Intervista Ran Telem - Intervista

Il produttore di Homeland parla della creazione della serie e dei personaggi principali

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Dietro Homeland, la serie che ha fatto tremare l’America e si è conquistata l’applauso della Casa Bianca, c’è una storia israeliana raccontata nel telefilm Hatufim. Trasferita oltreoceano non solo non ha perso un grammo di appeal ma è riuscita a reinventarsi catturando l’attenzione di un pubblico globale. Al Festival della TV di Monte-Carlo il produttore Ran Telem spiega come un prodotto così localizzato possa diventare d’interesse per milioni di spettatori in tutto il mondo, cosa lo renda speciale e per quale motivo potrebbe continuare a crescere perfino dopo gli sconcertanti avvenimenti del finale della terza stagione.

(SPOILER ALERT!) In attesa dei nuovi episodi, in onda probabilmente in autunno su FOX, moltissime domande affollano la mente dei fan. Nelle ultime scene Carrie (Claire Danes) viene promossa e spedita a gestire una divisione della CIA a Instanbul. La sua instabilità viene messa a dura prova da due eventi concomitanti, la gravidanza e la morte di Brody (Damian Lewis).
Partendo dalla premessa che nulla è mai come sembra nella finzione seriale, va considerato il fatto che qualunque forma di resurrezione del protagonista potrebbe essere vista come un’inutile - seppure auspicabile da molti - forzatura.

In origine...

A livello di storia in cosa differisce la versione a stelle e strisce da quella originaria?
La versione israeliana racconta di tre soldati prigionieri: due tornano a casa mentre si pensa che il terzo sia morto, ma solo dopo si capisce che è vivo. Di base resta invariata la vicenda: un militare torna dalla cattività in terra straniera. Questo evento non riguarda solo Israele, ma ha una portata universale grazie alla potenza di una storia tremendamente attuale.

Qual è la forza di Homeland?
Homeland è un successo a 360° perché non esiste più “il buono” e “il cattivo” nella sceneggiatura: Brody incarna gli estremi, prima lo odi e poi lo ami.

Piuttosto rischioso...
È questa la differenza di un drama via cavo e di uno in onda su un grande network: in quest’ultimo caso le differenze sono più nette mentre un prodotto del cable può permettersi di puntare tutto sul personaggio. E allora il pubblico è diviso, quasi tra “due cuori”, non sa se stare dalla parte di Brody, di Carrie o di entrambi.

Nella terza stagione Homeland si è permesso il lusso di tenerli lontani per quasi tutto il tempo. È stata un’imprudenza?
Una volta impostata la storia, la palla passa del tutto al team americano, ma dal mio punto di vista la stagione tre è stata capace di reinventarsi, anche se in modo spiazzante.

Non solo soldati

A quali progetti sta lavorando negli USA?
Ne ho sei in cantiere tra cui Your family or mine, una comedy; Rising star su ABC e un altro show sempre su una cellula dormiente per ABC.

Cosa le piace guardare in tv?
L’importante è che siano telefilm fatti bene, ad esempio trovo che The Bridge sia brillante sotto tutti gli aspetti, dalla regia alla sceneggiatura. Tra gli inglesi mi piace Broadchurch, ad esempio, ma non credo a chi grida alla “Golden Age”. Non penso affatto che la tv stia vivendo un periodo così florido di capolavori: ce ne sono pochi.

Uno sceneggiatore deve fare i conti con il pubblico?
No, non deve scrivere per assecondarlo, ma per se stesso. Da un lato quindi sono convinto che non esistano limiti quando crei una storia, dall’altro devi fare attenzione a cosa ti emoziona e ti piace, facendo attenzione di restare fedele al proprio DNA.

E se scatta la polemica, come per la morte di Brody?
Beh, è proprio quello che uno sceneggiatore vuole. Una scena fa discutere? È fantastico!

Non pensa che ci siano “fantasmi di Brody” in giro, allora?
(Ride) Non essendo un telefilm soprannaturale lo escluderei. Preferisco non dare opinioni sul lavoro altrui ma durante la cerimonia degli Emmy ho parlato con il creatore di Homeland del destino di Brody, ovviamente.

Il futuro non è rosa

E cosa ne ha dedotto?
A volte un personaggio finisce la sua storia. Sta all’intelligenza dello sceneggiatore capirlo ma ci vuole coraggio per ucciderlo. A volte per andare oltre sei obbligato a farlo.

A lei, come spettatore, non è mai successo di essere sconvolto da situazioni del genere, proprio come capita oggi ai fan di Homeland?
Sì, certo, ricordo di aver pianto moltissimo per la fine della serie britannica Cold feet, quando la moglie del protagonista, con cui ha un bambino, muore di incidente stradale. Ma quella era la tv di dieci anni fa, sai cosa avremmo fatto oggi con questa vicenda? Avremmo scritto la storia di un papà single che avrebbe continuato a vivere per il figlio.

Quello verso un personaggio è amore?
È supporto, tifo... sei interessato al personaggio ma quello che conta va oltre l’amore stesso perché riguarda la sua evoluzione.