Fargo 4: prime impressioni sulla nuova stagione della serie FX

Dopo una lunga attesa, la serie antologica di Noah Hawley torna anche in Italia con la sua quarta stagione. Ecco il nostro parere sui primi episodi.

Fargo 4: prime impressioni sulla nuova stagione della serie FX
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All'alba del nuovo decennio, in molti avranno pensato che Noah Hawley avesse ormai chiuso le porte di Fargo con il climax della sua terza stagione. La serie antologica di FX, ideata da un autore che meglio di chiunque altro si è dimostrato in grado di sintetizzare la filosofia dell'omonimo cult cinematografico e di evolverne i significati, pare invece aver trovato nuova linfa cui attingere.

Forse, in un altro contesto, una quarta stagione non sarebbe neppure esistita: lo stesso Hawley, tirando le somme del proprio operato, ammise che il dialogo dell'opera aveva raggiunto la sua perfetta conclusione e non c'erano idee valide per portare avanti la serie. Tre anni dopo quella dichiarazione (e a seguito di numerose problematiche legate alla pandemia globale, costate un rinvio di alcuni mesi) una nuova "storia vera" si accinge a debuttare sui nostri schermi tra le uscite Sky di novembre.

Pur ammettendo a più riprese le altissime aspettative per il ritorno della serie, è parso chiaro ed evidente quanto fosse necessario distaccarsi da ciò che lo show aveva raccontato finora. La fiaba archetipica di Hawley aveva raggiunto vette altissime, sia nella narrazione che nella sua dimensione allegorica, e proprio per questo urge fare una premessa: per quanto i cenni e le atmosfere richiamino spesso il passato, le cose sono molto diverse. Proprio per questo vanno analizzate sotto una nuova luce. Il fascino della serie mantiene le sue caratteristiche, ma lo stile narrativo appare drasticamente mutato insieme al contesto: facendo più che mai leva su elementi storici e sul concetto di "storia vera", Fargo ripoggia saldamente i piedi per terra e si concentra sull'epopea criminale della Kansas City degli anni '50.

Il "sogno americano" dei reietti

Attraverso gli occhi di una giovane ragazzina afroamericana, utilissimo collante per le vicende e narratrice indiretta del prologo, l'ambiente che viene mostrato su schermo racconta l'alternarsi delle famiglie criminali di immigrati all'interno della celebre città americana dai primi del '900 fino all'incirca a metà secolo. Prima ci furono gli Ebrei, poi gli Irlandesi, poi gli Italiani.

Legati da un vincolo che prevede lo scambio di figli fra due famiglie come promessa di rispettare la pace, i vari gruppi di fuorilegge hanno sempre finito col tradirsi a vicenda affinché soltanto un clan potesse prevalere. A ciò seguiva una relativa pace, fino all'arrivo di un nuovo gruppo. Dopo la presa al potere degli italiani, capitanati dalla famiglia Fadda, gli anni '50 vedono l'arrivo di un gruppo di afroamericani capitanati da Loy Cannon (un Chris Rock messo a dura prova nello svestire i panni del comico a fronte di un ruolo di primo piano in una serie drammatica).

Anche in questo caso, Don Fadda (un delizioso Tommaso Ragno, primo italiano del cast) e Cannon si scambiano i figli come pegno di fedeltà al fine di mantenere la pace fra le due fazioni. Ma, come evidenziato dalla giovane voce narrante, "se c'è una cosa che la storia ci insegna, è che la pace non dura a lungo". Fra l'alternarsi di intrighi e schermaglie fra i due gruppi criminali, i primi episodi mettono in evidenza numerosi personaggi e altrettante situazioni che portano alla luce le principali tematiche della stagione: quella di Kansas City è una storia criminale che ruota intorno a individui coesi e forti, ma che sono stati lasciati fuori dal sogno americano e sono in qualche modo vittime di discriminazione da parte di un sistema prevalentemente ostruzionista. Diverse trame legate dal sottile filo della violenza, che si mescolano alle lotte di classe e ai conflitti razziali dell'epoca.

Come il vento e come la polvere

Per quanto possa sembrare il contrario, però, anche questa stagione riesce a portare alla luce alcuni elementi tipici della sua struttura passata: pur con meno evidenza e - forse - meno rilevanza, permane l'alternanza tra opposti che si scontrano mentre individui fragili si lasciano sopraffare dalla tentazione. Allo stesso modo, opposte a tutto ciò, sembrano esserci anche qui figure di "legge" e figure di "innocenza".

