Disincanto Parte 2: recensione della serie di Matt Groening

La serie creata da Matt Groening torna su Netflix con la seconda tranche di episodi pronti a riportarci nel suo piccolo folle medioevo.

Disincanto Parte 2: recensione della serie di Matt Groening
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Iniziamo subito in media res: Disincanto si è presentato zoppicando un po' l'anno scorso, tra momenti in cui l'ironia tipica di Groening brillava intensamente e altri sterili e vuoti. È stato un esordio bizzarro, ricco di felici intuizioni e scelte inspiegabili, personaggi fantastici e comicamente impeccabili ma situazioni e avventure stanche e spesso ripetitive, in particolar modo nelle puntate autoconclusive. Ma probabilmente la più grande delusione fu l'ambientazione: Groening ci ha abituato a immergerci in setting ispirati, con sorprese e occasioni di satira ad ogni angolo - la New York del terzo millennio di Futurama parla da sé. In Disincanto tutto questo non c'era, se non in timidi sprazzi dispersi in una visione statica e fin troppo classica del fantasy di stampo occidentale. Il cliffhanger che chiudeva la prima parte, tuttavia, schiudeva scenari potenzialmente interessanti e più liberi, come se quelle dieci puntate fossero una semplice introduzione. Insomma, quel finale deve rappresentare lo sfogo delle piene potenzialità della serie Netflix. Sarà stato così? Per certi versi sì, ma per altri ancora no.

And here we go again...

Le vicende riprendono esattamente nel punto esatto in cui le avevamo lasciate: Bean è in fuga da Dreamland con la ritrovata madre Dagmar, ignara del fatto che sia lei in realtà la vera colpevole della caduta del regno. I suoi migliori amici non se la passano meglio, visto che Elfo è morto e Luci disperso, mentre il padre Zog si ritrova da solo ad affrontare il tradimento delle persone a lui più care nel suo dominio pietrificato. Niente più risate, urla o servi per il paffuto re, solo statue. Bean intanto giungerà presto nella terra natia della madre, Maru, sperando di trovare una nuova vita, per poi essere circondata ancora una volta da mezze verità e congiure. Non fatevi ingannare da questa sintesi, la struttura della serie rimane inalterata: la trama orizzontale è condensata nelle puntate di apertura e chiusura, mentre nel mezzo ritornano le (dis)avventure dei nostri protagonisti, che come al solito si cacceranno nei guai più impensabili. Ecco, qui Disincanto fa il primo netto passo in avanti, poiché non solo le trame verticali risultano di gran lunga più varie e coinvolgenti, ma riescono addirittura a essere molto spesso legate da un comune fil rouge - la convivenza alla Strana Coppia tra uomini ed elfi.

C'è una ben altra cura riposta nella scrittura e programmazione della stagione rispetto alla quasi indolenza di un anno fa. Certo, non tutto adesso è miracolosamente diventato oro, ci sono ancora divari qualitativi importanti tra alcune puntate e diverse sottotrame dovrebbero essere rinchiuse per sempre nelle segrete di Dreamland vista la loro brevità e incuria. Il livello generale, però, si è innegabilmente alzato.

La (buona) varietà

Sul versante estetico il discorso è similare, ma più mitigato: è vero, questa seconda parte di Disincanto si apre a diversi nuovi scenari - il cui solo nome sarebbe uno spoiler ingiusto - che convincono sul piano visivo ed una in particolare è uno squisito crogiolo di occasioni per fare satira. L'ambientazione principale, al contempo, rimane sempre Dreamland, che rimane costantemente la meno ispirata. Da questo punto di vista vediamo difficili ulteriori miglioramenti, magari è proprio l'arcinoto castello con annesso regno medievaleggiante a non offrire la giusta quantità di spunti e creatività. Resta il fatto che Dreamland continua a essere un setting alquanto piatto, a parte qualche raro scorcio di inventiva. Ciò che la ravviva è l'umorismo onnipresente di Groening, finalmente centrato e focalizzato. Dalla condizione delle donne, tema portante di Disincanto, alla religione e visione del mondo, dalla medicina - Luci che aiuta Zog ad ammalarsi di gotta perché simbolo di regalità è un colpo da maestro - alle abitudini del popolino, l'ironia prende di mira ogni aspetto della società medievale, senza negarsi persino qualche strizzatina d'occhio alla contemporaneità. Zog che sbraita pretendendo una spiegazione più magica possibile che chiarisca tutti gli avvenimenti rimarrà per sempre nei nostri cuori.

La strada giusta

E al centro di tutto ciò si ergono loro, il trio di protagonisti che, come un anno fa, rappresentano di nuovo il cuore e il gioiello più scintillante di Disincanto. Impossibile non affezionarsi alla sottile crudeltà di Luci o alla voglia di fare di Bean, né si può resistere alla dolcezza ingenua di Elfo. Il mix che fuoriesce da questo improbabile team è, senz'ombra di dubbio, il vero successo della serie animata di Groening, che è riuscito a mescolare quasi perfettamente tre tipi di umorismo diversi tra di loro. Un'alchimia così riuscita da trasformarsi addirittura in un boomerang: Disincanto, infatti, soffre tremendamente quando i tre non sono insieme, come nelle prime battute di questa seconda parte, e soprattutto mettono in luce una mancanza di comprimari convincenti. Escluso Zog e qualche gag con la servitù del castello, gli altri personaggi ne escono con le ossa spezzate al confronto e anche chi, da Dagmar a Oona fino a Derek, il fratellastro di Bean, ha il suo momento per brillare non riesce a coglierlo e ad avere quell'impatto che la trama richiederebbe.

E si ha infine il ritratto di un prodotto che sicuramente ha alzato la propria asticella, ma che a ogni luce contrappone inevitabilmente delle ombre. A differenza dell'anno scorso possiamo nonostante tutto affermare tranquillamente che la strada imboccata da Disincanto sia quella giusta e, con altri 20 episodi già confermati, guardare al futuro con ottimismo, nella speranza che le sue buone qualità spicchino il volo una volta per tutte.

Disincanto Dopo un esordio traballante, Disincanto si è finalmente incamminato sulla strada giusta. Perché si, dei problemi permangono ancora, come delle trame secondarie insulse, personaggi comprimari poco incisivi, una narrativa orizzontale non sempre ben sviluppata e uno stile visivo estremamente altalenante. Ma Disincanto è anche un trio di protagonisti meravigliosi, un'ironia che in questa seconda parte ha finalmente trovato la sua dimensione e, soprattutto, ha dimostrato che la ripetitività accusata nelle prime 10 puntate era solo un incidente di percorso. Siamo molto fiduciosi per il futuro della nuova creatura di Matt Groening, che sicuramente si sta ancora scontrando con le difficoltà che un progetto cosi diverso rispetto ai suoi standard comporta, ma a cui sta imprimendo un'identità ben precisa. E con un nuovo ed interessante cliffhanger, la prossima infornata di puntate previste per il 2020 potrebbe davvero rappresentare la consacrazione di Disincanto, a patto che si continui su questa strada.

6.5