Chernobyl: recensione della miniserie HBO

Con la trasmissione dell'ultima puntata su Sky Atlantic, è giunto il momento di tirare le somme sulla (grandiosa) miniserie.

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Non deve essere stato facile pensare a come trasportare sul piccolo schermo una delle tragedie più grandi dell'ultimo secolo. D'altronde, più che a fredde ricostruzioni, le terre di Cernobyl' e Pryp"jat', che rimarranno radioattive per centinaia di anni, hanno prestato i propri paesaggi a film horror di dubbio gusto. Eppure, in soli cinque episodi (delle durata di oltre un'ora ciascuno), l'opera scritta da Craig Mazin e prodotta da HBO riesce a racchiudere il dolore e l'angoscia di un evento quasi impossibile da descrivere nella sua interezza. Lo fa raccontando con crudo distacco gli sforzi e i sacrifici di migliaia di persone, senza rischiare di tralasciarne le singole storie, dando a una simile catastrofe una dimensione personale che trascina lo spettatore al proprio interno. Il risultato? Un successo senza precedenti, perché - dal suo arrivo in sordina prima sugli schermi americani e poi in Italia su Sky Atlantic - Chernobyl ha raccolto un parere positivo dopo l'altro, generando un passaparola raramente visto nel panorama delle serie tv.

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Una semplice frase segna gli ultimi minuti di Chernobyl. Accompagna il resoconto di ciò che è successo negli anni successivi alla tragedia ed è una dedica, un segno di ringraziamento verso tutti gli individui che in un modo o nell'altro sono entrati in contatto con le conseguenze del più grande disastro nucleare della storia e hanno fatto il possibile per alleviarne in qualche modo le ripercussioni. "In memory of all who suffered and sacrificed" racconta la volontà degli sceneggiatori di riportare da un lato le drammatiche ore, giorni e settimane che hanno segnato le vite di milioni di persone nel modo più obiettivo possibile, e allo stesso tempo di non dimenticare le piccole storie in quell'intricata matassa di racconti ed esistenze. Di ricordarne l'importanza al pubblico, affinché gli effetti del disastro non solo non vengano dimenticati ma anche contestualizzati in un'ottica presente. D'altronde, come recitano poche parole alla conclusione dell'ultimo episodio: "il bilancio ufficiale sovietico delle vittime, immutato dal 1987... è di 31". A dimostrazione che non tutto è effettivamente cambiato.

Il sacrificio della verità

In ogni momento, Chernobyl compie tutti gli sforzi possibili per far capire al pubblico la gravità di una simile situazione. Con continui pugni nello stomaco, senza risparmiare la violenza né l'orrore fisico e psicologico. Eppure è in grado di raffigurarli sullo schermo con una dignità impareggiabile, senza svilirne l'importanza con un sensazionalismo banale ed esagerato. Una capacità che si nota soprattutto nei piccoli momenti. Quando la moglie di un pompiere, pur di vedere il marito ricoverato, inizia a corrompere i dipendenti di un ospedale. Quando la macchina da presa inquadra con dei primissimi piani le facce atterrite delle infermiere, o ferma il proprio sguardo, ancorandolo su corridoi vuoti e scrostati mentre risuonano le urla di dolore dei pazienti.

Eppure, spesso non è la violenza visiva a sorprendere maggiormente lo spettatore. Non sono i corpi martoriati in seguito alle ustioni da radiazioni, ai pezzi di grafite raccolti quasi a mani nude. Sono le discussioni che si consumano nei palazzi del potere, nelle stanze degli uomini di partito, dei burocrati. In un particolare momento della serie, Valerij Legasov (il protagonista interpretato da Jared Harris) pronuncia con freddezza glaciale una frase che mai ci si aspetterebbe di udire. "Le chiediamo il permesso per uccidere tre persone", afferma, rivolgendosi a Gorbacëv. L'alternativa sappiamo essere certamente peggiore; lo show si è d'altronde premurato di spiegare il rischio di una nuova esplosione. Eppure, non può non far riflettere la possibilità di decidere, seduti intorno a un tavolo, chi mandare incontro a morte certa per risolvere una situazione della quale si è responsabili.

