Black Knight Recensione: un'occasione sprecata su Netflix

Black Knight ha un'ottima intuizione di base e uno sforzo produttivo notevole, ma cade fin troppe volte in una narrativa confusionaria e mal gestita.

Black Knight Recensione: un'occasione sprecata su Netflix
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Ne abbiamo discusso spesso, ma ci sembra sia sempre un ottimo momento per lodare una delle più importanti - e rinfrescanti - novità portate dalla cosiddetta era dei servizi in streaming: la possibilità di valicare quante più barriere linguistiche possibili grazie ai consistenti doppiaggi o il semplice utilizzo di sottotitoli. È ciò che letteralmente ha spalancato le porte di un nuovo mondo, fino a quel momento abbastanza oscuro o comunque limitato a fan base di nicchia e le loro traduzioni amatoriali.

A volte, però, l'entusiasmo crea una piccola dose di confusione, in quanto siamo si contenti di uscire da una bolla principalmente anglofona che ha contraddistinto buona parte della storia del medium seriale, ma l'aria di libertà internazionale che piattaforme come Netflix, Prime Video o di recente anche Disney+ hanno portato tra noi non deve trarre in inganno. Non si deve insomma passare alla barricata opposta e convincersi che qualunque proposta in arrivo ad esempio dall'India o dalla Corea del Sud sia magicamente un capolavoro.

E Black Knight, serie coreana originale Netflix che ha debuttato sulla piattaforma lo scorso 12 maggio, ne è l'esempio lampante, perché almeno sul versante qualitativo non è Squid Game (qui potete recuperare la nostra recensione di Squid Game) e neanche un Hellbound (e qui vi rimandiamo alla nostra recensione di Hellbound). È un prodotto godibile che propone un world-building interessante, ma che cade fin troppe volte in ingenue trappole narrative.

Nel lontano 2071....

Ambientata nel 2071, Black Knight dipinge una Corea trasformata praticamente in un deserto in seguito all'impatto con una cometa che ha lasciato in vita soltanto l'1% della popolazione. Un disastro dal quale tuttavia una parvenza di civiltà è rinata, grazie ad alcune invenzioni che permettono di respirare l'aria inquinata e una rigida divisione sociale dei sopravvissuti, che in sostanza fanno enorme affidamento su dei corrieri per farsi recapitare le scorte e l'ossigeno di cui necessitano. Protagonista della serie è proprio uno di questi corrieri, il leggendario 5-8 (Kim Woo-bin), che si ritroverà invischiato in un terribile complotto orchestrato dalla corporazione Cheonmyeong oltre a doversi prendere cura del profugo Sa-wol (Kang You-seok).

Ecco, paradossalmente è da qui che nascono le mancanze più problematiche della serie, perchè come al solito noi abbiamo proposto una sinossi quanto più stringata e scevra da spoiler possibile mentre la realtà e dunque le sottotrame di Black Knight sono molto più numerose. Un aspetto che sulla carta potrebbe funzionare e dare il via ad un mondo post-apocalittico incredibilmente complesso, coinvolgente e stratificato - e non possiamo negare che forse l'intento degli sceneggiatori fosse proprio questo.

Piuttosto che rendere l'insieme più avvincente, però, l'unico risultato raggiunto è stato quello di sovrapporre costantemente le storyline generando superficialità e qualche buco di trama, di gestire in modi raffazzonati il relativo minutaggio, di creare a volte un quantitativo immane di confusione e, probabilmente la conseguenza più greve, depotenziare le scene ad alto impatto emotivo per mancanza di un'adeguata costruzione.

E non potrebbe essere altrimenti quando un prodotto prova a raccontare tra le altre cose un thriller con tanto di complotto, una storia di formazione, un crudo poliziesco, una vicenda di forte rivalsa sociale e una lotta familiare simile a Succession in un calderone di 6 episodi che non raggiungono neanche l'ora di durata. Sarebbe una missione impossibile per qualunque telefilm, figuriamoci per qualcosa come Black Knight impegnato necessariamente a delineare pure un contesto apocalittico che è parte integrante della vicenda nonché il tratto che la distingue da altre produzioni simili.

È semplicemente troppo, quasi un caso da manuale di quando l'ambizione sfrenata prende le redini della realizzazione. Non è casuale, infatti, il fatto che la serie Netflix dia il meglio di sé nelle ultime due puntate, quando lo tsunami di storyline perseguite viene di peso spostato nelle retrovie per concentrarsi sulla missione di 5-8, il vero cuore pulsante che sarebbe dovuto essere sempre l'elemento centrale invece che ritrovarsi disperso e portato avanti a spizzichi e bocconi, per così dire. Con una gestione più oculata dell'insieme e delle priorità della narrativa, i due capitoli finali sarebbero risultati a dir poco esplosivi e non soltanto un intrattenimento sufficiente.

Un meraviglioso contenitore, poco contenuto

E sarebbero risultati esplosivi perché, esclusa la narrativa, Black Knight brilla effettivamente su ogni altro aspetto: la regia è alternativamente pulita o sporca a seconda che ci si sposti dai nuclei abitativi al deserto circostante ricolmo di predoni e profughi, ci sono prove recitative di ottima fattura(per chi bazzica la scena coreana, d'altronde, la presenza scenica e il carisma di Kim Woo-bin non sono affatto una novità, anzi, è meraviglioso rivederlo sullo schermo dopo la sua lotta con il cancro), le sequenze d'azione sono ben realizzate e coreografate con punte di virtuosismo da non sottovalutare affatto in alcuni frangenti; detto in poche parole, lo sforzo produttivo è evidente, ricco di sfumature e accortezze di livello in netto contrasto con l'approssimazione del comparto narrativo.

Dovessimo considerare solo il contenitore, il voto sarebbe da top di gamma e siamo sicuri che il successo riscosso dalla serie - al momento della stesura di questa recensione è tra le più viste su Netflix Italia - è debitore proprio dell'impatto visivo e del fascino che Black Knight sa suscitare istantaneamente, anche per la sua visione di un post-apocalittico lontano ed al contempo vicino a noi per certi dettagli e funzionamenti.

Ma è un fascino che non viene poi sorretto dal contenuto, troppo dispersivo e mai focalizzato nel forgiare un intreccio narrativo unitario seppur variegato e multiforme. Black Knight è allora la classica occasione sprecata, nonostante raggiunga una qualità generale dignitosa e possa funzionare come passatempo pomeridiano per vedere qualcosa di diverso dal solito.

Black Knight Black Knight è purtroppo un'occasione sprecata. Seppur non una serie insufficiente, la nuova proposta coreana di Netflix inciampa troppe volte in una narrativa eccessivamente ambiziosa e straripante di storyline impossibili da sostenere per 6 puntate dalla durata di neanche un'ora. E di conseguenza ecco che spunta la superficialità, la rapidità con cui si chiudono certe vicende, qualche buco di trama sparso e momenti ad alto impatto emotivo costantemente depotenziati. Non è un caso che i migliori momenti siano tutti concentrati nelle ultime 2 puntate, più ritmate e concentrate principalmente sulla vicenda del protagonista. Se la narrativa allora non può ritenersi sufficiente, è sul resto che Black Knight brilla e non poco: la regia è pulita o sporca a seconda delle occasioni, le interpretazioni sono ottime, le scene d'azione sono ben realizzate è coreografate; insomma, lo sforzo produttivo è notevole e si nota, anche solo nella cura estetica riservata a questo strano e desertico mondo apocalittico.

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