Castle Rock: recensione della serie ambientata nel mondo di Stephen King

Prodotta da J. J. Abrams e dallo stesso King, diamo uno sguardo alla serie interamente dedicata all'universo oscuro e misterioso del Re del Brivido

Castle Rock: recensione della serie ambientata nel mondo di Stephen King
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Ha qualcosa di familiare, Castle Rock. Qualcosa che ci dice, non appena mettiamo piede nell'apparente tranquillità di quell'immaginaria cittadina del Maine, che ci siamo già stati, che conosciamo già le sue strade, il suo passato oscuro, i suoi celebri abitanti. Perché - almeno per gli appassionati - non può che essere un ritorno a casa quello rappresentato dalla miniserie di dieci episodi targata Hulu, ideata da Sam Shaw e prodotta, oltre che da J. J. Abrams, proprio da quello Stephen King da cui tutto è nato. Ma a rendere questa serie un oggetto strano, forse unico nel suo genere, distante anni luce dalle innumerevoli trasposizioni cinematografiche e televisive che hanno spesso e volentieri (salvo, ovviamente, celebri eccezioni) fatto scempio dell'opera del Re del Brivido è il fatto che paradossalmente siamo di fronte a un racconto originale, un prodotto che prende quell'universo oramai mitico e ben radicato nel nostro immaginario e lo popola di nuovi volti, nuove storie, nuovi misteri. Vediamo allora quali sono gli elementi che, nel bene e nel male, hanno fatto entrare a pieno titolo questa serie nell'immenso corpus kinghiano.

Ritorno a casa

Ventisette anni sono passati da quella che, sin dal titolo, veniva definita come l'ultima storia di Castle Rock: Cose preziose. Ed è proprio nel lontano 1991 di quel romanzo e delle vicende lì narrate che inizia - con un ragazzino scomparso nei boschi e magicamente ricomparso senza un graffio diversi giorni dopo - anche la vicenda della serie, proiettandoci nella città che più di ogni altra ha avuto un ruolo preponderante nella costruzione del vastissimo universo narrativo dell'autore del Maine. La zona morta, Cujo, Shining, La metà oscura; ma anche Il miglio verde e Le ali della libertà. È intrisa di riferimenti e citazioni Castle Rock, di omaggi e di inedite corrispondenze, senza però diventare per questo un mero gioco derivativo, forte di un nuovo, originale mistero sempre più fitto e inestricabile. È proprio qui, in quelle strade, in quei personaggi ricorrenti (il ritorno dello sceriffo Alan Pangborn, qui interpretato da Scott Glenn; ma anche degli "attori kinghiani" Sissy Spacek e Bill Skarsgard), nelle citazioni e negli immancabili easter egg sparsi qua e là che il mondo chiuso e ostile di Castle Rock si fa teatro di un nuovo inquietante orrore, un mistero sempre più sinistro, avvolgente e oscuro.

L'Ombra che avanza

Chi è quel ragazzo senza nome trovato abbandonato in una gabbia nelle profondità del carcere di Shawshank? È davvero il Diavolo, come credeva il suo tormentato carceriere? E cosa nasconde il passato dell'avvocato Henry Deaver (André Holland), misteriosamente scomparso proprio nell'inverno di quel lontano 1991 e ora impegnato nientemeno che a far uscire di prigione il misterioso detenuto senza nome?

Non sono certo pochi gli interrogativi che sconvolgono l'apparente tranquillità di questa cittadina dal passato oscuro e dal futuro ancora più tetro, e che la serie, episodio dopo episodio, in uno strano ibrido tra Stranger Things (non a caso, il prodotto non kinghiano più kinghiano di tutti) e Twin Peaks (che siano i boschi a custodire la soluzione dell'enigma?), tenta di esplorare, alla ricerca di un mistero che gli autori paiono restii a districare, procedendo con fare lento - e a volte confuso - verso una (possibile) risoluzione finale.

Il fascino del Male

È a questo punto che la mano del produttore di Lost (avvertita, sin da subito, attraverso la presenza del John Locke di Terry O'Quinn, qui nei panni del direttore carcerario Lacy) comincia a farsi più pesante, scomponendo i piani temporali e segmentando la narrazione fino a sfociare nei suoi consueti e immancabili deliri dimensionali. E se l'andamento della serie non è sempre così costante, in uno sbilanciamento che alterna episodi più distensivi e meno riusciti a soluzioni ben più felici sia sul piano formale che narrativo (uno su tutti: gli sbalzi temporali, tra memoria e malattia, del settimo episodio, The Queen, probabilmente il migliore di tutta la stagione), è difficile dire che Castle Rock non sia comunque una serie a suo modo rivoluzionaria, capace com'è di prendere un universo narrativo ben definito e - senza mai stravolgerlo o tradirlo - popolarlo di nuove idee e di inedite manifestazioni. È così che, paradossalmente, Castle Rock - ennesimo passo avanti dopo interessanti produzioni recenti come Il gioco di Gerald - pur lontano dall'evento seriale che prometteva di essere, diventa una delle trasposizioni più fedeli della mitologia kinghiana, capace com'è di restituire al suo pubblico le atmosfere, le situazioni e il senso di apocalisse imminente di un mondo dove niente è ciò che sembra e dove il Male può nascondersi dietro ogni falsa pista, ogni storia, ogni volto.

Castle Rock - Stagione 1 Con la sua capacità di fare dell'intero universo narrativo di Stephen King terreno fertile per una storia originale fatta di soprannaturale, misteri e altre dimensioni, Castle Rock - al di là di una resa non sempre all'altezza delle aspettative - è l'esempio tangibile che una fedele trasposizione dell'immaginario del Re del Brivido è possibile. Forte dell'apporto di J.J.Abrams e dello stesso King, nonché di un insieme di interpreti (quasi sempre) all'altezza, la miniserie di Hulu convince soprattutto per la capacità di far rivivere sullo schermo atmosfere, personaggi e situazioni tipiche dei romanzi dell'autore, declinandole con un gusto e un'attitudine attente al mezzo televisivo. Se non l'evento che ci si sarebbe potuti aspettare, sicuramente un primo passo verso il futuro del filone.

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