Better Call Saul, la recensione della quarta stagione

La serie di Vince Gilligan e Peter Gould entra nel vivo della trasformazione etica e morale di Jimmy McGill in Saul Goodman

Better Call Saul, la recensione della quarta stagione
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È sempre stata un questione di etica e morale, già ai tempi di Breaking Bad. Tramite una solida analisi della psiche umana, Vince Gilligan ha sempre cercato di raccontare i cambiamenti che portano un uomo qualunque a cambiare radicalmente, a dare una sterzata (per l'appunto) morale alla sua esistenza. La figura Walter White (Bryan Cranston) è diventata così emblema di una riflessione drammatica, spesso grottesca e divertita ma sempre profonda e realistica sulla caducità del bene del male, effimeri in un circolo vizioso continuo. Questo ha permesso allo showrunner di imbastire un impianto drammaturgico sempre molto articolato, complesso in ogni suo elemento - ricercatezza registica compresa, dato che molto spesso le immagini riempivano tematicamente la scena, andando a colmare i necessari silenzi dei protagonisti.
Con Better Call Saul, creata insieme al collega Peter Gould, Gilligan ha pensato di sviluppare un prequel di Breaking Bad su Jimmy McGill, il Saul Goodman di Bob Odenkirk. E sulla carta la serie spin-off resta a tutti gli effetti un prequel, ma in termini di pura scrittura, di evoluzione della metrica narrativa e di drammaturgia, ormai alla sua quarta stagione Better Call Saul si dimostra evoluzione stessa di quell'analisi che credevamo conclusasi cinque anni fa, che invece torna più punteggiata e rigorosa che mai.
[ATTENZIONE, SPOILER A SEGUIRE]

Sincerità

La quarta stagione riprende le fila dal tragico finale dello scorso anno, che ha visto il suicidio di Charles McGill dopo essere stato liquidato dalla HMM e aver chiuso definitivamente i rapporti con Jimmy, con un demoralizzante e malizioso "non sei mai stato troppo importante per me". Sin dalla fine della prima stagione, è stato chiaro come Charles abbia sempre cercato di ostacolare il fratello lungo il percorso per divenire avvocato, perché per il maggiore dei McGill la legge era qualcosa di cristallizzato, intoccabile, quasi sacro. Vedere quindi Jimmy approfittarsi a più riprese sin dall'adolescenza della legge lo ha convinto dell'amoralità senza appello del fratello, a cui sì, voleva bene, ma in parte in modo opportunistico e in parte perché costretto dai legami di sangue e dal suo buon nome. Al contrario, invece, prima che Charles venisse smascherato e che Jimmy si impegnasse con tutto se stesso per distruggere la sua reputazione, il fratello minore provava un affetto sincero per Charles, pian pian marcito in odio, tra faide familiari, incomprensioni e una forte dose di orgoglio da parte di entrambi.
È importante ripercorrere il loro rapporto perché l'inizio della quarta stagione si apre con un Jimmy visibilmente sconvolto dalla morte del fratello. Non conoscendo i trascorsi e il continuo approfittarsi della legge da parte del protagonista, a volte per scopi positivi ma spesso per il proprio tornaconto, verrebbe così da pensare a un pentimento o a una riflessione scaturita dalla dipartita improvvisa di un proprio caro. E invece no.
Quello che sorprende sin dalla fine del primo episodio è infatti l'irrigidimento sentimentale ed etico di Jimmy, ormai avviatosi verso un percorso che non ammette - come per Walter - ripensamenti o tentennamenti, ma ha un'unica, certa destinazione: la totale sudditanza all'illegalità. C'è comunque un aspetto ben preciso che porta nel corso della stagione a un'ulteriore fossilizzazione morale del protagonista, e cioè la perdita della licenza per l'esercizio dell'avvocatura. Pur con i suoi metodi, virati al contrario di Charles a immaginare la legge come plastica, modellabile a seconda dei propri scopi, per Jimmy il lavoro è l'unica cosa importante della sua vita.
Fare l'avvocato per lui non rappresenta soltanto uno schiaffo morale al fratello, ma è anche un modo per dimostrare quanto valga, per mettere in gioco se stesso, sentirsi vivo e ringraziare per la sua vicinanza anche Kim (Rhea Sheehorn), con cui adesso convive in una relazione deleteria per lei.

