Big Sky: vi raccontiamo una delle novità Disney+ Star con Katheryn Winnick

La prima serie per adulti su Disney+ in arrivo il 23 febbraio tramite Star è un crime drama che esplora le paure e le follie dell'America post COVID-19.

Big Sky: vi raccontiamo una delle novità Disney+ Star con Katheryn Winnick
Articolo a cura di

Il 23 febbraio Star farà il suo debutto su Disney+, dando la possibilità alla piattaforma della Casa di Topolino di ampliare la sua offerta con un ricco catalogo per adulti. Il servizio streaming ha deciso di cogliere quindi l'occasione per portare fuori dai confini statunitensi uno show televisivo che in patria sta facendo molto parlare di sé, ovvero Big Sky, che in poco tempo ha attirato l'attenzione di pubblico e addetti ai lavori. Le motivazioni del perché sia stata scelta questa serie come tedofora della nuova fase Disney sono molteplici, e tutte ragionevoli: per prima cosa, si tratta di un prodotto che ha un cast d'eccezione - basti pensare a una Katheryn Winnick ormai stella internazionale del serial grazie a Vikings, o al veterano della televisione americana Ryan Phillippe; in secondo luogo, lo show è un adattamento di The Highway, romanzo del "re" della narrativa poliziesca contemporanea C. J. Box; infine (ma non per importanza) la serie è attuale in ogni senso più squisito del termine, e si può definire come il primo tentativo americano di presentare il mondo dopo la pandemia globale di COVID-19.

Abbiamo avuto l'occasione di vedere in anteprima i primi due episodi di Big Sky e vi daremo quindi le nostre impressioni riguardo alle puntate di apertura di uno degli show di punta tra le uscite Disney+ di febbraio. In attesa di scoprire come si evolverà la storia, forniremo un primo sguardo critico sui punti e le tematiche chiave trattati dalle battute iniziali della serie, rimandando un giudizio più completo alla recensione finale.

Strade (s)perdute

Basata su in intreccio semplice e non particolarmente rivoluzionario, Big Sky ha la forza di imporsi nel mercato perché ha il coraggio di non nascondersi dietro la negazione. Lo show ideato da David E. Kelley ha abbracciato la voglia di raccontare di una società quanto mai frammentata e spaventata come quella che ha dovuto affrontare il coronavirus. Non è quindi la paura di ciò che non puoi sconfiggere ad animare la serie, quanto piuttosto la diffidenza e il timore verso gli altri esseri umani, la follia e il disturbo mentale alimentato da una situazione di forzata reclusione. Il mostro più terribile è - prevedibilmente - l'uomo più che il virus, da sempre peggior nemico di sé stesso.

Come già anticipato, la trama appare piuttosto lineare e semplice nelle premesse. Il pilot si apre subito presentandoci uno degli elementi "del conflitto" che saranno ricorrenti nella serie: l'ex agente Jenny Hoyt (Katheryn Winnick) si reca presso la Dewell & Hoyt Private Investigations, dove trova la nuova compagna del marito Cody, Cassie Dewell (Kylie Bunbury). Tra le due (com'è possibile immaginare) non scorre buon sangue, e sin dai primi istanti si comprende come la loro rivalità vada ben oltre la semplice attrazione di entrambe per l'uomo, vero e proprio "oggetto" della contesa. Jenny e Cassie sono incompatibili perché sono l'una lo specchio dell'altra. Dove la forza d'animo accomuna le due donne, il modo di percepire le relazioni con il mondo le differenzia completamente. Jenny appare da subito un personaggio molto indipendente e diffidente, segnata dalle sue esperienze in polizia e poco aperta al confronto; Cassie, invece, è molto più positiva e cerca di instaurare un rapporto civile anche con la moglie del suo compagno. Tuttavia, lo scontro è inevitabile, e Cody Hoyt (Ryan Philippe) - che dovrebbe essere l'ago della bilancia nella relazione tra le due - semplicemente appare come un uomo contraddittorio e indeciso, sul quale è impossibile fare affidamento.

