Atlanta Robbin' Season: prime impressioni sul ritorno della black comedy

Ritorna la serie ideata, scritta, diretta e interpretata da Donald Glover: ecco le nostre impressioni sul primo episodio.

Atlanta Robbin' Season: prime impressioni sul ritorno della black comedy
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Nel 2016 dagli schermi di FX esce un mezzo miracolo. Ideato, scritto, recitato, musicato e in parte girato dall'eclettico Donald Glover, in una decina di episodi da mezz'ora Atlanta si fa carico di rappresentare uno spaccato di vita assolutamente reale, disilluso e - nonostante la sua fortissima identità afro-americana - universale. Perché le avventure di Earn e compari sono sì altamente black, ma parlano di una disperazione che è comune in tutto il mondo: quella della sopravvivenza, dell'inseguire un sogno che non si realizza, di sbarcare il lunario come si può. Pur nella sua crudezza, è un racconto surreale, comico a tratti grottesco, che fa della satira una delle sue armi più taglienti, proponendoci personaggi e situazioni fuori di testa, ma che nella loro assurdità riescono perfettamente a cogliere il segno, a pungere nel vivo quelli che sono i problemi che affliggono la società occidentale tutta. Dopo due anni e una miriade di altri progetti alle spalle, tra cui il nuovo album e il ruolo di Lando nel prossimo spin-off di Star Wars, Glover torna tra le strade della città della Coca-Cola, con la seconda stagione Atlanta: Robbin' Season, che in Italia debutterà da Maggio su Sky.

La stagione delle rapine, viene e va

Come ci aveva abituati la prima stagione, il nuovo corso di Atlanta si apre con tutto e il contrario di tutto. Una situazione apparentemente quotidiana: due ragazzi qualsiasi sono in auto nella zona drive di un fast food. Aperto lo sportellino, il dipendente del locale si ritrova davanti due maschere ridicole, armi da fuoco, ed è subito sparatoria - per altro girata benissimo, con un senso del ritmo e dell'azione che non ci si aspetterebbe mai in quella che potrebbe essere letta banalmente come una comedy . Sempre con un pizzico di grottesco, la sequenza si chiude in tragedia, per poi staccare e ritornare sui volti a noi ormai noti. È la stagione delle rapine, la robbing season appunto, ci spiega Darius (Lakeith Stanfield), quel periodo vicino alle festività natalizie dove aumentano a dismisura i casi di rapina, per potersi permettere i regali o addirittura il cibo per i vari cenoni. Ancora una volta quindi veniamo catapultati dentro una situazione di malessere e disuguaglianza sociale con una leggerezza e un'assurdità disarmanti, che dopo l'iniziale sorriso ci spiazzano nella loro gravità.

I dolori del giovane Earn

Pur non essendo un seguito vero e proprio, non avendo quindi un filo immediatamente diretto con la prima stagione, ritroviamo tutti i volti che abbiamo imparato ad amare, e li ritroviamo pressoché nello stato in cui li avevamo lasciati. Earn (lo stesso Donald Glover) è sempre praticamente un senzatetto, vive in un box-deposito lontano dalla figlia e la pseudo-compagna Van (Zazie Beetz), e continua ad ambire un posto nell'industria della musica; suo cugino Al (Brian Tyree Henry), a cui Earn vorrebbe fare da manager, continua a dividersi tra lo spaccio di droga e la carriera da rapper, cose che satiricamente parrebbero legate, con il nome di Paper boi. Suo coinquilino è sempre Darius, il personaggio più emblematico della serie, tra il suo essere stralunato e dissociato dal mondo, così come assolutamente profondo e sensibile. Intorno ai protagonisti vanno a costruirsi tutte le vicende, assolutamente eterogenee tra loro e sempre con un occhio all'attualità e i problemi reali. Nucleo di questo primo episodio di stagione è l'alligator man del titolo, zio di Earn. Quella di Earn è una vera e propria quest, con lo scopo di ingraziarsi il mandante, Al, ormai quello ricco, per ricevere una fetta del bottino. Lo zio, peraltro con problemi mentali, ha apparentemente avuto una disputa con la sua compagna a causa della scomparsa di cinquanta dollari. Da qui si apre una riflessione sia sulla violenza domestica che sulla solitudine e l'abbandono a cui sono lasciati i poveri disgraziati che non possono permettersi un adeguato trattamento di cura.

L'anti-climax di Glover

Tutto questo - che normalmente, date le tematiche,si presterebbe a uno sviluppo retorico imponente - ci è mostrato con le consuete schiettezza e rapidità tipiche della serie. Bastano pochi sguardi, poche parole, e Glover riesce a mettere su schermo quello che gli premeva: il concetto arriva rapidissimo e incisivo. Come se non bastasse, il carico emotivo è disinnescato da una chiusa imprevista e assurda, che non vi anticiperemo, facendoci amare ancora di più quello a cui abbiamo assistito. Insomma, la nuova stagione di Atlanta si apre nel migliore dei modi, mantenendo i suoi efficaci punti fermi nella struttura, con questo racconto spontaneo e naturale, dimostrando contemporaneamente di avere sempre un linguaggio fresco e tantissime idee. Se anche è vero che non si può giudicare un prodotto da così poco, non fatichiamo però a esaltarci e prevedere come l'opera di Glover si confermi uno dei migliori show in circolazione per intelligenza, creatività e profondità.