Baby: recensione della nuova serie Netflix italiana

C'è Andrea De Sica alla regia di questo racconto di formazione che prende spunto dalla cronaca per raccontare gli adolescenti.

Baby: recensione della nuova serie Netflix italiana
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Su Netflix è finalmente disponibile Baby, nuova produzione originale italiana diretta da Andrea De Sica e scritta dal collettivo di giovanissimi dei GRAMS*, affiancati da Isabella Aguilar e Giacomo Durzi. La storia prende dalla cronaca italiana l'ambientazione dei Parioli romani e racconta la vita adolescenziale dei ragazzi dell'istituto privato Carlo Collodi. I personaggi principali sono Chiara (Benedetta Porcaroli), Ludovica (Alice Pagani) e Damiano (Riccardo Mandolini), ma la serie segue diverse storyline, spesso soffermandosi anche su quelle dei genitori. Per dar vita alla narrazione, Baby parte da cliché come il ragazzo di borgata che spaccia droga o la figlia perfetta che nasconde un animo ribelle, finalmente libera di esprimere se stessa grazie alla ragazza-scandalo della scuola. E non c'è niente di male, ma è lo sviluppo dei personaggi e della trama a non funzionare. Insomma, se speravate di essere di fronte a un nuovo successo italiano all'estero sulla scia di Gomorra e Suburra, dovrete ricredervi. Ma andiamo con ordine.

Tu vu' fa' l'americano

Una cosa salta all'occhio sin dal primo episodio: l'adattamento dell'esperienza scolastica romana a quella che ci aspetteremmo da un Gossip Girl all'italiana. Ed è sicuramente questa l'ispirazione dietro a molte scelte di costume e scena: i ragazzi protagonisti di Baby frequentano un fittizio istituto privato di Roma, con tanto di divisa, allenamenti prima e dopo scuola nel campo di corsa della stessa, e un'enorme quantità di momenti vuoti in cui tutti gli studenti girano per i corridoi in piena libertà. Per un pubblico italiano, tutto questo stona e crea distanza con la storia, che comunque può invece risultare più appetibile per un pubblico straniero che non conosce la sofferenza di dover muoversi costantemente sotto lo sguardo attento di un bidello.

Anche i movimenti dei personaggi risultano inverosimili, come da buon teen drama americano: chi riesce a sapere esattamente dove si trovi l'altro senza spiegazione, uscite repentine di casa senza borse né altro, felpe che fanno da prova inconfutabile, come se ne fosse stata prodotta solamente una sul mercato. Se i dettagli fanno la differenza tra un buon prodotto e uno mediocre, Baby non si discosta in questo da tante altre serie teen che abbiamo amato nonostante situazioni inverosimili.

Siamo bravi a piangere (e a urlare)

Il talento nei giovani attori di Baby c'è e si vede. Benedetta Porcaroli nei panni di Chiara è la grande sorpresa del cast: attrice emergente e molto convincente, gestisce bene i repentini cambi di emozioni dettati dalla sceneggiatura e non appare goffa nei dialoghi stereotipati. Perché, purtroppo, sono propri questi a creare delle scene inverosimili dove gli attori passano da un'emozione all'altra senza avere tempo di arrivarci naturalmente. Quasi tutte le interazioni tra i personaggi sono di due minuti scarsi, e terminano con pianti, urla e qualcuno che scappa via. I ripetuti primi piani non sono d'aiuto, e rimane appunto agli attori dover coprire questa mancanza. Brando Pacitto (visto precedentemente in Braccialetti Rossi), seppur interpretando il personaggio minore di Fabio, ottiene una delle storyline migliori e anche lui spicca per la capacità di sembrare naturale nei dialoghi e trasmettere molto anche attraverso un solo sguardo. Perché, come accennato prima, i primi piani sono tantissimi e tantissime sono anche le scene fatte di sola soundtrack e sguardi nel vuoto.

L'uomo brutto e cattivo

Il personaggio di Pacitto è anche uno dei pochi personaggi maschili a non essere dipinto come presenza negativa nella vita di un personaggio femminile. Non c'è madre, ragazza o donna all'interno di Baby che non sia soffocata da una relazione con il rispettivo uomo: Chiara da Niccolò e dal padre, Ludovica (Alice Pagani) da Brando e dal padre (o da qualunque uomo incontri sulla sua strada, in realtà), la madre di Chiara dal marito, Monica (Claudia Pandolfi) dal marito. Anche gli uomini sono soffocati da altri uomini (per esempio, sia Fabio che Damiano dai rispettivi padri). E se i sei episodi portano a un'accennata ribellione da parte delle "vittime" di queste relazioni estenuanti, i personaggi maschili dominanti rimangono in stasi. Non c'è una vera risoluzione delle problematiche, proprio perché manca il confronto in quasi tutte queste relazioni.

Lo scandalo delle baby squillo?

Per tutti quelli che si sono preoccupati che Netflix rendesse glamour la prostituzione minorile, abbiamo un piccolo spoiler: no, non lo fa. Specialmente se la conversazione si fa inerente al vero e proprio scandalo del 2014, Baby non offre assolutamente nessun accenno a ciò che è successo veramente. Come Andrea De Sica ci ha detto all'incontro di qualche giorno fa, la storia si sviluppa, attraverso gli episodi, lentamente. Forse fin troppo. L'argomento di prostituzione è, in realtà, trattato veramente poco ed è utilizzato per delineare e accrescere i personaggi, più che per puntare il dito.

Fondamentalmente, chi lo sa

Baby è uno di quei prodotti che non si sa bene a chi siano diretti. C'è tanto materiale da srotolare, a cui i pochi episodi forse non hanno dato giustizia, e che risulta alle volte forzato, veloce, privo di spiegazione e abbastanza improvviso. Baby ha tante intenzioni, ma elaborate male in così poco tempo: cade in stereotipi visti e rivisti nel tentativo di raccontare qualcosa di diverso; ed è anche molto emotivo, e sicuramente sia il montaggio che la sceneggiatura hanno voluto dare priorità e rilievo a questo più di ogni altra cosa. Purtroppo, però, il risultato è una giostra continua che non ti dà il tempo di riprendere fiato, e ti fa desiderare più volte di scendere.

Baby Baby è una confusione di emozioni, scelte dei personaggi poco sensate, dialoghi troppo brevi e troppo intensi, strani movimenti di camera e tanta, tanta voglia di voler fare qualcosa di diverso. Purtroppo, però, il risultato rimane un prodotto senza un chiaro pubblico, né una chiara risoluzione di intenti. Forse abbiamo bisogno di una seconda stagione, o forse ha fatto tutto ciò che poteva.

4.5