American Crime Story Impeachment Recensione: Ryan Murphy non sorprende più

Analizziamo la miniserie di Ryan Murphy che racconta i grandi intrighi americani con una terza stagione incentrata sullo scandalo Sexgate

American Crime Story Impeachment Recensione: Ryan Murphy non sorprende più
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Ryan Murphy torna alla produzione che più di ogni sua altra ha unito i pareri favorevoli da parte di pubblico e critica. American Crime Story: Impeachment, il nuovo capitolo della saga antologica che l'autore di American Horror Story sfrutta per raccontare i casi più particolari della cronaca statunitense, ha fatto il suo debutto su Fox forte di una promozione e un tema particolarmente caldi. L'idea di mescolare un racconto di rivalsa e intrighi sullo scandalo Sexgate che sconvolse Bill Clinton e la Casa Bianca alla fine dello scorso secolo ha subito attirato la curiosità di molti.

La presenza in fase di stesura e produzione di quella stessa Monica Lewinsky protagonista delle vicende ha creato tutti i presupposti per una stagione in grado quantomeno di incuriosire al pari - e con ben più alte speranze - della precedente (qui trovate la nostra recensione di American Crime Story 2). Nel tentativo di alzare nuovamente l'asticella, lo show ha da subito mostrato una spiccata impronta stilistica, come accennato nella nostra anteprima di Impeachment. Tuttavia, non è solo lo stile a rendere emblematica un'opera e la terza iterazione dell'antologia di Ryan Murphy ne è una chiara dimostrazione.

Sexgate: uno scandalo a tutto tondo

Come ben noto, nella seconda metà degli anni '90 un affaire sconvolse la storia presidenziale americana, dando vita a un intrigo con protagonisti il presidente Bill Clinton (Clive Owen), la stagista Monica Lewinsky (Beanie Feldstein) e l'agente Linda Tripp (Sarah Poulson), con la giornalista Paula Jones (Annaleigh Ashford) sullo sfondo. Concedendo allo spettatore uno sguardo su più frangenti temporali diversi fino a fine secolo, Impeachment mostra sin da subito l'importanza del volto che ha scatenato il processo: la Tripp viene infatti presentata nelle fasi risolutive dello scandalo, per poi narrare gli eventi che hanno portato all'incontro con la giovane Lewinsky.

Questa assistente, infatti, era stata appena trasferita al Pentagono nel '96 e aveva casualmente rivelato alla Tripp di avere una relazione con qualcuno dei piani alti. Pochi si sarebbero immaginati potesse trattarsi del Presidente in persona, specialmente dopo che lo stesso Clinton si trovava alle prese con delle accuse di molestia sessuale per vicende risalenti al suo governo in Arkansas.

Nel raccontare lo scandalo Sexgate, Impeachment si pone il duplice obiettivo di raccontare le vicende con dovizia di particolari e al contempo di fornire un'immagine più vicina alle donne vittime delle vicende. Con una prospettiva che intende mettere sotto una nuova luce la figura di Monica Lewinsky, elevandola a punto di congiunzione tra l'analisi della cronaca e il vilipendio dei mass media, Murphy e soci poggiano le fondamenta del loro racconto su una moltitudine di intrighi, intrecci e sviluppi che segneranno la storia recente della Casa Bianca e dell'intero Paese. Da questo fenomeno nasceranno infatti innumerevoli accuse ai politici e verranno rivelate ulteriori verità scottanti sugli uomini di potere all'interno del sistema americano.

Elaborare una prospettiva

Non deve sorprendere, infatti, che lo show abbia voluto coniugare le esigenze di realismo e la prospettiva (leggermente romanzata) di uno specifico punto di vista.

Murphy ha preso come riferimento il libro di Jeffrey Toobin "A Vast Conspiracy: The Real Story of the Sex Scandal That Nearly Brought Down a President", e il coinvolgimento della stessa Lewinsky in fase di produzione ha chiaramente proteso la narrazione verso una specifica prospettiva. La donna ha avuto un ruolo importante in fase di sceneggiatura e ha lavorato a stretto contatto con Beanie Feldstein affinché la interpretasse al meglio, permettendo allo stesso Murphy di giocare con l'espressività dell'attrice per rappresentare più sfaccettature possibili. Al netto delle intenzioni critiche e forse addirittura propositive in merito alle figure femminili, l'opera riesce però a convincere soltanto a metà, ingolfandosi nell'esposizione anziché osare verso terre inesplorate. Va detto che, come spesso capita nelle produzioni di Murphy, anche questa stagione di American Crime Story unisce la cruda realtà dei fatti a componenti di fiction che possano rendere forti e dinamici gli eventi.

