The Rain: un primo sguardo alla nuova serie Netflix

Due fratelli in un mondo distrutto dalla pioggia: Netflix scommette su una serie danese di impatto ma con alcune sbavature.

The Rain: un primo sguardo alla nuova serie Netflix
Articolo a cura di

A dispetto del titolo, è con un tiepido raggio di sole che si apre The Rain, ultimo lavoro prodotto da Netflix stavolta in squadra con la danese Miso Film. In quello che pare un giorno qualunque seguiamo l'entrata a scuola di Simone, adolescente come tanti in un giorno come tanti, in cui si destreggia tra un'interrogazione imminente e l'idea di poter uscire con il ragazzo che le piace. Eppure non c'è tempo per entrare nella sua normalità: lo spettatore viene separato da quell'immagine con la stessa rapidità con cui Simone viene portata via dal padre, concitato e troppo occupato a salvare la sua famiglia per spiegare davvero a lei - e a noi - cosa sta succedendo. Inizia così l'avventura di The Rain, una goccia dopo l'altra immediatamente al centro dell'azione, catapultati all'interno di un bunker dove l'unico rumore possibile è quello dell'incessante pioggia che scuote i nervi e le anime dei protagonisti. Da quel momento in poi, in teoria, c'è solo da attendere che la misteriosa pioggia acida e distruttiva passi: ma non sarà così facile combattere con i propri demoni e con l'ansia di non sapere ciò che accade fuori da quel piccolo mondo che, lentamente, catapulta Simone e suo fratello Rasmus all'interno di una dimensione monocentrica completamente esclusiva, che non può che sciogliersi nel più drammatico dei modi.

Singin' in the rain

L'idea non è delle più originali e, indubbiamente, non è nemmeno tra le meno rappresentate: la cattività forzata, la concretizzazione di una minaccia esterna devastante e la paura di trovarsi in un mondo completamente diverso da quello lasciato sono temi molto cari alla cinematografia moderna, soprattutto nell'ultima decade - che ha visto fiorire molti prodotti seriali di successo partendo proprio da questo tipo di distopia. Gli eventi si susseguono con un ritmo frenetico (la prima puntata è talmente ricca da poter essere considerata un mini film, con una struttura narrativa perfettamente chiusa e coerente) ma sembrano apparentemente non avere nessuna - o quasi - ripercussione psicologica su dei personaggi che li vivono in maniera passiva accumulando situazioni traumatizzanti per chiunque.
I primi venti minuti non ne giovano particolarmente, sembrano non avere una direzione chiara né un'idea strutturata, complice anche il bisogno di raccontare troppi eventi concedendo poco tempo allo spazio filmico, al contrario di come dovrebbe fare la narrazione seriale - il cui pregio principale è proprio quello di avere a disposizione un minutaggio in cui poter approfondire diversamente situazioni e personaggi. Nonostante questo, va riconosciuto a The Rain il coraggio di strutturare la serie partendo da una narrazione sincopata in netto contrasto con l'evoluzione psicologica dei suoi personaggi, vero punto focale della serie. L'iniziale dubbio viene sciolto velocemente: il cambiamento atmosferico è repentino e segue il ritmo narrativo avvenendo sotto i nostri occhi quasi senza farcene accorgere.

Sta arrivando una tempesta

Se l'incipit infatti carica profondamente questo punto di vista, nello spazio filmico di qualche minuto il tempo di Simone e Rasmus si trasforma in un arco lungo ben sei anni, che i due passano in una folle routine all'interno del bunker in attesa di un ritorno che non avviene. Una promessa mantenuta fino allo sfinimento e una routine fatta di disegni colorati sono gli unici indizi per capire la profondità del dramma di Simone ed entrare veramente nello spirito della serie, che è nella testa dei protagonisti molto più che nel mondo devastato all'esterno. Solo in quel momento la serie esce allo scoperto, lasciandosi alle spalle le dovute premesse e riuscendo finalmente a vedere la luce: scopre così un sistema di gabbia interno ed esterno ai protagonisti, in cui i risvolti psicologici si intersecano con inaspettate condivisioni più dolorose del necessario e la scoperta diventa una rinascita. I primi tre episodi riescono così a gettare il seme per una narrazione che, se all'inizio lascia qualche dubbio, dimostra come in potenza ci si possa aspettare un'evoluzione interessante e nient'affatto scontata, di cui tuttavia è difficile discutere con in mano solo poche premesse.

Un punto di forza: la tecnica

Ad aiutare la fiducia dello spettatore è indubbiamente un reparto tecnico di tutto rispetto, che lavora benissimo dal punto di vista visivo giocando soprattutto sui cromatismi e sulla struttura delle costruzioni: il bunker, le costruzioni e i personaggi sembrano davvero riuscire a vivere e intersecarsi con le strutture mentali dei protagonisti, soprattutto quella di Rasmus - indubbiamente il personaggio più misterioso e affascinante della serie. Il montaggio riesce a seguire la narrazione aumentando il senso di claustrofobia dato dal bunker e quello di liberazione nel momento in cui i personaggi si trasferiscono all'esterno, trovandosi a doversi adattare a una nuova realtà e a un nuovo modo di concepire la vita. Nel complesso quindi The Rain riesce a convincere e a incuriosire lo spettatore, soprattutto per merito di un reparto tecnico attento al dettaglio e di una recitazione che riesce a far entrare in empatia con i personaggi (da citare l'interprete di Simone, Alba August, a cui va dato il merito di portare sulle spalle gran parte dei primi due episodi). Rimangono alcune perplessità sulla sceneggiatura, sullo sviluppo della narrazione degli eventi e della caratterizzazione psicologica dei personaggi, che tuttavia sembra in salita nei successivi due episodi rispetto a un pilot più deludente. La speranza è che la serie possa continuare a muoversi su questa parabola ascendente, riuscendo a diventare un prodotto ancora più solido e di impatto.