Chapelwaite: com'è la nuova serie tratta dal racconto di Stephen King

Abbiamo dato in anteprima uno sguardo a Chapelwaite la serie con Adrien Brody tratta dal celebre racconto Jerusalem's Lot di Stephen King.

Chapelwaite: com'è la nuova serie tratta dal racconto di Stephen King
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Si chiama "Chapelwaite" la serie figlia di "Jerusalem's Lot", celebre racconto di Stephen King apparso in una nota antologia pubblicata per la prima volta nel 1978. Abbiamo dato uno sguardo in anteprima alle prime due puntate della serie con protagonista Adrien Brody, che per l'occasione figura anche da produttore. L'immensa produzione di King, lo sappiamo, è materiale crepitante che a schermo non ha sempre trovato la sua sublimazione, come dimostra la recensione di The Stand, questo sia per le differenza congenite del medium sia per la necessità di rendere trasversali opere che, in realtà, avevano una poetica precisa, dei tempi di elaborazione opportuni di tematiche dense che non cercavano forzatamente di piacere a chiunque (le eccezioni ci sono, basta leggere la nostra recensione di The Outsider).

In altre parole, la colpa della produzione kingiana al cinema e in tv è stata quella di rendere forzatamente di massa e fruibile ciò che invece poteva diventarlo con il tempo attraverso esegesi, riletture e approfondimenti, sfruttando il fisiologico tempo di maturazione. Dare, insomma, preminenza al patrimonio artistico rispetto ai prosaici calcoli commerciali.

Chapelwaite: ambienti, atmosfere e una narrazione stratificata

Chapelwaite nelle prime due puntate sembra da una parte cedere alle esigenze di fruizione massificata, ma dall'altra si distingue anche per l'impegno che profonde nel cercare di preservare la corposità e gli elementi poetici del racconto di King. La serie è ambientata nel 1850 e racconta del capitano Charles Boone (Adrien Brody), un uomo addolorato che, dopo la prematura scomparsa della moglie, si trasferisce con i tre figli nella magione di famiglia: Chapelwaite, nel Maine, ricevuta in eredità dal cugino.

La città, la comunità, la magione stessa, nessuno sembra volere i Boone in quel luogo per il passato a dir poco maledetto della famiglia che si mischia con la superstizione del tempo. Ma ciò si scontra con l'ostinazione di Charles, uomo illuminato dal progresso, intenzionato a rimanere lì sia per ricostruire la sua vita che per regalare un nuovo inizio ai suoi figli. Quindi, l'approccio ben restituito allo spettatore è quello di un conflitto molto teso tra lo straniero e la comunità chiusa, tra superstizione e progresso, tra realtà e incubo. Ma soprattutto l'esordio è quello di un mistery horror che sfrutta la casa infestata come archetipo narrativo. Un luogo che deve incutere inquietudine e alimentare la tensione con piccoli segnali che fanno presagire, all'apparenza, qualcosa di indicibile e occulto. La casa e il resto degli scenari diventano i veri protagonisti della storia e acquisiscono una loro imprescindibilità narrativa.

L'occhio registico dovrebbe sfruttare abilmente la messinscena e distillare attraverso alcuni escamotage espressivi il nettare della tensione, ma proprio in questo ambito la serie sembra dilapidare quanto architettato, aumentando quella sensazione di rammarico, vista la cura con cui sono ricreate le sinistre atmosfere. Manca la tensione ma non la narrazione, quest'ultima perfettamente stratificata e articolata, in grado di dare dignità alle tante tematiche toccate nel racconto di King: il padre custode; la crisi creativa di una scrittrice in cerca di ispirazione; un'epidemia in corso che vede l'origine maledetta in Chapelwaite; le ambiguità di una comunità puritana, razzista e ostile in particolar modo alla famiglia protagonista; una dinastia imprevedibile con un passato oscuro.

Le delicate corde del terrore

Parliamoci chiaro, oggi il pubblico è abituato all'orrore, sia esso reale o fittizio. Esso è mostrato in maniera morbosa in tantissime produzioni, addirittura esorcizzato in alcuni sottogeneri. Generare terrore è, insomma, diventato ostico soprattutto quando lo si cerca in maniera voyeuristica e artificiale.

Ogni buon regista sa che oggi bisogna lavorare di astuzia, insinuare il brivido costruendolo passo passo sulle paure ataviche dell'uomo - ce lo insegna It Follows e lo abbiamo ritrovato nella nostra recensione di The Witch , due degli horror contemporanei più riusciti. Chapelwaite sembra apprendere a metà questa lezione, in quanto cerca di generare la paura alla stregua di Hill House (il libro di Shirley Jackson, non l'apprezzabile serie Netflix di Mike Flanagan), uno dei riferimenti del genere "case infestate". In Hill House, così come nei primi due episodi di Chapelwaite, il terrore non è gettato in faccia allo spettatore, bensì ha un'origine pacata, paziente, orchestrato attraverso le suggestioni dei protagonisti che potrebbero rendere possibile ciò che - forse - non c'è. È proprio dalla complicità degli interpreti che l'orrore prende vita, perché senza la predisposizione (e la buona scrittura) di questi ultimi, quello stesso terrore non sarebbe possibile.

In altre parole, non sono gli spifferi di vento né i rumori dietro le pareti a causare lo spavento. Ma è come vengono percepiti dai protagonisti questi segnali, come vengono rimandati allo spettatore attraverso gli occhi degli interpreti. E, in effetti, nelle prime due puntate di Chapelwaite le presenze non si mostrano mai chiaramente ai protagonisti, né tantomeno allo spettatore. Tornando a parlare di ambienti, come già presagibile dal trailer di Chapelwaite, il luogo della casa deputato a raccogliere gran parte delle tensioni è la cantina.

Non una scelta casuale. Lo scantinato è uno degli spazi simbolici più sfruttati dal genere horror. Esso rappresenta l'inconscio di ogni uomo, ciò che è insondabile, occultato alla superficie e che, per questo, inquieta. Nella serie con Adrien Brody la cantina ricorda esteticamente quella del primo The Conjuring ma i momenti di tensione, ribadiamolo, al momento non sono lontanamente paragonabili né tantomeno ricercati rispetto all'opera di James Wan.

Chapelwaite - Stagione 1 Dai primi due episodi, Chapelwaite appare come una produzione ricercata, soprattutto nelle atmosfere, certamente debitrice di un grande racconto di Stephen King, che al momento sembra calibrare sapientemente la parte estetica e narrativa pur pagando dazio in termini di tensione - quest'ultima mai avvertita pienamente. A dare ulteriori speranze sulla riuscita della trasposizione è il protagonista Adrien Brody, a suo agio con interpretazioni composte, sofferte e impegnative.