La Casa di Carta Corea: il remake coreano del successo Netflix funziona?

I primi episodi del remake asiatico ricalcano le orme della serie di Álex Pina e ne evolvono il contesto politico e sociale, ma basterà?

La Casa di Carta Corea: il remake coreano del successo Netflix funziona?
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Nel 2021 la trepidante attesa per la conclusione di uno degli show più amati e seguiti di Netflix catalizzava l'attenzione del mondo seriale e dei fan. La Casa di Carta è stata un fenomeno globale, una serie che sin dal suo sbarco sulla piattaforma di Reed Hastings ha tenuto incollati milioni di spettatori in giro per il globo, affascinando con i piani al limite dell'impossibile del Professore ed esaltando con le azioni altrettanto esasperate della banda dei Dalì. I personaggi di Berlino e Tokyo sono entrati nella cultura pop all'istante, così come le divise rosse con le maschere (un'iconografia rielaborata con successo anche da un altro caso mondiale, come ricorderete dalla nostra recensione di Squid Game).

E se la recensione finale de La Casa di Carta 5 ha tirato le somme sulla rapina al Banco di Spagna e sull'intera produzione, la notizia di un remake coreano dello show di Álex Pina aveva fatto storcere il naso a molti, ma alimentato anche le eventuali prospettive derivanti dal cambio di setting. Ora che La Casa di Carta Corea sbarca sui nostri schermi tra le serie Netflix di giugno 2022, una sola domanda si fa strada nella testa dei fan e non solo: ne è valsa la pena? Alla luce dei primi episodi visti in anteprima la risposta, come sempre, sta nel mezzo.

Tra ucronia e k-pop

Diciamo addio alla maschera di Dalì per indossare quella di Yangban e iniziamo subito col dire che La Casa di Carta Corea prende il la da un evento sociale e politico che potrebbe davvero fare la differenza con lo show originale. L'unificazione delle due Coree è infatti il motore dell'azione che genera una situazione di scambio e comunione tra due popoli e due culture divise da tempo, che hanno così modo di relazionarsi nuovamente con tutti i vantaggi e le frizioni del caso. Nonostante la creazione di un clima unitario a livello formale, sono ancora in pochi a beneficiarne, e non parliamo ovviamente della popolazione generale. Qui si inserisce il piano del Professore, intenzionato a creare una squadra composta da uomini e donne del nord e del sud della Corea per tentare il furto più colossale della storia ai danni della zecca unificata.

È indubbio che il plus principale di questo remake sia rappresentato proprio dall'ucronia ideata per l'occasione, un concetto che allontana la produzione coreana da quella spagnola e che genera un ulteriore sostrato di potenziali conflitti che aiuta ad arricchire l'ordito di queste prime puntate. È nelle backstories dei personaggi e negli eventi che precedono la rapina che ha modo di spiegarsi l'anima k-drama di questa incarnazione de La Casa di Carta, dal punto di vista formale e stilistico, con tutte le limitazioni e i depotenziamenti dovuti alla necessità di seguire un canovaccio già scritto, ma di questo parleremo a breve. C'è da dire che al momento l'empatia con i personaggi risulta leggermente affievolita dal confronto con i caratteri latini di Alvaro Morte e Ursula Corbero, ma ovviamente il tutto è riconducibile al transfer culturale e cinematografico operato da Netflix.

Déjà-vu

È inevitabile constatare un'evidenza imprescindibile, ovvero che La Casa di Carta Corea ricalchi pedissequamente lo show originale Netflix in quasi tutte le sue componenti, con i dovuti adattamenti. Ne consegue che i fan della serie madre si troveranno per forza di cose al cospetto di una scrittura e una messinscena che ricalcano in maniera abbastanza fedele le vicende già viste in precedenza, generando un effetto di déjà-vu che, dopo un serial come quello di Álex Pina, fondato sul susseguirsi bulimico di colpi di scena e cul-de-sac nei quali costringere i propri protagonisti, diminuisce sensibilmente il fattore sorpresa presente nella run principale.Tutto va bene o male come previsto, con poche eccezioni o cambiamenti. Le vicende di Tokyo e compagni sono instradate già dall'inizio e duole un po' il fatto che, per limiti di contratto o semplicemente creativi, non si sia osato di più nell'adattare le dinamiche del furto con un piglio e un'originalità che non mancano certo alle produzioni coreane in genere. Questo boccone già gustato e digerito livella quindi ogni altro discorso fatto in precedenza sul cambio di setting e sulla scelta ucronica di unire le due Coree, scatenando le dinamiche di cui abbiamo discorso poche righe addietro. Ovviamente non abbiamo speranze concrete che questa situazione possa evolvere o mutare nel corso delle restanti puntate, perché il sentiero è chiaro e definito. Aspettiamo solo la fine di questa prima stagione per tirare le somme e scoprire se tutti gli altri elementi riusciranno a spostare l'ago della bilancia.

La Casa di Carta Corea - Stagione 1 La Casa di Carta Corea inizia col piede giusto, fondando il proprio setting sull’ucronia dell’unificazione delle due Coree. Il cambio di setting coincide anche quello culturale, non solo diegetico, ma su tutto si staglia il binario narrativo dello show di Álex Pina, che domina il processo di scrittura a livello di dinamiche ed eventi, il che depotenzia in qualche modo la sorpresa di trovarsi in un contesto inedito e interessante come quello descritto poc’anzi. Una sensazione di déjà-vu costante annulla l’ottovolante di colpi di scena già sperimentati nella versione spagnola, mentre ci vuole qualche attimo in più per entrare in empatia con i personaggi, dopo aver passato anni in compagnia di quelli originali. Certo, una maggiore autonomia e originalità avrebbero potuto restituirci un prodotto più tondo e ispirato, ma attendiamo la fine della stagione per esprimere un giudizio definitivo che, comunque, al momento, appare abbastanza inevitabile.

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