Recensione Catching Milat

Una miniserie tv australiana in due episodi basata sui "backpacker murders", una lunga serie di omicidi di giovani autostoppisti che sconvolse il continente dei canguri negli anni '90.

Recensione Catching Milat
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La prima puntata è andata in onda lunedì 24 agosto alle 21.05 su GIALLO.

I backpacker murders sono stati una lunga scia di omicidi che ha sconvolto l'Australia negli anni '90. I resti delle vittime, tutti giovani autostoppisti, furono ritrovate a mesi e anni di distanza sempre nella stessa zona, facendo sospettare che dietro quelle orribili morti vi fosse la mano di un serial killer. La vicenda, che ha ispirato anche il recente e apprezzato dittico horror di Wolf Creek, si concluse con la condanna nel 1996 al carcere a vita di Ivan Milat, slavo di origini. Proprio a questa vicenda, seppur assai liberamente (la rappresentazione è stata ampiamente criticata dal vero sovrintendente di polizia dell'epoca, Clive Small), si è ispirata la miniserie autoctona Catching Milat che ripercorre, in due episodi da 75 minuti ciascuno, le tappe chiave delle indagini. L'operazione, trasmessa pochi mesi fa in patria sul canale televisivo Network Seven, è diretta dal prolifico regista televisivo Peter Andrikidis e vede nei panni dello spietato villain il Malcolm Kennard di Matrix Reloaded.

Ivan il terribile

Quando i corpi di numerosi ragazzi, dati per dispersi da tempo dalle famiglie, vengono ritrovati orribilmente mutilati nella foresta di Belanglo, le autorità cominciano a pensare che vi sia la mano di un serial killer. La particolarità del caso è nel fatto che tutte le vittime , di entrambi i sessi, fossero giovani autostoppisti perlopiù stranieri. Nel frattempo il vero assassino, l'insospettabile Ivan Milat, cerca di coprire le proprie tracce quando sente il fiato sul collo. Ma le ferrea determinazione del giovane detective Paul Gordon e della numerosa taskforce a capo del sovrintendente Small riusciranno ad incastrarlo.

I segni del male

Non è mai semplice, soprattutto sul piccolo schermo, ripercorrere una vicenda reale e per di più recente senza snaturare completamente la componente thrilling della narrazione. Catching Milat, pur con le già citate libertà narrative, riesce invece a mantenere alto l'interesse grazie a una buona gestione del ritmo, priva di tempi morti nella frequente alternanza tra lo sviluppo delle indagini e l'apparente quiete familiare del serial killer. E' anche vero che il regista Peter Andrikidis non si prende troppi rischi, seguendo uno stile abbastanza classico che ricorda le serie cult del genere poliziesco ante-litteram, ma l'interesse non scema mai e la visione evita, scelta in controtendenza rispetto al panorama contemporaneo e particolarmente condivisibile, i passaggi più cruenti: i brutali omicidi infatti avvengono sempre fuori scena e la violenza si fa quindi quasi del tutto assente, compensando l'assenza della suspense thrilling con una buona caratterizzazione dei vari personaggi in gioco. A lasciare il segno è senza dubbio la performance di Kennard, capace di sfumare l'assassino con diverse tonalità emotive e discretamente inquietante nei suoi sguardi di pura follia psicopatica.
Le due ore e mezza di durata complessiva, senza particolari sussulti, scorrono perciò con una certa piacevolezza che non deluderà gli amanti del filone.

Catching Milat Basata sulla reale vicenda del serial killer che già aveva ispirato i due film di Wolf Creek, Catching Milat è una miniserie poliziesca realizzata con una buona perizia tecnica e attoriale che, pur non segnando nuove vette del genere, si districa con nonchalance tra la parte dedicata alle indagini e quella relativa alla vita di tutti i giorni dello spietato serial killer, interpretato con la giusta trattenuta follia dal bravo Malcolm Kennard.