La Storia di Lisey: la serie di Stephen King su Apple TV+

Il Re torna sul piccolo schermo sceneggiando di persona uno dei suoi romanzi preferiti che prende vita tra le mani di Pablo Larraín.

La Storia di Lisey: la serie di Stephen King su Apple TV+
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Sarebbe interessante sfogliare l'agenda dell'ormai settantatreenne Stephen King per padroneggiare l'economia del tempo, tra pubblicazioni a cadenza quasi annuale, adattamenti delle sue opere per il cinema e la tv all'ordine del giorno e qualche ora di meritato relax. Solo lo scorso anno abbiamo avuto modo di incrociare il cammino del Re nella nostra recensione di The Outsider - una delle trasposizioni televisive più riuscite dei suoi romanzi - e nella recensione di The Stand, lo show Starz carico di aspettative che non ha soddisfatto appieno.

Le uscite Apple TV+ di giugno ci regalano ora un'altra serie molto attesa dai fan di King: La Storia di Lisey. Prodotta dalla Bad Robot di J.J. Abrams, lo show originale Apple in otto episodi è scritto nientemeno che dal Re in persona e diretto dal cileno Pablo Larraín (Jackie); uno dei registi più rappresentativi dell'ultima decade. La serie ha debuttato nel catalogo streaming di Cupertino il 4 giugno con i primi due episodi, per poi stabilizzarsi su una cadenza settimanale ogni venerdì. Abbiamo visto per voi il prologo di questa nuova avventura, per analizzarne pregi e difetti e capire se il romanzo più amato dal proprio autore abbia trovato una degna trasposizione.

La storia di Scott

La Storia di Lisey ruota attorno al lutto di Lisey (Julian Moore), vedova dello scrittore di fama mondiale Scott Landon (Clive Owen), e al ricordo di un amore romantico, a tratti morboso e inquietante che si regge sul mistero legato alla capacità di Scott di attingere ad un mondo parallelo per guarire dalle proprie ferite fisiche e mentali. Un mondo, quello di Boo'ya Moon, che è anche l'origine delle storie di Scott e del suo successo, ma che cela anche la minaccia dello Spilungo, essere soprannaturale che ne abita l'entroterra. Oltretutto Lisey deve fare i conti con la sua particolare famiglia e mantenere un rapporto con la sorella Darla (Jennifer Jason Leigh) per assistere l'altra sorella, Amanda (Joan Allen), che soffre di frequenti distacchi dalla realtà ed è incline all'autolesionismo, ma che nasconde un rapporto molto particolare con Scott, che sembra dare segnali anche dall'aldilà, dato che coinvolge la moglie in una caccia al tesoro - una caccia al bool come la chiama lui - postuma, attraverso una serie di indizi disseminati qua e là nella quotidianità della donna.

Il percorso di Lisey è però ostacolato dalla subdola minaccia del professor Dashmiel (Ron Cephas Jones), in cerca degli inediti del defunto scrittore, e da quella più concreta di Jim Dooley (Dane Dehaan), squilibrato fanatico delle opere di Scott, ingaggiato da Dashmiel per abbattere la reticenza di Lisey a cedere le opere postume del marito.

Fin qui sembra che le premesse siano chiare e a tutti gli effetti lo show Apple abbia le carte in regola per sfociare in qualcosa di significativo. I rimandi a King e alla sua opera - non limitati al solo romanzo che ispira l'adattamento - non si fanno attendere, e lo stile del Re riesce ad emergere anche tra le pagine della sceneggiatura, fin troppo quando si tratta di certi dialoghi o costrutti, al punto che sarebbe stato forse più interessante affidare la scrittura ad una penna diversa da quella di King, che pare lottare con il concetto di adattamento ogni qual volta si trovi a redigere lo script di una sua opera.

I problemi iniziano a sorgere nel momento in cui, per lo meno nei primi due episodi, si iniziano a percepire i confini della scrittura per quanto concerne la profondità dei personaggi, con particolare riferimento alla figura di Lisey, che nel romanzo poteva contare su un flusso di coscienza che per lo meno ci metteva in diretta connessione con essa, ma nella serie Apple mostra tutti i limiti di una protagonista che pare vivere della luce riflessa di Scott; senza aspirazioni, senza pensieri, senza sostanzialmente una vita propria che fondi la propria ragion d'essere nell'autodeterminazione. Tutto questo al netto dell'inevitabile sofferenza di un lutto che si trascina comunque da un paio d'anni.

Quella che infatti sembra emergere è più la storia di Scott, che quella di Lisey, che appare più un veicolo narrativo attraverso il quale ripercorrere le vicende del marito, indissolubilmente legate a quelle della moglie a detta sua, ma che al momento non trovano un riscontro oggettivo oltre l'ordinarietà dell'inizio di un amore tra una giovane cameriera e uno scrittore di buone speranze dal passato travagliato, che affronta il proprio problema attraverso un escamotage soprannaturale.

Il salvagente in questo caso è fornito dalla buona interpretazione di Juliane Moore nei panni di Lisey, che trova un'alchimia convincente, sebbene a tratti bizzarra, con quel Clive Owen che non incrociava dai tempi de I Figli degli Uomini. Più in generale questo discorso può applicarsi anche ai personaggi secondari e ai rispettivi interpreti, con Jennifer Jason Leigh in testa e Joan Allen a seguire, mentre lo psicopatico interpretato da Dane Dehanne funziona e appaga nei limiti della semplicità del personaggio, che potrebbe non subire un'ulteriore evoluzione nel prosieguo della vicenda.

Il perturbante secondo Larraín

La regia di Pablo Larraín affronta dopo Jackie il tema della perdita e dell'elaborazione del lutto ponendosi in maniera più distaccata rispetto alla pellicola dedicata alla moglie del defunto Presidente Kennedy, pur mantenendo un rigore assoluto nella messinscena che rischia però di scivolare in ciclo ridondante di stilemi. La fotografia di Darius Khondji assoggetta i personaggi allo spazio diegetico con effetti quasi agorafobici, mentre in altre circostanze indulge con compiaciuta insistenza su fissi piani di disperazione, ottenendo un effetto straniante e allo stesso tempo magnetico, amplificato dalla colonna sonora di Clark.

La rappresentazione di Boo'ya Moon gioca su cromie contrastanti che tratteggiano un quadro onirico nel quale permane una sensazione perturbante che non fa che infittire il mistero intorno al luogo, ma allo stesso tempo ci fa sperare - forse vanamente - in risposte o indizi che al momento non vengono forniti. L'aspetto più doloroso di questa vicenda è che la scrittura, assecondata dalla messinscena, non ci permette di innescare un meccanismo che ci faccia percepire concretamente la minaccia fondamentale che si agita nella foresta di questo mondo altro dal nostro, così come i valori in gioco, ancora troppo indefiniti per farci parteggiare completamente per il personaggio asciutto di Lisey e farci così percepire il peso della minaccia dei fanatici cacciatori di manoscritti.

La storia di Lisey La Storia di Lisey non parte propriamente col piede giusto. La presenza totalizzante di King alla sceneggiatura rischia di non rendere giustizia all'operazione di adattamento, il che potrebbe comportare un cambio di prospettiva in negativo anche nei confronti della regia perturbante di Larraín. A baluardo della buona riuscita del progetto restano per ora il cast, con Juliane Moore in testa, e un comparto tecnico all'altezza. Potrebbe bastare per l'inizio, ma negli episodi successivi ci aspettiamo maggiore sostanza, soprattutto nell'espressione dei personaggi e delle dinamiche soprannaturali.