Particolare attenzione è posta sulla relazione “fraterna” tra Stringer ed Avon, il primo dei quali è riuscito non solo a salvare l'impero Barksdale, ma anche a farlo evolvere in modo esponenziale, mentre il secondo è finalmente uscito di prigione e vuole ricominciare a gestire i suoi affari alla vecchia maniera, cosa che porta i due a qualche “scontro”. E' sicuramente straordinario come David Simon e gli altri sceneggiatori siano riusciti a rendere così epica e ben dettagliata un'amicizia nonché collaborazione criminale tra due personaggi così diversi tra loro.

“WE AIN'T GOTTA DREAM NO MORE, MAN”. - Stringer Bell

“We ain't gotta dream no more, man. We got tangible stuff, material stuff. Properties..”.
Uno degli elementi sicuramente migliori della terza stagione è il viaggio molto più approfondito ed esplorativo nel personaggio di Stringer, non nel suo personaggio in quanto “individuo quotidiano” ma nel suo personaggio in quanto uomo d'affari e “speculatore”, visto che si allontana molto dalla figura del semplice trafficante di droga, abbandonando quelle “stron*ate da gangster”. Stringer è certamente il personaggio più intelligente ed affascinante che sia mai apparso nella serie e questo lo avevamo già appreso vedendolo frequentare corsi di macroeconomia all'università nella prima stagione, e vedendolo anche impartire lezioni di economia ai suoi uomini, ai suoi ragazzi, sul come migliorare le vendite del loro “prodotto”. Impossibile non amare un personaggio del genere, anche quando ci viene mostrato che è tutt'altro che perfetto ed anche quando comincia ad innervosirsi perchè gli sbirri iniziano a ficcanasare nelle sue attività e nei suoi affari(McNulty può essere estremamente fastidioso e lo sappiamo bene).

“...WHILE YOU'RE WAITING FOR MOMENTS THAT NEVER COME.” - Freamon

“Hey, hey, hey, a life. A life, Jimmy. You know what that is? It's the shit that happens while you're waiting for moments that never come.”
Come al solito, oltre che esplorare le sfaccettature dei diversi personaggi del lato “criminale”, la serie poggia una lente d'ingrandimento anche sugli altri personaggi, quelli del lato opposto, come Jimmy McNulty, il Tenente Daniels, Rhonda Pearlman e “Kima” Greggs. McNulty infatti, oltre a proseguire la sua personale crociata votata alla cattura di Stringer Bell ed Avon Barksdale, deve anche fare i conti con la propria vita, quella al di fuori del lavoro, sostanzialmente vuota escludendo le sbronze con il suo amico e collega Bunk e qualche rapporto sessuale occasionale (tra i tanti avuti da McNulty nelle prime tre stagioni). Risolvere un caso può offrire solo un senso di appagamento parziale e temporaneo che dura fino all'inizio del prossimo caso, un circolo che porterà il detective più “bastardo” di tutti a riconsiderare le proprie priorità, sul piano esistenziale e quindi su quello lavorativo.

