Doctor Who: recensione della stagione 11

L'amatissimo alieno chiude il primo ciclo supervisionato da Chris Chibnall, una stagione sottotono impreziosita dalla performance di Jodie Whittaker.

Doctor Who: recensione della stagione 11
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C'era una discreta dose di trepidazione in vista del debutto dell'undicesima stagione del revival di Doctor Who, la prima per il nuovo showrunner Chris Chibnall e la nuova protagonista Jodie Whittaker. Nel caso di Chibnall, acclamato creatore di Broadchurch, c'era un minimo di scetticismo da parte dei fan poiché il suo curriculum più strettamente di genere non era dei migliori (la prima stagione di Torchwood e la serie arturiana Camelot); per la Whittaker invece c'era la solita curiosità che accompagna ogni rigenerazione, unita a dubbi (molti dei quali di stampo palesemente sessista) sulla decisione di affidare il ruolo principale a una donna dopo dodici incarnazioni maschili, con l'aggiunta del War Doctor interpretato da John Hurt. Eccoci quindi arrivati alla fine (o quasi) del primo viaggio congiunto dei due, un percorso promettente ma decisamente sottotono rispetto alle prime annate di Russell T. Davies e Steven Moffat.

Tutto nuovo

Nel 2005, quando la serie tornò sugli schermi inglesi dopo quasi due decenni di assenza (con l'eccezione dello sfortunato film televisivo uscito nel 1996 e sporadiche parodie o produzioni comunque slegate dalla continuity ufficiale), Davies aveva sostanzialmente carta bianca, con l'obiettivo principale di conquistare una nuova generazione di spettatori, rimandando gran parte dei rimandi allo show classico alle stagioni successive. Nel 2010, quando toccò a Moffat gestire tutti gli aspetti artistici e produttivi del programma, ci fu una parziale tabula rasa che era però sempre ancorata nella tradizione dello show, tra battaglie epocali e avversari iconici.

Chibnall ha preferito puntare sul reset totale: niente comprimari delle stagioni precedenti, niente rimandi a Gallifrey e/o la Guerra del Tempo, niente trama orizzontale, niente storie in due parti e, nel primo episodio, addirittura niente titoli di testa. Una strategia interessante sulla carta, ma non priva di buchi a livello di esecuzione: nelle annate precedenti, eventuali episodi più deboli erano comunque inseriti all'interno di una macrostoria specifica e non saltavano veramente all'occhio; quest'anno, essendo ogni puntata completamente autoconclusiva (solo nel finale c'è un parziale legame con gli eventi del primo episodio), le storie più deboli si fanno notare con una certa prepotenza, in una stagione che, in termini di scrittura, è riuscita solo in parte, con l'apice rappresentato dal terzo capitolo, dove i nostri eroi incontrano Rosa Parks.
E sebbene l'intenzione di Chibnall di non usare avversari classici in questi primi dieci episodi sia lodevole, la loro assenza si fa sentire quando mancano all'appello creazioni originali capaci di lasciare il segno nello stesso modo. Forse anche per questo, nell'episodio speciale del primo gennaio - che fungerà da vera chiusura per questo ciclo - ci saranno i Dalek.

Volto diverso, stessa gentilezza

Accantonando paradossi temporali, battaglie su larga scala e minacce che vanno oltre ogni aspettativa, Chibnall e i suoi collaboratori hanno dedicato più tempo all'evoluzione del rapporto tra il Dottore e i suoi tre nuovi compagni d'avventura, una famiglia allargata i cui membri condividono il bisogno innato di aiutare il prossimo. E proprio in quel contesto si è mossa, con la solita personalità imprevedibile all'inizio subito dopo la rigenerazione, la tredicesima incarnazione dell'alieno dotato di due cuori e una dose sovrabbondante di compassione. Prima di trasformarsi, lo scorso Natale, Peter Capaldi ricordò al suo successore che "l'odio è sempre sciocco, e l'amore è sempre saggio".

E Jodie Whittaker è, dal primo all'ultimo episodio, la portavoce perfetta di quella filosofia, che nelle annate di Capaldi era invece un work in progress. Non è esattamente lo stesso personaggio, ma non lo è mai veramente stato sin dalla prima rigenerazione quando nel 1966 William Hartnell fu sostituito da Patrick Troughton. Eppure è sempre riconoscibilmente il Dottore, e il fatto che ora sia interpretato da una donna (elemento che non viene mai usato in modo gratuitamente retorico nella serie stessa) non incide minimamente su ciò che siamo abituati ad aspettarci dal celebre gallifreyano: ha una macchina del tempo, si diverte a usarla, e non esiterà mai e poi mai a tirarci fuori da qualunque tipo di pasticcio.
Non a caso anche il finale di stagione, per quanto privo del brio che caratterizza solitamente questo tipo di puntata, si prende il tempo di ricordarci la qualità fondamentale di questi personaggi, quando Graham chiede se debbano per forza essere loro a rispondere a tutte le richieste d'aiuto in giro per il cosmo. "No, per nulla. Ma tutti gli altri le hanno ignorate, pensi che dovremmo farlo anche noi?", risponde il Tredicesimo Dottore. Sono quei piccoli momenti, anche in episodi non sempre all'altezza, a ribadire il vero fascino del programma, e a rendere particolarmente lunga l'attesa delle prossime avventure: dopo l'episodio speciale, per la dodicesima stagione bisognerà aspettare il 2020.

Doctor Who- Stagione 11 La prima stagione curata da Chris Chibnall è un'autentica rottura con il passato, ma non sempre in modo positivo: l'assenza di una trama orizzontale e la rinuncia a elementi classici rende più evidente lo squilibrio tra gli episodi riusciti e quelli più deboli. Rimangono comunque le premesse/promesse di un'evoluzione interessante, e l'interpretazione di Jodie Whittaker, tredicesima interprete dell'alieno con due cuori, è strepitosa dall'inizio alla fine.

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