Bloodride: la recensione della serie horror norvegese di Netflix

Arriva dalla Norvegia la nuova serie antologica in sei episodi che prova a spaventare gli spettatori di Netflix

Bloodride: la recensione della serie horror norvegese di Netflix
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Negli ultimi anni il genere horror ha vissuto una vera e propria età dell'oro, riuscendo a uscire dal ghetto della serie B e accreditandosi come palestra per autori. Registi come Jennifer Kent, Robert Eggers o Ari Aster hanno ricevuto apprezzamenti dalla critica e i loro film sono finiti in molte serissime top ten di fine anno, e Jordan Peele è arrivato addirittura alla candidatura agli Oscar con il suo Get Out. Anche in tv la qualità media delle serie è decisamente più alta che in passato, e ottimi lavori come la prima stagione di The Terror, Hill House o American Horror Story sono riusciti a fare breccia nel cuore degli spettatori. Con BloodRide, disponibile da pochissimi giorni sia doppiato che sottotitolato, Netflix prova la carta dell'horror a episodi, forse il sottogenere più classico della paura in televisiva fin dai tempi de I Racconti della Cripta o ancor più indietro de I Confini della Realtà e Alfred Hitchcock Presenta.

Tutti a bordo dell'autobus demoniaco

Lo spunto narrativo di BloodRide parte da uno spettrale autobus sul quale viaggiano come passeggeri i protagonisti dei sei episodi, pronti a scendere ognuno alla propria fermata per vivere la propria storia: una visuale estremamente vintage (è facile immaginare il demoniaco conducente come un novello Zio Tibia) che riesce nello scopo di incuriosire lo spettatore appassionato.

A tentare di spaventarci sono una donna di città che si trasferisce suo malgrado con la famiglia in campagna, un ragazzo con un passato di problemi psichiatrici, un'aspirante scrittrice senza troppo talento, il manager di una grande azienda che sta per lanciare sul mercato un prototipo rivoluzionario, una maestra che sta per cominciare il suo lavoro in una scuola riaperta dopo molti anni e due dipendenti recentemente assunti invitati a una festa aziendale in maschera. Sei storie brevi (tutti gli episodi sono sotto i trenta minuti) e a basso budget, che provano a spaventare senza usare effetti splatter o jump scare insistenti.

Spaventi alla norvegese

Il primo episodio, Ultimate Sacrifice, è forse il più riuscito del lotto. La giovane madre Molly proveniente dalla città si trova di fronte un vicinato inquietantemente ospitale e morbosamente attaccato ai propri animali. e scopre che nella foresta è nascosto un antico altare sacrificale che può cambiare le fortune di una persona. Una storia che riesce a intrigare lo spettatore per le molte potenzialità narrative che offre, crea un'atmosfera folk horror inquietante ed è recitata decentemente, ma che finisce in calando con una parte centrale frettolosa e un finale banale.

Si tratta purtroppo di un destino comune a quello della maggior parte degli episodi successivi, che vanno avanti stancamente, con qualche vago spunto che risveglia l'interesse presto sopito da uno svolgimento anonimo. Il primo episodio è inoltre l'unico a sfruttare almeno un minimo quello che sarebbe potuto essere uno dei punti di forza della serie: la peculiare ambientazione norvegese. Le cinque storie che seguono, infatti, avrebbero potuto svolgersi tranquillamente in qualsiasi altra parte del mondo occidentale, e non riescono a dire mai nulla di nuovo o originale.

L'unico parziale risveglio si ha con il terzo episodio, che seppure con qualche banalità prova a distaccarsi dalla solita struttura narrativa raccontando di una aspirante scrittrice che scopre di essere personaggio di una storia altrui: niente che non sia mai stato narrato, ma la successione dei colpi di scena e la recitazione tongue in cheek riescono a portare a termine il compito discretamente.

Non si può dire che BloodRide presenti episodi palesemente insufficienti, ma il problema della serie è che proprio non riesce a lasciare il segno in nessun modo. È recitato e girato sufficientemente, racconta storie fin troppo classiche di psicopatici e presenze demoniache, orrori fantastici e fin troppo umani, che non spaventano e si limitano a lasciare una vaga sensazione di inquietudine che svanisce rapidamente. Persino i finali a effetto sui quali un prodotto del genere dovrebbe puntare tutto non riescono a sorprendere mai.

Bloodride La durata estremamente ridotta aiuta ad andare avanti con la visione, ma al di là di una fruizione distratta per un pubblico casuale non troviamo veri motivi per cui consigliare BloodRide. Neppure agli appassionati dell'horror, che potranno trovare sicuramente miglior pane per i propri denti in prodotti magari meno curati esteticamente ma con più anima ed entusiasmo.

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