Watchmen: prime impressioni sulla nuova serie HBO di Damon Lindelof

Dopo il successo plebiscitario di The Leftovers, Damon Lindelof riparte dal fumetto DC per creare una serie complessa destinata a lasciare il segno.

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Sarà davvero complicato spiegarvi quanto sia incredibilmente riuscito, stratificato e vincente il progetto realizzato da Damon Lindelof con Watchmen rispettando il divieto di diffondere spoiler sui primi sei episodi (su 9 totali) che abbiamo visionato in anteprima.
Al di là dell'altissima qualità che può vantare l'impianto produttivo, dal coinvolgente lavoro della regia alle scenografie da kolossal, dalle musiche tartassanti ed evocative di Trent Reznor agli effetti visivi spregiudicati ormai a livelli cinematografici, il punto più alto raggiunto dalla serie sta tutto nel lavoro di scrittura di uno sceneggiatore che si conferma ancora una volta di una classe assoluta. Lindelof è capace come pochi altri di raccontare le anime e le menti dei personaggi che inventa in maniera immediata e, contemporaneamente, di illustrare mondi, situazioni e tematiche che si incontrano nel crocevia che unisce la fantascienza, lo spiritualismo, il grottesco e il surreale.

Sono temi che Lindelof ha esplorato da sempre, da Lost a The Leftovers (la sua personale Divina Commedia) passando per il sottovalutato Prometheus.
Ecco perché Watchmen sembra la naturale evoluzione di un discorso molto più ampio iniziato anni fa e che mescola religione, sci-fi, commento umanista e l'assurdo, ed ecco perché nel vedere questa serie appare chiaro come soltanto Damon Lindelof avrebbe potuto realizzarla.

Quis Custodiet Ipsos Custodies?

Da fan numero uno del fumetto cult di Alan Moore e Dave Gibbons, Lindelof tratta il materiale originale come fosse la Bibbia e lui dovesse scrivere la sua versione di Paradiso Perduto:

Il Watchmen prodotto da HBO, pronto ad esordire su Sky Atlantic il prossimo 21 ottobre, sarà un sequel dell'opera originale e non si nasconde affatto dietro un prevedibile complesso di riverenza nei confronti del seminale fumetto DC Comics, ma prende quelle pagine e le mette in discussione, attraverso un forte desiderio di destrutturazione e revisionismo. Un amore conflittuale che è quello di un figlio ambizioso, la cui volontà sia quella di districarsi dall'abbraccio di un padre gigantesco e ingombrante. L'opera del 1986 è stata fondamentale per la formazione di questo autore - pensate ai tanti omaggi al fumetto di Moore che sono stati inseriti in Lost, dall'isola alle considerazioni sul tempo, passando per il desiderio di usare un medium specifico con l'intento di sperimentarne le potenzialità e piegarne le regole narrative a proprio beneficio. Il maggior complimento col quale questo sequel televisivo omaggia il primo capitolo a fumetti non sono tanto gli easter-egg (letteralmente una marea, se gradite questo genere di cose), bensì proprio il guanto di sfida che Lindelof lancia alla sua musa ispiratrice.

Come ogni seguito che si rispetti riprende alcuni paradigmi dell'opera originale ma poi li porta altrove, non solo attraverso un altro linguaggio (quello televisivo) ma anche lungo un nuovo corso (un episodio è intitolato If You Don't Like My Story, Write Your Own, e sembra una missiva diretta ad Alan Moore).

C'è ancora un omicidio, c'è ancora un complotto da svelare, c'è ancora un evento realmente accaduto con cui strizzare l'occhio alla Storia reale, c'è ancora un'indagine dentro la quale inoltrarsi e ci sono perfino volti noti che ritornano (dal fumetto, non dal film di Zack Snyder, cui però viene comunque affidato un ruolo molto importante del quale purtroppo non possiamo parlarvi), ma tutto il resto Lindelof lo inventa da zero per portare la storia verso gli argomenti che vuole trattare.

Nulla ha mai fine

C'è il razzismo, c'è la politica, c'è l'estremismo, ci sono gli Stati Uniti di Donald Trump e le riflessioni sulla violenza di classe (toccato nell'ancora inedito e scomodo The Hunt, prodotto da Jason Blum), c'è il tema della memoria (forse il più fondamentale) e quello della ricerca di Dio (si può tracciare un filo conduttore che da questi episodi torna indietro fino a The Leftovers e Prometheus), c'è il grottesco che irrompe nel quotidiano e poi ci sono idee, narrative e visive, così riuscite ed immediate che saranno impossibili da dimenticare una volta viste.

C'è soprattutto la volontà di fare qualcosa di importante, che non sia solo un grande omaggio ai fan DC (anzi) ma che abbia davvero qualcosa da dire, che sappia come dirlo e che addirittura si inventi nuovi modi per farlo (aspettatevi una delle più innovative, complesse e immaginifiche puntate mai prodotte per la televisione), affrontando di petto argomenti di allarmante brutalità. C'è un tipo di enfasi, in Watchmen, che dovrebbe appesantire un'opera sui vigilanti, dalla quale sarebbe lecito aspettarsi invece una maggior preponderanza di sequenze d'azione spettacolari; come nel fumetto originale, invece, l'azione è secca, realistica e diretta, mai romanzata e artificiosa ma sempre concisa. Non è nel fisico che questi personaggi trovano il loro compimento (come invece accadeva nell'adattamento di Snyder) quanto piuttosto nella mente, nell'anima, nel sentimento, nel detto e nel non detto.
È ciò che rendeva unico il fumetto originale ed è quello che sorregge la potenza della serie televisiva che, addirittura, sarà in grado di riflettere sul passaggio da un medium all'altro interrogandosi sul linguaggio delle immagini e sulla forza del loro impatto su chi le guarda.

Ciò che maggiormente qualifica questo nuovo trionfo della HBO, però, è che a distanza di oltre trent'anni dalla sua prima apparizione il mondo di Watchmen si dimostra ancora una volta il più adatto per parlare di quello in cui viviamo noi stessi: ne è uno specchio distorto, vivo, pulsante e specifico che ne esagera i difetti e ne enfatizza gli angoli oscuri, una barzelletta impregnata di cinismo che fa ridere solo a metà, ma di cui è impossibile non desiderare il racconto.

Watchmen - serie tv Mancano ancora tre episodi per avere il quadro completo, ma intanto la serie TV di Watchmen, creata e scritta da Damon Lindelof e basata sui fumetti di Alan Moore e Dave Gibbons, è un trionfo dell'era moderna della televisione. Il nuovo pezzo pregiato di HBO è un punto di arrivo nell'evoluzione della poetica del suo autore (sempre a cavallo tra religione, surrealismo, umanesimo e fantascienza), ma anche un nuovo standard per tutti gli show con protagonisti supereroi o supposti tali.