“THERE'S NEVER BEEN A PAPER BAG” - Bunny Colvin

“There was a moment of goddamn genius by some nameless smokehound who comes out the Cut-Rate one day and on his way to the corner he slips that just bought pint of elderberry into a paper bag. A great moment of civic compromise. That small wrinkled ass paper bag allowed the corner boys to have their drink in peace and gave us permission to go and do police work. The kind of police work that's actually worth the effort, that's actually worth taking a bullet for. Dozerman got shot last night buying three vials. Three. There has never been a paper bag for drugs. Until now.”.
Il terzo anno di The Wire non può essere definito in altro modo, se non che con il termine di “capolavoro”. “Capolavoro”, una definizione che già apparteneva alla serie ma che è addirittura aumentata con il concepimento della terza stagione, che diventa anche un “capolavoro a sè”. Ovviamente, come di consueto, anche questa volta si esplora un diverso aspetto di Baltimora; nella prima stagione è toccato al traffico di droga, nella seconda al porto ed ora tocca alla burocrazia e all'amministrazione cittadina. Questo aspetto ci permette di vedere la città di Baltimora non solo come un grande parco giochi del crimine, ma anche come una “comunità”; una comunità che può essere completamente sfaldata ma che invece potrebbe essere più unita, come lo era stata molti anni prima. Al centro di questo, che potremmo definire il plot co-principale della situazione, ci sono il maggiore Bunny Colvin(Robert Wisdom)ed i suoi uomini, tra i quali ci sono Hank e Carver, che devono dare battaglia alla parte Ovest di Baltimora, la parte peggiore in assoluto. Alla polizia della città vengono fatte molte pressioni per ridurre le sempre più preoccupanti percentuali annuali dei crimini e di conseguenza queste pressioni hanno un effetto diretto sui distretti delle varie zone e sugli uomini che ne sono a capo. Bunny Colvin è un buon poliziotto a cui mancano pochi mesi prima di andare in pensione, e di conseguenza non decide di pensare a cosa si potrebbe fare per la città, non si mette a pensare a cosa potrebbe funzionare e cosa no, semplicemente si limita ad agire, prendendo una decisione estremamente drastica e rivoluzionaria al tempo stesso, che tira fuori molte perplessità di natura morale e naturalmente anche di natura politica. Questa drastica decisione, che qualcuno potrebbe definire “geniale idea”, oltre a regalarci la strepitosa quote: “Hey, we in America!”. “Nuh-uh, West Baltimore!”, coinvolge anche qualche nuovo personaggio, come l'ex galeotto, nonché conoscente di Barksdale, Dennis “Cutty” Wise(Chad Coleman), personaggio introdotto all'inizio della stagione e che da allora è alla ricerca di una redenzione personale o ancor meglio di un radicale cambio di vita. Un altro nuovo personaggio che diventa poi molto importante per il prosieguo della serie è il Consigliere Tommy Carcetti(Aidan Gillen), che inizialmente è presentato solo come un personaggio secondario che appartiene all'aspetto più fortemente politico della serie, aspetto che diviene poi molto più presente nella quarta stagione.

“THEY THE OLD DAYS” - Slim Charles

“ Yeah, now, well, the thing about the old days....they the old days.”
Una premessa prima di cominciare a parlare della quarta stagione è necessaria. La quarta stagione infatti si concentra sul sistema scolastico americano e sull'aspetto politico di Baltimora, introducendo ancora una volta dei nuovi personaggi. Questo purtroppo ci spinge a dire addio a quelli che sono stati senza mezzi termini i migliori personaggi della serie, ovvero Stringer ed Avon. La storia relativa a quella parte di The Wire è finita e per quanto privarsi di due personaggi del genere potrebbe sembrare una vera e propria mossa suicida(per qualunque altro telefilm almeno) è anche una mossa tremendamente in linea con lo scopo e lo stile di The Wire. Da un telefilm così iper-realistico non ci aspettavamo certo di essere coccolati, non ci aspettavamo certo che il grande David Simon abbondasse lasciandoci le zollette di zucchero per il nostro caffè nero di prima qualità. Con i grandi Idris Elba e Wood Harris fuori dal cast quindi, diamo il benvenuto in pianta stabile(per alcuni più per altri meno) a personaggi come i già citati Tommy Carcetti e Dennis Wise, ed anche a Marlo Stanfield(Jamie Hector) e ai suoi compari “Snoop”(Felicia Pearson) e Chris(Gbenga Akinnagbe), anch'essi introdotti sapientemente e senza forzature nella terza stagione. Corruzione allo stato puro, momenti che avrebbero potuto cambiare non il destino ma almeno la terribile situazione di un'intera città. Senso di comunità, violenza, profonde storie di grande amicizia e di criminalità. Elementi straordinariamente drammatici che vengono conditi con qualche spruzzata di black humor; tutto ciò non è comunque abbastanza per descrivere ed “archiviare” al meglio il terzo anno della serie.

