Luke Cage: prime impressioni sulla seconda stagione

Sbarca su Netflix la seconda stagione dell'uomo antiproiettile, l'eroe di Harlem. Quali pericoli dovrà affrontare per proteggere il suo quartiere?

Luke Cage: prime impressioni sulla seconda stagione
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La prima stagione di Luke Cage è stata intensamente contraddittoria: da una parte, infatti, riusciva efficacemente, sul versante estetico e tematico, a staccare dalle atmosfere criminali e dark preponderanti in Daredevil e Jessica Jones (seppur reinterpretate in maniere diverse e brillanti), dando una ventata di freschezza al parco delle produzioni Marvel-Netflix; dall'altro lato, lo show dedicato all'uomo antiproiettile di Harlem, pur sfruttando a dovere una buona parte del potenziale insito in una simile ambientazione, lasciava curiosamente adito ad una sottile vena di stanchezza portata dal modello di questi prodotti, una sensazione di una non perfetta distribuzione del plot attraverso le tanto discusse tredici puntate. Dalla seconda ondata di episodi ci si aspetta quindi una trama più coesa e ritmata, la giusta caratterizzazione di alcuni personaggi rimasti un po' vacui, Shades (Theo Rossi) su tutti, e un nuovo villain capace di bucare lo schermo, magari convogliando l'attenzione dello spettatore su aspetti inediti e fascinosi della variegata cultura afro-americana. Senza dimenticare l'anima più sociale, quasi polemica, che le è connaturata.

Un peculiare cambio di toni

Bastano davvero pochi minuti di visione per notare un drastico cambiamento di toni rispetto alla prima stagione, di gran lunga più scanzonati, che non si prendono molto sul serio, ma al contempo ben più coscienti del mondo odierno in cui ogni cosa è materiale da social.

E fidatevi, un Luke (interpretato dall'ottimo Mike Colter) che improvvisa una dub e un'app che segue gli spostamenti del granitico eroe sono soltanto un preludio. Un'evoluzione che segue di pari passo quella del protagonista, non più un uomo schivo e restio a emergere dall'ombra, quanto ormai un eroe a tutti gli effetti, apertamente il protettore e il beniamino di Harlem. È lui il solo a fronteggiare la rinnovata minaccia di Mariah (Alfre Woodard), una vecchia conoscenza pronta a sommergere il quartiere con un'altra micidiale alluvione di armi e violenza, messe a disposizione di una banda di criminali giamaicani capitanati da un uomo duro e senza scrupoli, oltre che misteriosamente dotato di una forza sovrumana.

Fin qui tutto bene

Meglio non farsi ingannare da una patina più scherzosa e, perché no, giovanile, visto che la serie Netflix non rinuncia ad affrontare tematiche scomode e spinose, né a scavare nei meandri intimi e oscuri dei suoi attori: Luke non è lo stesso, appare ossessionato, divorato da un desiderio di salvaguardare la sua Harlem, fino al punto di perdere la giusta prospettiva del suo operato; la detective Misty (Simone Missick) lotta ancora con i fantasmi in seguito al trauma vissuto nel crossover The Defenders; Claire (Rosario Dawson) sente le persone a lei più vicine perdere loro stessi in un turbine di ferocia senza fine.

Insomma, incastonati in una cornice di leggerezza spinta rispetto al passato si ritrovano i diamanti di riflessioni importanti, dolorose e mai banali, formando un'opera curiosa e sicuramente inaspettata, eppure realizzata con competenza ammirevole. Nelle prime puntate questi cambiamenti sembrano davvero funzionare alla perfezione, grazie anche alla presenza di un villain, il fantomatico Bushmaster (un Mustafa Shakir in forma smagliante), a dir poco maestoso e squisitamente tormentato dal suo imperativo di vendetta. L'incognita resta su alcuni aspetti ancora piuttosto grezzi (i dialoghi che tentano di ricollegarsi alla prima stagione sono forzati oltremisura) e sulla prova della lunga distanza, nella speranza che il buongiorno si veda dal mattino.