Chambers: la recensione della nuova serie horror di Netflix

Tra le sabbie dell'Arizona va in scena un racconto a cavallo tra due culture in contrasto, il misticismo new age e la spiritualità navajo

Chambers: la recensione della nuova serie horror di Netflix
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In un universo creativo così saturo come quello horror è difficile proporre a un pubblico particolarmente attento ed esigente qualcosa che non sappia di già visto. D'altronde la potenza di un immaginario, la sorpresa e la capacità di suscitare paure vere e credibili sono le basi fondanti per la riuscita di un buon horror. Nel caso contrario si smonta tutta la tensione narrativa, si genera noia, fino a entrare nel campo del ridicolo perché la sospensione dell'incredulità non basta più. Quello che Netflix e Leah Rachel cercano di fare con Chambers è proprio questo, prendere un tema inevitabilmente molto trattato dandone una propria visione originale, che si discosti dalla norma per offrire qualcosa di nuovo e inaspettato. Il risultato, per quanto in gioco ci siano delle intuizioni interessanti, è purtroppo scadente, figlio di un eccessivo slancio di ambizioni e di una malcurata gestione generale. Ma andiamo con ordine.

Fantasmi in Arizona

Siamo in Arizona, in una non meglio specificata regione a cavallo tra una riserva indiana e i facoltosi centri della ricchezza bianca. Sasha (Sivan Alyra Rose), giovane nativa, è colta da un improvviso attacco cardiaco; nello stesso momento, in una lussuosa villa, Becky (Lilliya Reid) perde la vita in un incidente fatale, con la classica radio caduta nella vasca da bagno. I destini delle due ragazze si fondono indissolubilmente nel momento in cui il cuore di una diventa fonte vitale per la sopravvivenza dell'altra. Il trapianto dell'organo diventa il nucleo fondante della narrazione, procedendo su due binari tra di loro interconnessi più di quel che si pensa.

Da una parte custodire il cuore di Becky porta Sasha a un rapporto inaspettato e dai tratti malsani con la famiglia della defunta; i genitori di quest'ultima - interpretati da Uma Thurman e Tony Goldwyn - infatti insistono nel provvedere agli studi e al mantenimento di quella che vedono come la portatrice della memoria della propria figlia, fino a un attaccamento quasi morboso. Dall'altro lato questa connessione si delinea come sempre più reale e sinistra, fino a chiarire apertamente quella che è a tutti gli effetti una possessione spiritica.

Sasha infatti possiede ricordi, compie gesti, addirittura assume tratti somatici della sua donatrice portandola in uno stato di paranoia e confusione. Questa connessione fantasmatica però getta anche delle ombre sulla morte della ragazza, non così accidentale, e legata a un sottobosco paranormale molto più ampio e che fin dall'inizio ci viene fatto intuire. Siamo in territorio navajo, quindi è facile aspettarsi misticismi del genere, quello che però più caratterizza la serie è il confronto con il ben più importante ruolo di una specie di setta new age a cui la facoltosa popolazione caucasica è affiliata e a cui tutti i misteri sono collegati.

La confusione dell'ambizione

Confronto tra civiltà e credenze filosofico-religiose, possessioni, un setting nativo mai troppo sfruttato. Gli spunti interessanti e a loro modo potenzialmente originali erano tutti a disposizione, si è però perso di vista il focus, non capitalizzando gli elementi a disposizione e anzi sprecando ciò che di buono si era messo a schermo. Una buona prova degli attori unita a una generale competenza della messa in scena, tra buone trovate visive e una composizione mediamente buona, mettono ancor più in evidenza la confusione di un plot fin troppo intricato, capace di avvilupparsi su se stesso nel solco di fin troppe storyline accennate e mal sviluppate, che allungano a dismisura un plot che sarebbe stato più fruttuoso svolgere nella metà del tempo.

Al netto di dieci episodi infatti la sensazione paradossale è quella di aver affrontato in maniera troppo sbrigativa e superficiale i punti cardine e più interessanti, annacquati invece in lungaggini superflue che minano pesantemente il ritmo della serie. Anche la parte horror e più paranormale alla fine risulta trascurata, non chiarendo bene le motivazioni e le regole del mondo mistico rappresentato e per di più scardinando involontariamente la tensione di fondo.

Chambers Cercando di creare qualcosa di originale, Chambers annega nella propria ambizione presentando una quantità di spunti che non è poi in grado di seguire e sviluppare, formando un mosaico confusionario, fuori ritmo e non particolarmente interessante. Un buon comparto tecnico, accompagnato a una buona prova dei protagonisti, non riesce però a risollevare le sorti di quella che rimane un’occasione mancata e un prodotto non brutto ma di certo dimenticabile.

5.5