“THERE AIN'T NO SPECIAL DEAD. THERE'S JUST DEAD.” - Dukie

“Donut was wrong...there ain't no special dead. There's just dead...”.
“99 su 100, la più alta media recensioni nella storia della televisione”; “un sensazionale connubio di scrittura, recitazione e narrazione che dovrebbe essere annoverato tra le migliori opere del campo letterario e cinematografico”; “I ragazzini di The Wire non hanno solo rubato la scena a tutti i grandi del piccolo schermo ma hanno anche scritto la storia”; “David Simon e i suoi scrittori non sono là fuori per cambiare il mondo; la china della civiltà è già in atto in The Wire e Simon è semplicemente lì per documentare il modo in cui ogni persona sopravvive. O come non riesce a farlo, come questa stagione dimostra in modo devastante”; “Quando la storia della televisione è scritta, quasi null'altro potrà rivaleggiare The Wire. Stratificando ogni stagione su quella precedente, David Simon trasmette il degrado delle infrastrutture della sua città natale, Baltimora, con un fascino bruciante e riflessivo, costruendo un'opera che è certamente tanto impenetrabile per i nuovi spettatori quanto è inebriante per i suoi fedeli. Preparatevi ad essere depressi ed abbagliati”.
Abbiamo detto che la terza stagione di The Wire è “un capolavoro a sè”. Quindi affibbiare qualche appellativo a questa quarta stagione o anche solo tentare di definirla è davvero molto difficile. Nel 2006, il ritorno di The Wire avvenne dopo un anno e nove mesi di attesa (causa bassi ascolti, budget elevato e quindi ennesimo rischio di cancellazione) ed ancora oggi è' impossibile dimenticare la genuina, onesta e profonda tristezza trasmessa da un personaggio come quello di “Dukie” (interpretato magnificamente da Jermaine Crawford, allora appena quattordicenne), che esprime al meglio il degrado totale delle strade di Baltimora e ci deprime in modo sensazionale mostrandoci la vita alla quale sono condannati alcuni personaggi/individui. Accanto a Dukie ci sono gli altri “ragazzi prodigio” di The Wire: Michael Lee (Tristan Wilds), Namond Brice (Julito McCullum) e Randy Wagstaff (Maestro Harrell), ragazzini con i loro rispettivi caratteri e le loro rispettive, nonché agghiaccianti, situazioni. Michael è un ragazzo dal carattere forte che vive con il suo fratellino Bug e con la sua madre tossicodipendente; Namond è il figlio di “Wee-Bay” ed è cresciuto in modo un po' “viziato” (per quanto si possa essere viziati in una città come Baltimora) ritrovandosi in una situazione molto più adagiata rispetto ai suoi amici; Randy è invece un bravo ragazzo, sveglio ed intelligente, che cerca solo di sopravvivere “onestamente” in un contesto devastato e devastante. Nel corso dei tredici episodi stagionali non abbiamo solo l'occasione di conoscere questi ragazzi e di entrare in profondo contatto con loro ma abbiamo anche l'occasione di accompagnarli attraverso un viaggio straziante, struggente, tragico e dannatamente reale. In questo contesto ci viene mostrato come è organizzato il sistema scolastico americano a Baltimora, come vengono gestiti gli alunni e le classi e come l'aspetto politico possa influenzare anche questo organo della città. All'interno di tutto ciò hanno un ruolo particolarmente importante anche il maggiore Bunny Colvin e Roland “Prez” Pryzbylewski, che sin dall'inizio della stagione è sottoposto ad un processo di reinvenzione personale. Accanto a tutto ciò vi è anche la trama inerente all'ascesa di Marlo nelle strade, che coinvolge diversi personaggi, dai detective a Michael e Bodie, e che alla fine ci riporta con la mente alla geniale e leggendaria scena della prima stagione, dove, in quella che era una metafora esistenziale, D'Angelo spiegava il gioco degli scacchi che assomigliava tanto al percorso vitale di un individuo medio, fatto di soldati/pedoni, regine e re. Semplicemente non esiste, non è mai esistito e non esisterà mai un qualcosa di così intensamente ed intimamente toccante. Questa stagione di The Wire riesce a penetrare e ad abbattere le barriere anche di coloro che non sono mai stati interessati alle terribili condizioni vitali di altri esseri umani in giro per il mondo e lo fa non ammorbandoci, ma seducendoci, affascinandoci e, cosa più importante, insegnandoci delle lezioni estremamente importanti.

