First look Public Morals - Stagione 1

Il nuovo serial di TNT debutta in modo non del tutto convincente, ma si sostiene grazie all'ottima performance di Edward Burns, coinvolto nel progetto anche dal punto di vista registico e autoriale.

First look Public Morals - Stagione 1
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Per una appassionato di serie televisive è motivo d'orgoglio valutare quanto i telefilm si siano evoluti negli ultimi quindici anni, quanto siano diventati rilevanti sia a livello artistico che economico, tanto da risultare in tante occasioni superiori alle loro controparti su grande schermo. True Detective, Sense8, solo per fare due esempi recenti, hanno insegnato come la narrazione seriale per immagini può rivelarsi più appagante e divertente rispetto a quella cinematografica. Arriva ora sul piccolo schermo Public Morals serie ideata e interpretata da Edward Burns, che sin dalle prime immagini tradisce la sua volontà di competere con le produzioni hollywoodiane. Non a caso tra i produttori esecutivi della serie c'è un esperto del calibro Steven Spielberg. Sicuramente i suoi approcci televisivi fino ad oggi non hanno sortito buoni risultati (vedasi Terra Nova), ma per il serial targato TNT il discorso potrebbe rivelarsi per fortuna differente.

Difensori della pubblica morale

New York si sa è la capitale del mondo e non c'è città su questa terra dove la morale non sia una legge assoluta, ma relativa. I motivi di tentazione, poi, si sa, sono tanti ed ecco che gli Stati Uniti d'America, pudici e puri, hanno predisposto una divisione della polizia che si occupi proprio della pubblica morale, al fine di mantenere pulita e corretta la città che non dorme mai. Gli agenti di questa divisione sono i protagonisti di Public Morals, ambientata negli anni Sessanta della Grande Mela. Edward Burns, ideatore della serie, dà il volto al protagonista, Terry Muldoon, ufficiale della divisione a salvaguardia della pubblica morale. Terry è un uomo tutto d'un pezzo, sposato, due figli, che educa secondo una ferrea educazione.
Accanto a Muldoon c'è Charlie Bullman, interpretato da Michael Rapaport, gigante buono e di sentimenti profondi, il quale prende a cuore il caso di una donna che si prostituisce per mantenersi, Fortune (Katrina Bowden).
Un altro collega dei due sopracitati è poi Sean O'Bannon (Austin Stowell), il quale può vantare un parente illustre nella malavita di New York Mr. O (Timothy Hutton).
In verità la divisione della pubblica morale del dipartimento di polizia di New York persegue i crimini che la riguardano solo di facciata, in verità, come gli stessi protagonisti spiegano chiaramente fin dal primo episodio, si preoccupano dei reati che dovrebbero perseguire, in modo che non creino danno all'immagine della città, ma loro stessi ne fruiscono senza troppi rimorsi. In effetti il punto di vista di Muldoon e soci è che prostituzione, gioco d'azzardo e i reati contro la morale in genere non danneggiano nessuno, per cui è inutile essere troppo severi.

Forma e sostanza

Public Morals è una serie "robusta": dalla messa in scena alla scelta degli attori, dalla fotografia ai costumi, è evidente che non sia una produzione di basso profilo. Non a caso c'è di mezzo la Amblin, casa di produzione di Steven Spielberg. La New York degli anni Sessanta è riprodotta secondo modalità che, fino a qualche tempo fa, erano appannaggio del grande schermo e che invece ora, per fortuna degli appassionati, vengono riprodotte anche in televisione. La New York del serial è riprodotta con grande fedeltà e ci rivela una città ancora figlia degli anni Cinquanta, tanto quadrati quanto ipocriti, è ancora lontana la rivoluzione degli anni Settanta, e il popolo della Grande Mela vive ancora in quella dorata ipocrisia in cui tutto è permesso fin quando non assurge alla pubblica cronaca. Gli agenti della divisione della pubblica morale ne sono un esempio lampante: di facciata sono dei rispettabili poliziotti che si occupano di offrire ai cittadini una New York rispettabile, dall'altra non disdegnano loro stessi i "peccati" che perseguono con lo spirito di far prevalere l'ipocrita assioma: "le cose si fanno ma non si dicono".
Il cast è ben assortito e vanta nomi d'esperienza e di talento; ormai è inutile continuare a rimarcare la provenienza cinematografica degli attori stessi: i progetti per il grande e piccolo schermo ormai si trovano sul medesimo piano. Suscita comunque ancora una certa meraviglia assistere sul piccolo schermo alle performance di artisti come Michael Rapaport ed Edward Burns, senza considerare il premio Oscar Timothy Hutton, il quale ha capito ben prima di altri suoi colleghi il potenziale artistico - narrativo delle serie televisive.
Ciò che invece sembra, almeno nelle battute iniziali, meno curato, è proprio l'elemento che può decretare la vita o la morte di una produzione: la storia. I primi episodi si limitano a illustrare le regole del gioco, quindi si fa la conoscenza dei protagonisti, lo spettatore viene introdotto nel contesto di Public Morals, in quella New York, perfettamente dipinta che fa da sfondo alle azioni dei protagonisti, le cui vite vengono narrate in questi primi episodi solo per mostrare la loro doppiezza morale, la loro vita quotidiana familiare all'insegna del perbenismo e dell'educazione, e la loro vita professionale in cui chiudere un occhio e cercare di far fruttare il potere tramite abusi, eccessi e corruzione, con la falsa consapevolezza che i reati perseguiti non lasciano vittime.
Naturalmente una produzione di tale livello non può continuare su questo tenore fin troppo superficiale, fatto di forma prevalente sulla sostanza. I nomi che emergono dai credits fanno in ogni modo ben sperare ed è normale che, almeno all'inizio di una serie televisiva, ci sia una doverosa introduzione all'ambientazione e ai personaggi. Dovesse perdurare quest'atteggiamento degli autori per altri due o tre episodi, allora il discorso cambierebbe.
Tale impostazione è anche figlia della struttura di Public Morals, che è corale: non c'è un solo protagonista, ma la storia si concentra sul racconto delle vite degli agenti della divisione buoncostume di New York, ecco perché inevitabilmente, l'intenzione di raccontare tutto si scontra con i limiti temporali degli episodi.

Public Morals - Stagione 1 Public Morals è una serie che ha dei numeri: produzione dai nomi altisonanti, autori navigati ed attori esperti e di talento. Con tali elementi a fare da fondamenta non si può bocciare subito una produzione che, al contrario, potrà entrare senza troppe difficoltà nel cuore del pubblico. La visione del serial risulta facile e godibile, gli autori stimolano l’interesse dello spettatore, che viene immerso in una New York di inizio anni ’60 magistralmente raffigurata sul piccolo schermo con tutte le sue bellezze e contraddizioni. La serie, inoltre, non ha un pubblico di riferimento ben preciso e, per quanto sia destinata a un pubblico adulto e per nulla diretta agli spettatori più giovani, può ritagliarsi una fetta trasversale di appassionati. L’unica pecca resta, almeno per ora, la trama, che non ha preso subito una direzione ben precisa, limitandosi a un’introduzione nemmeno troppo approfondita dei personaggi e del contesto in cui si muovono. Un altro elemento che potrebbe influire negativamente su Public Morals è il taglio corale: cercare di raccontare troppe storie di numerosi personaggi potrebbe equivalere a non raccontarne nessuna in modo appropriato e completo.