Se da una parte si trova il folle personaggio dell'infermiera Mayflower (la Jessie Buckley di Sto pensando di finirla qui), un angelo della morte che agisce senza apparente criterio, dall'altra la giovane Ethelrida (E'myri Crutchfield) personifica il bene e la virtù di chi lotta quotidianamente contro i "mali" di una società bigotta e retrograda, finendo probabilmente in conflitto con alcune delle grandi forze che la regolano.

Il racconto di Fargo si mostra non soltanto come una diatriba tra culture e figure differenti, ma mette al centro la supremazia come strumento di controllo. La fiaba del reale si evolve e muta così in fiaba dell'identità: sociale o razziale che sia, egoistica o patriottica che possa sembrare, essa mostra come il bene e il male possano assumere nuove forme tra chi si è guadagnato la terra "con sangue e sudore" e chi a quella terra appartiene "come il vento e come la polvere". Ennesima prova, qualora fosse necessario, della sintesi che le passate stagioni auspicavano e oggi è stata raggiunta: ora più che mai, Fargo non è più un luogo, ma uno stato mentale.

Familiare o evoluto?

Pur mutando profondamente la sua struttura, va senza dubbio menzionato che la qualità della produzione rimane altissima: il production design di Warren Young passa senza difficoltà dalle foreste del Minnesota a una città che non si vede mai nella sua interezza, ma che rende credibile ogni contesto. A ciò si aggiunge l'intenzione di mantenere i riferimenti alla "stranezza" e all'eccentricità dei personaggi, punto di forza delle passate stagioni.

Soffermandosi con più attenzione sui numerosi elementi narrativi e le varie scene, tuttavia, l'equilibrio e la resa d'insieme cominciano a vacillare. Non si discute certo sull'ennesimo ensemble intrigante, composto da diversi interpreti che non esitano a dar prova delle loro capacità: basti pensare all'ottimo Ben Wishaw nei panni di un interessante irlandese affiliato agli Italiani o alla piacevole apparizione di Salvatore Esposito in un ruolo importante all'interno della famiglia Fadda.

Come già accennato, inoltre, sarebbe assurdo pensare che Hawley e soci vacillino sulle intenzioni. Ciononostante, di fronte a una narrativa che intende mostrare alcuni contesti dando maggior risalto alla satira, la superficialità di certi personaggi appare disarmante nonostante gli attori sembrino far del loro meglio per evitarla. Pur non mostrandosi del tutto fuori posto, pochi personaggi riescono a cogliere nel segno. Altri, peggio ancora, finiscono per evidenziare troppo alcune sfaccettature col rischio di scadere nel caricaturale. Forse sarà questo il problema più grande di un Fargo che cambia e sa di esser cambiato: osare meno per muoversi altrove potrebbe non fruttare come le scelte fatte in passato.

Tra dubbi e attese

Non sarebbe peccato pensare che la nuova stagione possa rendere al di sotto delle aspettative. Tra dubbi e incertezze, va comunque dato merito alla produzione di aver creato ancora una volta una serie di buon livello. Del resto, in un altro contesto, uno show come questo avrebbe avuto comunque discrete possibilità di successo al di là del proprio nome. Lo show appare più leggero, meno surreale e lascia intendere che potrebbe rimanere così anche per il suo prosieguo. Ma starà al tempo stabilire se ciò potrà essere una condanna o il segreto di un nuovo successo. Va detto che alcune delle peculiarità che rendevano speciali le passate stagioni sono parecchio ridimensionate e, almeno al momento, i presupposti del plot principale lasciano pensare a tutto fuorché a qualcosa di straordinario.

Mai pronunciarsi definitivamente prima della fine, sia chiaro. Anche in passato il giudizio avrebbe rischiato di essere equivoco se dato a stagione in corso. Non può però passare inosservata la sensazione che la complessità e la struttura a più livelli degli anni scorsi siano state sostituite da un articolato gioco di citazioni e rimandi ai gangster movie più famosi, mentre i temi e i significati più profondi siano stati messi da parte per esser ripresi soltanto in un secondo momento. Riserviamo ulteriori considerazioni in attesa del prosieguo.

fargo-stagione 4 A giudicare dai suoi primi episodi, la quarta stagione di Fargo si mostra leggera e godibile, ma con poco mordente rispetto a ciò a cui ci ha abituati nel corso degli anni. La sensazione che la complessità e la profondità siano state sacrificate in funzione di una narrazione più di carattere sociale o etico lascia spazio ad alcuni dubbi sul suo prosieguo.