“I STILL WAKE UP WHITE IN A CITY THAT AIN'T” - Tommy Carcetti

“Tomorrow night, I will kick his ass. But the next morning...I still wake up white in a city that ain't”.
Nonostante la quarta stagione sia considerata in assoluto la migliore della serie, è bene far notare come colui che è il protagonista principale, ovvero McNulty, sia quasi totalmente assente nell'arco di questi episodi. Il detective infatti appare in non più di sei scene totali, questo perchè al tempo delle riprese della terza stagione, Dominic West (McNulty appunto) chiese a Simon un po' di tempo per tornare a casa da sua figlia. Simon acconsentì, dicendo che avrebbe potuto lasciarlo in panchina nel quarto anno, specificando però che lui sarebbe dovuto tornare alla grande e da protagonista assoluto nell'ultimissima stagione.
Tornando alle tematiche, parallelamente a quelle del sistema scolastico, anche l'aspetto politico di Baltimora gioca un ruolo fondamentale all'interno di questa stagione capolavoro. Veniamo infatti trasportati fino alle più alte sfere della città, ovvero all'ufficio del sindaco, visto che è tempo di elezioni. Le elezioni per il nuovo sindaco di Baltimora ci permettono di capire meglio come una metropoli del genere viene gestita(o non gestita) e di conseguenza ci permette di comprendere meglio il perchè delle azioni di certi organi cittadini, quello poliziesco in primis ed anche quello della scuola, come abbiamo detto poc'anzi. Ovviamente grazie alle elezioni possiamo ammirare come esse vengano costruite ed impostate e di conseguenza approfondiamo le vicende di altri personaggi, proprio come delle tessere di un puzzle, che sappiamo essere fondamentali per il presente ma che scopriremo essere importanti anche per l'immediato futuro.

“A LIE AIN'T A SIDE OF A STORY. IT'S JUST A LIE.” - Terry Hanning

Nel corso della serie, David Simon non ci ha mai nascosto nulla, non ci ha mai mentito e non ci ha mai graziato addolcendo qualche tematica, qualche scena o qualche concetto. Le cose non sono cambiate con la quinta ed ultima stagione ma anzi, sono diventate probabilmente ancora più oneste e dettagliate, visto che l'aspetto affrontato nell'ultimo anno di The Wire è in assoluto quello più “personale” per il suo creatore. David Simon infatti, ex giornalista giudiziario del quotidiano Baltimore Sun, decise che l'ultimo aspetto di Baltimora da affrontare, quello che avrebbe accompagnato la serie alla sua conclusione, avrebbe dovuto essere “ambientato” proprio all'interno degli uffici del suo ex giornale. L'ultimo aspetto illustratoci è infatti quello riguardante la stampa ed i media, esplorati nella figura del Baltimore Sun stesso, che oltre a percorrere la sua strada nel corso della stagione, accompagna anche quello che è il plot principale per quanto riguarda la parte investigativa. Il solito McNulty, insieme all'amico Lester Freamon, mette in atto la summa delle sue “crociate personali”, creando così una trama primaria assolutamente esplosiva, sconvolgente e a tratti piena di black humor. I due dimostrano ancora una volta di essere “veri poliziotti”, mettendo a rischio le loro carriere e non solo. Purtroppo la quinta stagione può contare su soli dieci episodi a differenza delle altre. La HBO concesse inizialmente i canonici tredici episodi a Simon ma, visti gli scarsi ascolti, decise in seguito di “tagliare” tre episodi, costringendo così Simon e la sua crew a dover rimontare le puntate già girate, eliminando così le scene non indispensabili e sacrificando quindi tre ore di contenuti. Questo fatto ha purtroppo compromesso leggermente non proprio la qualità, ma il ritmo e l'impostazione degli episodi iniziali, tanto che si può tranquillamente dire che “il vero The Wire” inizia la sua ultima stagione effettivamente solo dal quinto episodio in poi. Nonostante questo comunque, le nuove tematiche della serie sono ancora una volta sensazionali e scottanti. Come disse Freamon nella prima stagione, “tutti i pezzi contano”, e lo apprendiamo bene quando tutti gli aspetti e gli elementi vengono intrecciati insieme. Tutti i personaggi sono ancora lì, da Omar, che per la prima volta vediamo completamente diverso e soprattutto solo, come un'esemplare di una razza in via d'estinzione, a Marlo, alle prese con il suo impero ed il suo trono, fino a Michael, Dukie, Bubbles e tutti gli altri. Come dicevamo è tutto connesso. La politica è connessa alla polizia, che viene connessa alla stampa e ai media che a loro volta vengono connessi alle strade di Baltimora e il tutto viene legato da una rete di menzogne e di bugie. Le menzogne sono al centro di tutto in questo giro. Tutti le dicono, tutti nascondono o inventano qualcosa e lo fanno per motivi diversi. Chi lo fa per migliorare o trovare una storia, chi lo fa per coprire uno scandalo o tirarsi fuori dai guai, chi lo fa per assecondare le proprie ambizioni, chi lo fa per stare al gioco e chi lo fa semplicemente perchè all'interno di un gioco truccato, l'unico modo di giocare, è non seguire le regole.

