La domanda, ormai giunti alla fine di Disincanto, che ci aleggia nella testa è una e una soltanto: era una serie destinata a prescindere al fallimento - ovviamente sul piano qualitativo - o si poteva fare qualcosa se non molto di più? L'ironia tipica di Groening, fortemente incentrata su stereotipi ben noti e su un uso magistrale delle ambientazioni sempre ricchissime di dettagli, poteva mai mescolarsi in maniera efficace con l'immaginario tipico del fantasy o ne risultava giocoforza castrata? Perché Disincanto è un viaggio bizzarro, che inizia eufemisticamente sottotono (qui potete recuperare la nostra recensione di Disincanto) e che quasi dal nulla riesce a trovare sprazzi sorprendenti di genialità (e qui vi rimandiamo alla nostra rrecensione di Disincanto 4). per poi concludersi purtroppo con 10 puntate colme fino all'imbarazzo di tutti i difetti messi in mostra fino ad ora.
La quinta ed ultima parte della serie Netflix creata dal papà dei Simpson e dei Futurama è ridicolmente ripetitiva, vuota, al limite dell'assurdo nonché del cringe per alcune trovate, inconsistente sul versante narrativo e con talmente tanti personaggi che occupano minutaggio su schermo senza avere qualcosa da fare. Eppure, noterete voi, il voto non è così negativo, poiché alla fine dei conti i protagonisti di un'epica priva di identità sono paradossalmente una gioia da ammirare. Peccato che Disincanto non sia riuscita quasi mai a farci qualcosa di davvero notevole.
Una struttura in lotta con sé stessa
Ma procediamo con ordine: questi ultimi 10 capitoli non sono altro che la risoluzione del conflitto, vero cuore pulsante della serie, tra Bean e sua madre Dagmar, già regina di Dreamland e pronta a divenire ancora più potente grazie ad un misterioso rituale che prevede lo sfruttamento proprio della figlia. E toccherà naturalmente a Bean, Elfo, Luci, Mora e a tutti gli altri personaggi che abbiamo conosciuto nel corso degli anni sventare tale piano malvagio, costi quel che costi. Ora, dal nostro punto di vista, la problematica più evidente della conclusione di Disincanto è la natura giocoforza story-driven di una premessa del genere che si scontra violentemente con una struttura episodica molto rigida, su cui gli sceneggiatori hanno insistito. In sostanza è una stagione che non ha chissà quanto da raccontare, è soltanto il momento della resa dei conti che però deve durare 10 episodi di 25-30 minuti ciascuno.

Non solo, ogni puntata - escluse le ultime - racconta una vicenda che si apre e si chiude, nel più classico stile delle serie animate americane. Cosa accade in questi casi? Si allunga ed annacqua a dismisura il materiale a disposizione, con forzature e una cascata infinita di ripetizioni. Per quanto tempo si può ridere o comunque considerarsi intrattenuti da un Elfo e Luci che devono nascondere un corpo? O quanto può rivelarsi fresca la continua striscia di sventure che mettono fuori uso qualunque mezzo di trasporto di Bean durante un viaggio? D'altronde occupano la trama di oltre metà stagione.
La maggior parte della season è dunque una triste e desolante reiterazione degli stessi eventi, un nascondino senza soluzione di continuità o una mini-avventura che ripete a menadito gli stessi concetti il cui solo scopo è farci vedere brevemente dove sono finiti alcuni personaggi secondari - quest'ultimo un aspetto che, tra l'altro, sta attanagliando anche il revival di Futurama, ma ne discuteremo a tempo debito. L'attenzione di conseguenza viene spostata unicamente sulle puntate finali, risultanti anch'esse di una ripetitività a dir poco inspiegabile: Bean e Dagmar lottano usando il loro singolo potere magico e poi combattono di nuovo e infine ancora, con nessun cambiamento a parte lo sfondo - e certe volte neanche quello cambia.

Se poi ci aggiungiamo persino una quantità di sottotrame introdotte, subitaneamente abbandonate e poi chiuse superficialmente dal nulla, il finto dramma portato dalla scomparsa di alcuni personaggi - finto poiché si sa che la morte in Disincanto non significa nulla, ci sono millemila modi per ritornare in vita - e addirittura una sequenza in cui Bean predice un esito del conflitto molto più emotivamente impattante e coerente ma che poi non si realizza, il quadro almeno secondo noi è chiaro e non può di certo definirsi riuscito. Disincanto è, alla fine della sua corsa, un telefilm che non ha mai trovato una sua dimensione, una sua identità, una sua coerenza interna che era necessaria vista la narrativa predominante.
L'unica ancora di salvezza
E no, non può bastare la trovata sicuramente allettante di avere un personaggio che urla ai protagonisti tutte le critiche rivolte alla serie negli anni, in un tentativo di comunque valorizzare ciò che è stato fatto invece di fare ammenda e migliorare. La quinta parte di Disincanto, infatti, non migliora la serie ma affonda una volta per tutte qualunque sua velleità per la sua insostenibile noncuranza. Basti pensare ai poteri di Bean: a volte li sa usare, a volte no, nonostante per un episodio intero faccia letteralmente un addestramento per imparare a controllarli, superandolo; funzionano o meno a seconda di cosa serva agli sceneggiatori, non alla storia, un caso esemplare estendibile a qualunque altro aspetto delle 10 puntate.

L'ancora di salvezza, in realtà un leitmotiv che ripetiamo fin dall'esordio, sono i suoi personaggi, sia principali che secondari, capaci straordinariamente di bucare lo schermo ad ogni occasione, di trasformare banali dialoghi di passaggio in scene iconiche o quantomeno da meme istantaneo, di ravvivare qualunque situazione. Non è un'esagerazione quando affermiamo che potrebbe uscire ad esempio un mediometraggio di Luci ed Elfo che fanno il bucato insieme e risulterebbe esilarante. È forse questo l'aspetto più doloroso di Disincanto, ovvero notare che le basi ci sono, Groening è riuscito ancora una volta a dare l'input giusto e a creare figure che sarebbero potute diventare icone incontrastate della cultura pop e dominarla per decenni. Peccato che, esclusa la quarta parte, non si sia mai riuscito a valorizzare ciò e il tutto si sia concluso con episodi di una povertà e prevedibilità disarmanti.