Django Recensione: una serie che vuole entrare nel mito, ma non ci riesce

Nonostante un ottimo compartimento tecnico e le buone interpretazioni degli attori Django non riesce a far entrare il suo protagonista nella leggenda.

Django Recensione: una serie che vuole entrare nel mito, ma non ci riesce
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Le nostre prime impressioni della serie di Django su Sky e NOW ne criticavano la caoticità dovuta alla quantità innumerevole di personaggi che la storia presentava e che dovevano poi confluire nel raccontare il mito western. Una matassa complessa che, però, il proseguimento dello show è riuscito a sbrogliare, andando a impostare con maggiore rigore i diversi tasselli messi per comporre la narrazione ideata da Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, con la direzione artistica di Francesca Comencini.

Django ha dimostrato addirittura di voler sovvertire una personalità come quella creata e diretta nel 1966 da Sergio Corbucci, facendolo attraverso alcune idee che, se possono essere state pensate e concepite come originali dai propri sceneggiatori, non hanno in verità in sé alcun seme dell'eversione e nemmeno della modernità di scrittura che forse si credeva.

Cercare (e non riuscire) a sovvertire un genere

Per questa motivazione Django finisce per rivelarsi uno show che continua a mostrare un ingente lavoro dal punto di vista della ricostruzione del genere d'appartenenza e l'attenzione posta alla cura dei suoi compartimenti tecnici, soprattutto nella scenografia e nella ricreazione di un'epoca oramai passata.

Anche le interpretazioni dei propri attori, con tanto di cameo e comparsate come quella insolita di un Manuel Agnelli cowboy o del volto noto nel panorama cinematografico e seriale di Vinicio Marchioni, meritano un plauso tutto rivolto alla veridicità che sono riusciti a suscitare in un contesto così lontano e rurale rispetto a noi. Ma è nella capacità di appassionare e di ribaltare veramente le aspettative del pubblico su cui non possiamo appoggiare lo show, in particolar modo nel suo credersi completo o riuscito. Un racconto a episodi che si apre e si chiude tutto su quella New Babylon che, se nella narrazione rappresenta un porto di speranza, spirito di rivoluzione e accoglienza per un entusiasmante futuro, non lo è a conti fatti quando arriva alla conclusione della sua prima stagione. Che non lascia quasi nulla, se non la sensazione che la serie abbia voluto stendere un sommovimento rimasto però silente e circoscritto alla sola visione delle puntate su Sky e NOW (non perdete le serie Sky e NOW di marzo 2023), usando anzi delle soluzioni narrative anche troppo facili e perciò poco incisive per la descrizione dei suoi personaggi. Su tutti, quella del Django di Matthias Schoenaerts.

Un non saper dimostrare una propria autenticità o un genuino spirito creativo nell'invertire la rotta dell'icona western. Non come aveva saputo fare tempo addietro Quentin Tarantino col suo ormai immortale Django Unchained, in cui si predisponeva realmente uno sguardo fresco e ragionato sulla trasformazione del protagonista di Franco Nero, cosa che avviene in maniera assai più forzata nello show supervisionato da Comencini.

Un tentativo gradito, seppur non riuscito completamente

Django è dunque un esperimento che rimane immobile nella sua stessa fattura, nato e sviluppato per non entrare nell'immaginario del pubblico, pur avendoci provato con tutto se stesso. Pur avendo tentato di stravolgere le regole, cercato di inventarne di nuove. Pur avendo saputo utilizzare con destrezza le materie che venivano offerte e che tutti, dalla regia, alla produzione, agli attori, hanno saputo far fruttare adeguatamente ai fini del progetto.

Ma per innalzare un'inedita epopea a volte non basta attenersi al compito assegnato o, al contrario, mostrare con tutto il proprio impegno quanto si è più fantasiosi, ribelli o fuori dal comune rispetto agli altri. Non tutti possono edificare una propria mitologia, e la serie tv di Sky, purtroppo, non ce l'ha fatta.

Django Serie Tv La serie Django di Sky e NOW cerca di costruire una nuova mitologia, purtroppo non riuscendoci. Lo show sotto la direzione artistica di Francesca Comencini tenta di essere con tutte le proprie forze originale e sovversivo, non essendo però in grado di costruire veramente un inedito immaginario su cui sviluppare la leggenda del suo protagonista. Tutto questo nonostante il lavoro ingente e lodevole dal punto di vista della produzione e delle ricostruzioni scenografiche, oltre alle buone interpretazioni dei suoi attori.

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