Nel corso dei nuovi episodi, entriamo allora nel vivo dell'inizio della fase finale della trasformazione di Jimmy in Saul Goodman, il nome che utilizzava nelle truffe prima di divenire avvocato quando era conosciuto nei bassifondi come "slippin' Jimmy". Vediamo il protagonista autodistruggersi, incapace di accettare una vita normale, fatta di sacrifici e un lavoro come tanti altri, che cerca in ogni modo di rendere interessante e vivace, tornando puntualmente a infrangere la legge e pagarne le conseguenze.
Non siamo ancora al Saul che propone "i viaggi in Belize": un brandello dell'anima di Jimmy tenta di salvaguardarlo da se stesso, aiutato - almeno in una prima fase - anche da Kim, che è sempre stata dalla parte del collega e amante. Purtroppo il marcio si diffonde come un cancro, intaccando anche lei, che forse subisce anche rispetto a Jimmy la trasformazione più significativa della stagione, perché giunge alla conclusione che il metodo slippin' Jimmy non solo aiuta a perseguire uno scopo altrimenti irraggiungibile, ma regala forti scariche di adrenalina, portando all'assuefazione. In Kim tutto risulta però più controllato, metodico, ordinato: se vogliamo, è lei la "Walter White" della situazione, che non agisce esclusivamente per il puro piacere di farlo, ma si muove con un obiettivo ben preciso in mente. Si gode la sensazione che scaturisce dall'infrangere in modo tanto elaborato e intelligente la legge, dal prendersi gioco del prossimo per un fine, ma non è assolutamente disposta a tutto pur di perseguirlo.
Kim non è Jimmy, e questo perché Kim ama profondamente il suo lavoro, al quale è devota. Lo si intuisce dalla sua fissazione di continuare a lavorare anche d'ufficio, perché è l'esercizio se vogliamo più nobile dell'avvocatura.

Ogni cosa al suo posto

Parallelamente all'evoluzione-involuzione di Jimmy e al rapporto con Kim si sviluppa anche la storia di Mike, interpretato da un sempre credibile e impassibile Jonathan Banks. I legami con Breaking Bad si fanno sempre più sostanziosi man mano che ci si avvicina al punto di contatto, e nella quarta stagione, lato Mike e Gus Fring, assistiamo a un evento importantissimo. Stiamo parlando della costruzione del laboratorio segreto sotto la lavanderia, che occupa anche spesso in modo preponderante gran parte della seconda parte della stagione. Senza scendere troppo nei dettagli, ruolo fondamentale in questa striscia narrativa lo ha il legame che si crea tra Mike e l'ingegnere a capo dei lavori, un tedesco di nome Werner Ziegler. Mike non ha amici e cerca di sopperire alla sua solitudine e ai suoi problemi lavorando giorno e notte per Fring, in modo meticoloso e preciso, dando fondo a tutte le sua conoscenze, alle sua intuizioni e al suo genio.
Nel momento in cui si apre con questo nuovo personaggio, apparentemente molto intelligente e con il quale sembra avere molto in comune, Mike rinuncia per un breve periodo alla sua invulnerabilità, lasciando che la sua armatura fatta di austerità e imperturbabilità si scalfisca un po', il tanto che basta per avere un minimo contatto umano per un reciproco accrescimento. Ziegler però capirà che non esiste amicizia e comprensione tra criminali, anche se c'è rispetto e stima. Non sono ammessi errori. Non c'è spazio per l'insicurezza. Nulla è perdonabile, tutto è punibile.
Oltre alla sofisticatezza della drammaturgia, alla sintassi narrativa pulita e immacolata e alle interpretazioni straordinarie di tutti gli attori, quello che sorprende della quarta stagione di Better Call Saul è il totale rifiuto dell'imperfezione, sia essa tecnica o stilistica. Non c'è un'inquadratura che possa dirsi sbagliata, non c'è un attimo - anche nelle comunque presenti fasi di stanca - che non si trascini dietro una cura per l'immagine e per lo sviluppo della scena che non abbia del ricercato, che non trasmetta l'idea di uno studio ben preciso dietro a una costruzione il più delle volte impeccabile.

Ogni tassello è al proprio posto, incasellato in un gigantesco puzzle di eventi e cambiamenti che rappresenta con scrupolosità il cuore di una riflessione costante sui principi etici e umani che governano il mondo, sui rapporti interpersonali e sulla fiducia, quando stabile e quando in cortocircuito. Elementi, questi, che rendono non solo grande ma anche estremamente importante in termini drammatici Better Call Saul: attraverso un'analisi scrupolosa delle relazioni e dell'instabilità morale ed emotiva di ogni singolo individuo, la serie identifica senza scampo i salvabili e i condannati, riallacciandosi al discorso concluso con Breaking Bad e superando la soglia ultima dei concetti di legalità e sentimento, che vengono completamente annullati da Jimmy nel momento della trasformazione con un'unica, semplice ma decisiva frase: "It's all good, man!".

Better Call Saul - Stagione 4 La quarta stagione di Better Call Saul entra nel vivo della trasformazione di Jimmy McGill in Saul Goodman. Accompagnata da un'analisi ben precisa, scrupolosa e articolata dei principi etici e umani che regolano il mondo (insieme al giusto approfondimento sui rapporti e sulla fiducia reciproca), la sintassi narrativa di ogni episodio rifugge l'imperfezione e si impone adamantina sullo sviluppo della serie, che cresce a dismisura nella sua drammaturgia, raffinatissima e articolata. Rispetto a Breaking Bad, qui c'è un'evoluzione sostanziale e cristallina dell'approfondimento psicologico del protagonista principale, diversamente da Walter White ormai insalvabile, destinato al totale declino morale, che persegue infatti con nichilismo e dolore una strada fatta di illegalità e tradimenti. Ci troviamo di fronte all'inizio della fine per Jimmy McGill ma alla fine dell'inizio per Saul Goodman. Imperdibile.

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