I contorti giochi di potere intorno alla figura del Presidente hanno permesso alla serie di creare un intreccio coinvolgente, ma anche di rappresentare per la prima volta situazioni al limite dell'assurdo che in realtà sono realmente accadute lontano dalle telecamere: tra licenziamenti, ricatti e interrogatori, ogni mezzo è stato sfruttato ad arte per ottenere il silenzio delle donne coinvolte nelle vicende.

Estetica e messaggio

Il primo impatto con gli episodi iniziali evidenzia quasi immediatamente una grande cura per l'estetica, volta a raccontare con dovizia di particolari una storia di rabbia e inganni. Uno stile tipico delle produzioni di Murphy, che con una regia sistemica mantiene alta la concentrazione dello spettatore mentre si esalta con le performance dei suoi interpreti.

Qualsiasi prospettiva di grandezza si infrange però su un racconto colmo di discrepanze che allontanano la resa d'insieme dai fasti osservati nella prima stagione. Ciononostante, la storia e l'alchimia del cast permettono di sperimentare la visione in maniera particolarmente vivace, godendo appieno di quel brio che solo lo showrunner sa dare quando riesce a trovare la giusta amalgama fra le componenti dei suoi lavori. Il racconto di Impeachment poggia su solide basi di cronaca per riflettere in maniera diretta sulle crepe dello status quo americano, ma si sofferma con maggior forza sul ruolo delle donne. La miniserie elabora scelleratamente la vendetta della Tripp, con una Sarah Poulson in forma smagliante, ponendo al centro del dialogo i rapporti e i confronti fra le figure femminili coinvolte: come già accennato, la Lewinsky si trova a cavallo di due situazioni dalle quali esce sempre sconfitta, subendo da una parte la vergogna, dall'altra il rifiuto.

In questo caotico alternarsi di angherie e frustrazioni, l'unica figura in grado di sollevare la testa dalla polvere è la Hillary Clinton di Edie Falco. Se le prime due donne si fanno artefici del grande inganno e della sua rivelazione, la moglie del Presidente riesce ad elevare il proprio status e a guadagnare una nuova importanza sia come donna, sia come protagonista delle vicende.

Un rischioso equilibrio

American Crime Story: Impeachment comincia letteralmente col botto, mettendo sul piatto sin da subito tutto ciò che ha da offrire. L'inizio scoppiettante si rivela però uno specchio per le allodole, dove il crimine è soltanto sfumato e la narrazione non riesce a lasciare il segno come dovrebbe. Lo stile di Murphy e le interpretazioni di un cast particolarmente assortito riescono però a rendere la visione intrigante quanto basta per mantenere l'attenzione fino alla fine. Nulla si toglie e nulla si aggiunge, insomma, pur tentando a più riprese di ricreare quel connubio compatto tra realismo e grottesco tipico delle opere dello showrunner.

In sintesi, lo show scava poco a fondo quando dovrebbe e spreca l'occasione di esplorare in maniera coraggiosa le dinamiche fra i personaggi di un fenomeno ben noto. La seconda metà dello show riesce a riprendere il collegamento con la roboante partenza e concede sprazzi di ottimo intrattenimento, ma siamo ben lontani da ciò che Il caso O.J. Simpson era riuscito a raggiungere. Il mood di Impeachment rimane spesso ancorato al grigio più nebbioso, cercando senza particolari sforzi narrativi di mostrare l'ipocrisia e l'oscenità americana attraverso una costruzione iper patinata e uno stile che dovrebbe suggerire molto più di quanto trasmette.

American Crime Story - Stagione 3 American Crime Story: Impeachment segna il ritorno di Ryan Murphy al suo terreno più congeniale, ma non ai fasti che era riuscito a raggiungere. Lo showrunner racconta una storia colma di propositi interessanti, non tutti espletati a dovere, ma ha le spalle coperte da un cast sensazionale e da una produzione dallo stile inconfondibile. Troppo poco per alzare l'asticella, ma abbastanza per soddisfare molti spettatori.

6.5