Il primo tentativo di sovvertire una narrativa altrimenti piatta avviene nella presentazione dell'elemento crime e misterioso dello show. Quando si tratta di serie simili, il grande quesito che lo spettatore deve risolvere riguarda l'identità del criminale di turno, che rimane celata nel mistero sino agli istanti finali, spesso condito da un colpo di scena. Big Sky decide di prendere una direzione completamente differente, e di fornirci già dal primo episodio il punto di vista del cattivo. Ronald Pergman (interpretato da un altro volto noto del cinema e della televisione, Brian Geraghty), è un camionista trentottenne che vive ancora a casa con la madre e che presenta ogni tipico cliché della "mente perversa": pressione sociale che deriva dall'ambiente famigliare, insoddisfazione sul lavoro e nella vita personale, insicurezza, attacchi isterici d'ira e di frustrazione e un rapporto conflittuale con il sesso opposto.

È comunque interessante notare come lo show decida di mostrare la tristezza che circonda il personaggio di Ronald, che forse non agisce consapevolmente nel male, quanto piuttosto sia un uomo che abbia sempre avuto bisogno di aiuto, ma non l'ha mai ricevuto, anche a causa di una madre che sembra fin troppo apprensiva nei suoi confronti. Tuttavia, Ronald non perde occasione per dare sfoggio della sua psicosi e follia, quando la povera malcapitata Jerrie Kennedy (Jesse James Keitel), una sex worker che lavora soprattutto con camionisti, si trova sulla sua strada. Jerrie non è che la prima vittima di un gioco sadico che vuole farci dubitare della società in cui viviamo.

A fare le spese della malsana emotività dell'uomo sono anche le due sorelle Danielle (Natalie Alyn Lind) e Grace Sullivan (Jade Pettyjohn), due ragazze che si trovano nella stessa strada (s)perduta di Ronald nel momento più sbagliato possibile. Danielle si scopre essere nientemeno che la fidanzata di Justin Hoyt (Gage Marsh), il figlio di Cody e Jenny, e la sparizione delle due - che dovevano recarsi proprio da Justin - è la miccia che fa esplodere l'intera storia: Jerrie, Danielle e Grace si trovano imprigionate e impaurite per la loro incolumità, totalmente all'oscuro di quello che potrebbe essere il loro destino; Jenny, Cassie e Cody, invece, iniziano una serie di indagini per capire cosa potrebbe essere successo alle ragazze, scoprendo quello che potrebbe essere un piano ben più esteso, malvagio e terrificante.

Una società corrotta

Ciò che più colpisce dei primi episodi della serie è che le ambientazioni, a discapito del comune immaginario che abbiamo del Montana e delle sue vaste highways, risultino in realtà piuttosto claustrofobiche e terribilmente chiuse su loro stesse. Le transizioni tra le varie scene vorrebbero alleviare questa sensazione, ma il vero risultato che ottengono è di ampliare ancora di più il disagio vissuto dallo spettatore. La verità è che la società post-pandemia non è più la stessa, e ha cambiato nettamente il mondo: le strade non sono più frequentate come prima, la diffidenza regna sovrana, e persino alcuni locali vuoti e chiusi vengono mostrati, come quello nel quale Cody incontra l'agente Rick Legarski (John Carroll Lynch), per comprendere come proseguire con le indagini che sembrano coinvolgere non solo le tre ragazze rapite, ma una serie di sparizioni che durano da tempo. L'immagine più potente che lo show si porta con sé, al termine dei due episodi che abbiamo potuto analizzare in anteprima, è quella di una società corrotta, che mostra le sue più grandi contraddizioni, ma che non necessariamente è cambiata. Forse il vero problema dell'essere umano è che ha la tendenza naturale al male; ecco come l'uomo semplice può diventare un pericoloso criminale, o come i difensori della legge possono rivelarsi i più efferati killer. Negli istanti conclusivi dell'episodio pilota, la massima rappresentazione della corruzione della moralità si palesa con un colpo di scena - forse prevedibile - ma di sicuro effetto.

