Pride: dietro le quinte della straordinaria docuserie Disney+

Christine Vachon e Alex Stapleton, produttrici di Pride, ci hanno guidato dietro le quinte della docuserie, in una chiacchierata sentita ed emozionante.

Pride: dietro le quinte della straordinaria docuserie Disney+
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"Ciò che amo della serie è il suo carattere vasto e caotico. Non finge di essere l'enciclopedia definitiva sull'argomento, ma ha permesso ai registi di raccontare storie molto personali che il pubblico non avrebbe potuto conoscere altrimenti". Christine Vachon, produttrice esecutiva di Pride, non poteva riassumere meglio o in maniera più concisa ciò che la docuserie sulle lotte per i diritti della comunità LGBTQ+ è e doveva essere: qualcosa di disordinato, magari a tratti persino confusionario, ma stracolmo di forza, commozione e orgoglio per tutte le disavventure affrontate dalla comunità. Una sorta di urlo di libertà per ricordare il passato e dare il via a tutte le sfide future, che non si preannunciano brevi né tantomeno agevoli.

Abbiamo infatti avuto la fortuna di poter intervistare due delle produttrici esecutive di Pride, la già menzionata Christine Vachon e Alex Stapleton, in quella che si è rivelata una chiacchierata sentita e ricca di spunti. Buona lettura, dunque, e se volete approfondire la qualità della docuserie Disney vi rimandiamo alla nostra recensione di Pride.

L'importanza delle storie minori

"Secondo me ogni episodio riesce a scavare profondamente dentro le sfide più dure affrontate dalla comunità LGBTQ+ e in ognuno di esso trovo un momento di particolare risonanza, anche perché ho vissuto sulla mia pelle alcuni di quei decenni". Un momento in cui la Vachon non è riuscita a trattenere un briciolo di emozione nelle sue parole, affermazioni di una persona che ha vissuto in pieno, ad esempio, la pandemia di AIDS sulla sua pelle. Ricordi di amicizie perse quasi improvvisamente, di un governo che ignorava la situazione, di un periodo semplicemente folle e doloroso. Anche per questo Pride è un prodotto per certi versi fondamentale, elettrizzante da portare a termine ma al contempo stracolmo di responsabilità, come ha più volte sottolineato la Stapleton, affinché certi momenti della storia non si ripetano mai più.

"Quando producevo film negli anni ‘90 c'era un senso di urgenza riguardo le storie che volevamo raccontare. Eravamo nel pieno della pandemia di AIDS e ci pervadeva la sensazione che, se non avessimo raccontato queste storie, forse non ne avremmo avuto più la possibilità. In poche parole, stavamo morendo e al governo non interessava. Molte cose sono effettivamente cambiate da allora, in particolare nelle modalità e quantità di materiale ora accessibile a chiunque, nonostante ci siano persone molto vogliose di invertire la storia,", riassume ancora la Vachon.

Molto spazio è stato poi ovviamente dedicato alle scelte strutturali della docuserie, a partire dalla rigida divisione decennio per decennio. E a detta di entrambe si è rivelata una decisione particolarmente naturale, ovvero era il miglior modo per mettere in scena più avvenimenti possibili e dare ad ogni regista ampio spazio di manovra senza dover necessariamente dipendere dalla puntata precedente.

Quando questa impostazione ha pagato - e lo abbiamo sottolineato nella nostra recensione - si è vista la straordinaria varietà degli episodi, liberi di poter raccontare una propria storia e non invece dover concludere qualcosa lasciato aperto prima. Immancabile anche l'accenno alla situazione pandemica attuale e di come abbia influenzato i lavori, argomento che ha scatenato un leggero e divertito siparietto tra le due, con la Stapleton che ha voluto ricordare gli innumerevoli stratagemmi creati da zero per portare a termine Pride.

Un momento di serenità, seguito poi dalla vera e propria arringa conclusiva della Vachon: "In ogni singolo episodio abbiamo tentato di dare spazio a storie considerate spesso come minori. Ad esempio nella serie sono presenti i moti di Stonewall, ma hanno molta più rilevanza nell'insieme tutte le proteste antecedenti Stonewall, di cui nessuno o quasi sa nulla. La nostra lotta per i diritti non è nata con Stonewall, ci sono state rivolte precedenti, il più delle volte portate avanti da componenti estremamenti emarginati della comunità. Sono davvero convinta che tutte le puntate riusciranno a portare lo spettatore in luoghi, eventi e persone inaspettati, che probabilmente non avrebbe conosciuto in altri modi". Un inaspettato quanto meravigliosamente sentito moto d'orgoglio, per una docuserie che speriamo possa fare solo del bene.