BoJack Horseman: recensione della quinta stagione

All'indomani del ritorno del cavallo più complessato della tv, facciamo il punto sulla nuova stagione di una delle serie migliori in circolazione

BoJack Horseman: recensione della quinta stagione
Articolo a cura di

È tempo di bilanci per BoJack Horseman; tempo che l'ormai emblematica serie originale di Netflix, dopo quattro stagioni passate a raccontare ansie, psicosi e deliri del mondo patinato e meschino di Hollywoo(d), cominci a pensare a ciò che è diventata e, soprattutto, a quello che rappresenta. Sembra questa l'essenza stessa della quinta stagione dedicata al cavallo più scorretto e complessato dello star system, attenta, mai come ora, ai risvolti più profondi e (auto)riflessivi del suo tragicomico bestiario di personaggi, senza per questo perdere nulla degli elementi che, nel corso degli anni, ne hanno decretato il successo. A pochi giorni dal suo ritorno, cerchiamo allora di scoprire il segreto di una serie capace di scavare sempre più a fondo nelle inquietudini e nelle paure dei suoi protagonisti e, allo stesso tempo, di guardare, con occhio sempre più critico, se stessa e il mondo a cui appartiene.

Un passato che ritorna (ancora)

Come si possono far ruotare ben cinque stagioni attorno ai problemi di un personaggio sempre uguale a se stesso? Come si può riproporre una formula vincente, tra temi e situazioni ricorrenti, senza essere mai ridondanti? La risposta pare suggerircela, alla fine di un monologo lungo un intero (e clamoroso) episodio, lo stesso BoJack: il trucco è che ci sia sempre qualcosa da raccontare, e poco importa se non ci sarà mai un lieto fine. Perché qualcos'altro da dire ci sarà sempre, almeno finché resterà il fiato per farlo. Fedele al suo protagonista, la serie creata da Raphael Bob-Waksberg riprende così, ancora una volta, i suoi temi e le sue situazioni più collaudate, dall'incapacità di prendersi le proprie responsabilità ai fantasmi di un passato che ci si ostina a non condividere né ad affrontare, fino a tutti quei desideri negati o frustrati che costellano l'universo dei vari comprimari; temi che però arricchisce di una nuova consapevolezza, di un nuovo corso degli eventi che, questa volta, non permetterà al suo antieroe di crogiolarsi troppo a lungo nella sua autocommiserazione.

Tutto è finzione

È così che le (dis)avventure di una Diane da poco tornata single, i desideri di maternità di una Princess Carolyn e l'assurda ascesa di Todd ai vertici di un'intera compagnia finiscono con il fare da contrappunto alla parabola di un BoJack come al solito in balia degli eventi, in bilico costante tra autodistruzione e autoassoluzione, tormentato da un passato che lo rincorre ovunque, persino sul set di una nuova, "rivoluzionaria" serie poliziesca.

Tra facce vecchie e nuove (il Flip McVicker di Rami Malek, la Gina Cazador di Stephanie Beatriz), mentre la star in caduta libera si confonde sempre più con il personaggio del tormentato e disdicevole Philbert, in una sempre maggiore e patologica incapacità di distinguere la realtà dalla finzione, è qui che la serie trova l'occasione per parlare di sé e del mondo che la circonda (la satira di Hollywood del quarto episodio, tra femminismo di comodo e ipocrisia, è una delle vette della stagione), in un procedere sempre più consapevole alla ricerca dell'essenza più profonda del suo protagonista.

Niente lacrime per i peccatori

Instabile, meschino, senza speranze (o quasi), BoJack, all'interno di una stagione più frammentaria e attenta del solito ai suoi personaggi secondari (su tutti, Princess Carolyn e l'episodio a lei dedicato), rimane paradossalmente il protagonista assoluto, un individuo tormentato in continua lotta con se stesso e con la propria immagine, in bilico - come, d'altronde, lo è la serie stessa (illuminante il decimo episodio, con le sue strizzate d'occhio e i suoi riferimenti più o meno velati) - tra l'esempio negativo e una redenzione ancora possibile, ancora capace, forse, di permettergli di accettare un consiglio e di cambiare, questa volta veramente, la propria vita. Non sarà un lieto fine ma, almeno fino alla prossima stagione, va benissimo così.

BoJack Horseman Giunta ormai alla sua quinta annata, la serie animata creata da Raphael Bob-Waksberg si conferma definitivamente come uno dei prodotti migliori in circolazione, stupendoci, ancora una volta, con il suo immaginario pieno zeppo di citazioni, drammi e trovate esilaranti. Capace di reinventarsi continuamente pur restando uguale a se stessa, BoJack Horseman ci mostra così le conseguenze delle azioni (spesso discutibili) dei suoi protagonisti in una stagione mai tanto profonda e autoriflessiva, restituendoci l'affresco, tra satira, cinismo e puro dramma, di un bestiario in bilico costante tra ipocrisia, senso di colpa e desiderio di assoluzione.

9