“THE GAME IS THE GAME” - Baltimore Traditional

Proprio come The Wire ha sempre fatto, anche noi vogliamo offrirvi una profonda riflessione. La conclusione della serie non è di fatto una conclusione e ci offre ciò che attraverso qualche scena, attraverso qualche metafora o attraverso qualche simbolismo ci ha sempre offerto nel corso della sua “vita” e nel corso dell'ultima stagione. Il comportamento ciclico della prerogativa istituzionale si sarebbe affermato ad un certo punto. Ogni cosa cambia ma non lo fa realmente. Possono cambiare i nomi e le facce, ma i ruoli e le posizioni all'interno di un ciclo rimarranno sempre. Come ha detto Marlo a Proposition Joe: “Il fatto è che tu non cambierai mai, proprio come me”. Baltimora è un organismo vivente che procede a cicli, come un serpente che si morde la coda. Non si torna indietro, non c'è nostalgia in questa me*da. C'è solo il gioco, e la strada. E ciò che accade qui, in questo momento. Possiamo pensare alle bevute di McNulty e Bunk vicino ai binari del treno, piene di simbolismi che il buon David Simon si è rifiutato di rivelare, perchè, come un quadro astratto, se lo si capisce all'istante è bene, altrimenti perchè insultarlo con qualche spiegazione? Possiamo pensare a quando Marlo attraversa la strada e i ragazzi all'angolo, che stanno parlando e mistificando come sempre il nome di Omar, non lo riconoscono nemmeno. Possiamo pensare a tutti gli altri spunti di geniale riflessione offertici da The Wire e dire che forse avrebbe meritato di più. Forse avrebbe meritato di più da noi, che l'abbiamo seguito ed amato veramente in pochi, visto che la HBO è stata sul punto di cancellarlo praticamente dopo ogni stagione. Forse, anzi, sicuramente avrebbe meritato di più. Ma come ha detto “Snoop”: “Il merito non c'entra niente in questa storia. Stavolta tocca a lui, tutto qui”. Quasi come se The Wire, come opera d'arte ma anche come prodotto di un network che è ben conscio di essere tale, volesse riflettere su sè stesso e su ciò che rappresenta ad un livello superiore.

The Wire - Special “...THE LIFE OF KINGS.” - H.L. Mencken “...as I look back over a misspent life, I find myself more and more convinced that I had more fun doing news reporting than in any other enterprise. It is really the life of kings." Questa è l'ultima super quote di The Wire. David Simon chiuse così, con una citazione un po' amara e nostalgica, per aver abbandonato il mondo giornalistico. A sua detta perchè i giornalisti stessi avevano ucciso l'industria privandola di una certa onestà ed integrità e di un certo coraggio. Allo stesso tempo però, David Simon dichiara il suo amore per il giornalismo, per il “news reporting”, quello vero, che permette di mostrare la verità, la realtà, il lato umano della vita, senza mascherarlo o coprirlo e senza alleggerire il tutto; perchè alla fine Simon può aver cambiato industria, posizione, ma la sua anima rimane quella, non di un narratore, come un Chris Carter, ma di un giornalista appunto, e probabilmente, forse involontariamente, di un professore e mentore per tutti noi sudditi del suo capolavoro. La verità è che potremmo andare avanti all'infinito a parlare di The Wire e voi potreste continuare a leggere, sprecando del tempo prezioso, visto che dovreste già essere davanti allo schermo. Parlare di The Wire, anche a tre anni di distanza dalla sua conclusione, è veramente molto difficile, tanto che l'entusiasmo e la passione sono superati dalla tristezza e dal rammarico di sapere che non esisterà mai più un qualcosa del genere. L'unica cosa che ci è concessa è quella di continuare a guardarlo e riguardarlo in continuazione, studiando ogni sua sfaccettatura, come un'opera d'arte, sia essa un film o un quadro, di cui si può apprendere sempre qualcosa di nuovo, che prima ci era sfuggito o che non eravamo ancora in grado di comprendere. Gli ultimi cinque minuti e mezzo dell'episodio finale sono quanto di più artistico si sia mai visto in un telefilm. Questa è una delle più grandi opere d'arte che siano mai state concepite nella storia dell'umanità e possiamo solo sperare(o forse non dovremmo) che un giorno David Simon decida di riportarci a Baltimora, perchè The Wire è finito ma la guerra alla droga e tutto ciò che c'è attorno continua...perchè il gioco resta il gioco...e il re, resta il re; “See the king, stay the king”.