Verità e narrazione

Non a caso, nel fitto tessuto di storie che s'intrecciano nel corso delle cinque puntate, una in particolare si sviluppa e assume sempre più importanza. È il tentativo di manipolazione e oscuramento della verità, il ridimensionamento della realtà. Gli sforzi di una gigantesca macchina burocratica che si mette in moto non per proteggere il benessere dei propri cittadini o la salute delle proprie terre, ma solamente per nascondere i propri errori. È l'esempio perfetto, quello più tragico, di uno stato che si eleva a detentore di una verità di regime, un comodo cuscino che conforti e protegga gli interessi del governo (ma non quelli del paese) e soffochi al tempo stesso la voce di chi veramente ha qualcosa da dire. Sotto questo aspetto Chernobyl è tristemente contemporanea, magari non nella scala di omertà e pressappochismo che si trova a descrivere con distaccata obiettività, ma sicuramente nel modus operandi che ricopre un ruolo centrale nel suo racconto.

Nel corso del secondo episodio Ulana Khomyuk (interpretata da Emily Watson), un personaggio di finzione che per gli sceneggiatori dovrebbe rappresentate più figure di scienziati impegnati nella ricerca della verità, si presenta nel quartier generale del partito comunista bielorusso per avvertire le autorità di un pericolo di cui solo lei, tra la popolazione, sembra essere al corrente. Sa che è di fondamentale importanza capire a fondo la situazione e le eventuali contromisure da adottare. Nonostante questo, nel dibattito che ne consegue, le preoccupazioni della scienziata vengono dismesse con freddezza. A liquidarle è un burocrate, un funzionario annoiato, che prima di venire eletto lavorava in una fabbrica di scarpe e che ora preferisce la propria opinione a quella della studiosa perchè "...now I'm in charge", ora comando io. E se è vero che il potere offusca la mente di chi lo detiene, è altrettanto vero che un simile svilimento delle figure scientifiche ("A nessuno piacciono gli scienziati", afferma il politico) non si è limitato solamente a quel periodo storico o ai territori dell'Unione Sovietica.

Il prezzo delle bugie

Col passare degli episodi stona sempre di più la tranquillità con cui piccoli uomini inseriti negli ingranaggi statali prendono decisioni così importanti per il presente e il futuro dei loro concittadini. Stona perché viene confrontata con le scene strazianti che descrivono il disastro. Con l'eroismo dei pompieri che intervengono, nell'oscurità della notte della tragedia e della totale mancanza di informazioni. Con quello dei medici e delle infermiere, che fanno di tutto per salvare più vite possibili nei giorni e nelle settimane successivi.

Eppure queste cinque puntate, oltre a costituire una manciata di ore di angoscia e sofferenza, non rappresentano una vera e propria esortazione. Vi è un messaggio, questo è certo, eppure esso è affidato alla sensibilità e comprensione dello spettatore, alla sua capacità di intuire come ogni singola azione, anche la più banale, possa portare a mille altre conseguenze. Alla realizzazione che ignorare la verità in seguito a errori propri o altrui possa avere conseguenze distruttive. Chernobyl si concentra soprattutto su questo punto di vista, cercando in ogni caso di restare il più fedele possibile agli eventi reali. "Ogni menzogna che diciamo contraiamo un debito con la verità. Presto o tardi quel debito va pagato" annuncia di fronte ad una gremita aula di tribunale Valerij Legasov nell'episodio conclusivo. Ecco, nel corso di queste cinque puntate Chernobyl si è limitata solamente a svelare quanto tragico possa diventare il prezzo da saldare. Quanto futuro possa distruggere e quante vite spezzare.

Chernobyl- Stagione 1 È quasi impossibile trovare un difetto nella nuova serie di culto prodotta da HBO. La narrazione curata da Craig Mazin funziona su ogni livello. Beneficia di una struttura inusuale, un racconto circolare in cui il pubblico viene prima messo di fronte alle conseguenze di un disastro tanto tragico quanto evitabile e in seguito istruito su ogni singola tessera che è andata a comporre il puzzle finale. Nel corso di questo viaggio, che inizia con la morte che si trascina a ogni episodio, la serie si giostra tra più generi, danzando macabramente tra atmosfere horror al suono dei contatori geiger o fermandosi in silenzioso rispetto nell’aula di un tribunale mentre si consuma un procedurale dalle strane fattezze. Il risultato finale è un successo di difficile descrizione, ma capace di trasmettere al proprio pubblico la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di veramente grande.

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