Un evento sconvolgente che avviene alla fine della prima puntata, infatti, costringe Cassie e Jenny a collaborare sul caso delle sparizioni, e questo porta la narrazione a esplorare nuove dinamiche. Le due donne prendono strade diverse, a dimostrazione dell'incompatibilità del loro carattere. Se Cassie sceglie un approccio più standard e classico, arrivando a colloquio con un sempre più strano Legarski, Jenny dimostra di avere molta più competenza "sulla strada", e decide di provare a scavalcare la legge per comprendere le mosse di un possibile rapitore. Al momento i due approcci non hanno dato vita a particolari scontri, tuttavia sembra ovvio che Jenny e Cassie dovranno cercare di collaborare molto di più per portare a termine le loro indagini. Inoltre, il dialogo dai toni fortemente inquietanti tra Cassie e Legarski permette alla serie di trattare di alcune problematiche che affliggono tuttora il nostro mondo, come la difficoltà per una donna (per altro, rappresentante di una cosiddetta "minoranza etnica") di riuscire a farsi valere in un ambito ancora ritenuto fortemente maschile come quello dell'investigazione, oltre che a svariate riflessioni sulla sessualità e l'identità di genere.

Non il solito crime drama

Ciò che meglio caratterizza Big Sky, in ogni caso, è il suo tentativo di emanciparsi dai soliti cliché che affliggono il genere poliziesco nelle serie televisive degli ultimi anni. Il voler mostrare più facce dell'intricato puzzle che compone il mistero che dovrà essere risolto nel corso delle puntate è il primo elemento innovativo. Non ci sono solo i punti di vista degli agenti di turno che dovranno risolvere l'ennesimo caso, ma spesso la regia interviene per cambiare angolazioni, per permettere di osservare le sensazioni, le paure e le personalità di chi spesso è solamente l'oggetto della contesa, ovvero le persone rapite, o anche per approfondire al meglio la complessa psicologia dei "cattivi" sempre più sfaccettati e pieni di contraddizioni ogni minuto che passa.

A proposito di regia, un altro elemento che pone fortemente in contrasto lo show di Kelley rispetto ai classici polizieschi che riempiono i palinsesti televisivi è proprio l'utilizzo raffinato della macchina da presa. La narrazione procede a ritmi molto serrati tra le varie scene, e un sapiente utilizzo del montaggio parallelo permette di avvicinare molto tra loro i personaggi all'apparenza così diversi, ma le cui esistenze dovranno scontrarsi con lo stesso crudele destino. Inoltre, anche la messa in scena e la fotografia non disdegnano alcune piccole minuzie tecniche, come l'uso del campo lungo per cogliere alcuni elementi dello scenario altrimenti invisibili allo spettatore, o al sapiente utilizzo delle colorazioni degli ambienti e dell'illuminazione per donare particolari ombreggiature ai volti dei protagonisti, facendo assumere loro svariate espressioni altrimenti impercettibili.

In generale, Big Sky risulta al momento un progetto convincente. La strada è ancora lunga, e la serie dovrà compiere un ulteriore salto, sia dal punto di vista della trama che da quello dell'approfondimento dei personaggi, per potersi definire un esperimento riuscito. Quello che però ci è rimasto impresso è il grande impegno profuso per cercare di guardare al mondo contemporaneo e di non rinchiudersi all'interno dell'enorme mare magnum di "prodotti usa e getta" che servono a far passare qualche ora di divertimento ma che non lasciano nulla.

Il desiderio di rappresentare una società a più strati e contemporanea sotto ogni punto di vista diventa palese tramite l'approfondimento di tematiche come quelle del ruolo della donna, dei rapporti di potere tra sfera maschile e femminile e, soprattutto, dell'identità e del genere - al momento solamente accennata, ma che è facile evincere come diventerà tra i punti cruciali della trama. Un inizio che coinvolge chi vuole rilassarsi dopo una dura giornata, ma che sa farsi apprezzare da chi cerca qualcosa di più. Ci troveremo di fronte al prossimo grande show della televisione americana? È presto per dirlo, ma quantomeno Big Sky ha ora la nostra attenzione.

Big Sky - Stagione 1 Intrattenimento sì, ma di qualità. Big Sky ha tutti gli elementi per piacere agli amanti del crime drama classico: un mistero da risolvere, dinamiche complesse e tanta investigazione. Tuttavia, la serie tenta di uscire dai classici confini molto ristretti del genere, presentando alcuni spunti interessanti e non banali. La rappresentazione della società americana post-COVID, i problemi delle relazioni interpersonali affrontati a più livelli, e la rappresentazione di tematiche forti come l'identità e il gender sembrano non essere solamente un contorno vuoto, quanto piuttosto parti integranti della narrazione. Un inizio incoraggiante, che speriamo venga portato avanti nei successivi quattordici episodi che andranno a chiuderne la prima stagione.