El Cid 2 Recensione: il tortuoso cammino dell'eroe

Nella seconda stagione, Ruy (Jaime Lorente) affronta tanti dilemmi interiori, mentre la lotta per la corona si fa ancora più sanguinosa.

El Cid 2 Recensione: il tortuoso cammino dell'eroe
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Un aspetto che emerge dopo aver visto le prime due stagioni di El Cid, per un totale di dieci episodi, è che la penisola iberica dell'Undicesimo secolo era un territorio funestato da continue guerre a causa dei vari sovrani che non si fermavano davanti a nulla pur di esercitare il proprio dominio sugli altri, anche a costo di dare il via a scontri fratricidi (riscoprite la nostra recensione di El Cid per approfondire). Ne deriva dunque un quadro complesso in cui la sete di potere e l'ambizione vanno di pari passo con la paranoia di diventare vittime di un attacco se non ci si muove per primi, se non ci si dimostra più forti.

In fondo, la lezione di Re Ferdinando è che "il trono richiede violenza", una lezione che sembra essere stata assimilata dai suoi figli. Infatti, sebbene Re Ferdinando in punto di morte abbia provato a porre un freno a queste lotte intestine facendo giurare proprio a quest'ultimi che non si sarebbero attaccati tra di loro, come abbiamo visto nel nostro first look di El Cid 2, i suoi discendenti non lasciano passare troppo tempo prima di iniziare a tramare e tradire, dando il via a un gioco ipocrita in cui da una parte "niente è più importante del tuo sangue" e dall'altra non si esita ad accoltellare alle spalle, al netto di promesse fatte e buonsenso.

Regni in subbuglio

Il secondo arco narrativo di El Cid mette al centro proprio i conflitti tra i figli e le figlie di Re Ferdinando, mentre il protagonista Rodrigo "Ruy" Diaz de Vivar (Jaime Lorente) - cui è stato chiesto di vigilare su di loro affinché non inizino a spargere il sangue dei propri consanguinei - si ritrova ad affrontare un percorso interiore in cui dovrà mettere in discussione se stesso e dovrà fare i conti con le responsabilità che lo opprimono sempre più, a causa dell'ingombrante eredità rappresentata da una frase rivoltagli dal padre e che gli si è impressa addosso: "la lealtà viene prima del sangue".

Ruy è pieno di dilemmi, ha tante decisioni da prendere e, come se non bastasse, è l'ago della bilancia per quanto riguarda gli esiti delle vicende politiche in cui è coinvolto. Insomma, la seconda stagione di El Cid - che ha debuttato su Prime Video tra le uscite Amazon di luglio - si è presentata con diversi spunti interessanti, portando con sé pregi e difetti di quanto visto in passato. Il risultato è una serie che intrattiene pur senza stupire e che riesce a compensare le varie ingenuità presenti grazie all'ambientazione in un periodo storico affascinante.

Il peso del dovere

I tre fratelli Sancho (Francisco Ortiz), Alfonso (Jaime Olías) e Garcia (Nicolás Illoro) hanno ricevuto rispettivamente i regni di Castiglia, Leòn e Galizia; A Urraca (Alicia Sanz) ed Elvira (Lucía Díez) spettano invece le città di Zamora e Toro, con in più la promessa di non sposarsi. Tutti loro, con l'eccezione di Elvira (e in parte Garcia), sono ossessionati dal potere.

C'è chi è un abile manipolatore e chi viene facilmente manipolato; chi ricorre alla violenza come prima risposta ai problemi e chi preferisce i sotterfugi, chi si fa guidare dall'impulsività e chi sa attendere. La progenie di Re Ferdinando sembra, in diverse occasioni, un gruppo di individui capricciosi che si fanno i dispetti a discapito delle vite altrui, di quelle della gente comune a cui di fatto non cambierà niente tra l'avere un sovrano o l'altro. Questo aspetto sociale della guerra viene sottolineato più volte nelle scene in cui i soldati semplici esprimono i propri dubbi circa la necessità dell'ennesima guerra; sono frastornati all'idea che non sembri esserci posto per la pace e sono afflitti al pensiero di dover alzare le armi contro i propri amici. Eppure, sui personaggi principali sembra gravare l'ineluttabilità del proprio destino, che li porta a scontrarsi tra di loro finché non ne resterà solo uno, il che vuol dire non avere più minacce, almeno tra i componenti della propria famiglia. Lo stesso Ruy è sempre più oppresso dal ruolo che il destino sembra avergli affidato, perché comporta enormi responsabilità e soprattutto contrappone il suo alto senso di lealtà con il desiderio di autoaffermazione o comunque di inseguire ciò che ritiene più giusto.

Il percorso personale di Ruy, dunque, risulta sicuramente più riuscito rispetto alla prima stagione perché l'eroe spagnolo viene messo di fronte a numerose scelte che lo portano a riflettere e a cambiare e che sotto diversi aspetti contribuiscono a renderlo più umano e sfaccettato. Ancora una volta, però, il personaggio più riuscito è probabilmente Urraca, abile stratega nelle manovre di palazzo e insofferente verso una società che le impedisce di ottenere ciò che vorrebbe solo perché donna. La sua storia è una delle più tragiche del lotto e anche lei, come Ruy, dovrà imparare a cavarsela senza più punti di riferimento.

Nuovi orizzonti

Nel first look avevamo spiegato che le due stagioni sono state girate insieme e che per questo fin dal primo episodio avevamo riscontrato una continuità produttiva a livello di regia, colonna sonora, fotografia e scenografia. Anche il resto degli episodi lo hanno confermato e in più hanno offerto delle sequenze di battaglia ben eseguite e diversi paesaggi a dir poco stupendi. Lo stesso discorso, però, non si applica per la scrittura, che abbiamo trovato meno equilibrata e dalla qualità più altalenante. Negli episodi centrali abbiamo accusato una fase di stanca perché le vicende amorose diventano quasi preponderanti, ma sono gestite con il pilota automatico e di conseguenza risultano prevedibili e scontate, se non addirittura tediose.

Inoltre, tali vicende non rendono giustizia a diversi dei personaggi coinvolti, poiché la loro caratterizzazione sembra limitata esclusivamente al loro grado di affezione verso il protagonista e dunque le loro azioni sono dettate pressoché da impeti d'amore o gelosia, ma per il resto è come se non avessero una personalità. Un altro aspetto che ci ha convinto poco è che la serie fatica a far percepire allo spettatore sia la dimensione temporale che quella spaziale del racconto, tanto che spesso e volentieri non è chiaro quanto tempo sia passato da un fatto all'altro e si ha la sensazione che i personaggi si teletrasportino di località in località in tempo zero.

Le cose migliorano nei due episodi conclusivi, quando l'azione prende il sopravvento e il campo di gioco viene ridisegnato in vista degli sviluppi futuri, con Ruy pronto a entrare in una nuova fase della sua vita. I dubbi sulla lealtà, sul senso del dovere, sulla liceità della guerra e via dicendo funzionano e garantiscono anche tanti ribaltamenti di fronte, scambi di schieramento e risvolti imprevisti. Pertanto, dovendo dare un giudizio definitivo, ci sentiamo di ritenere la qualità della seconda stagione in linea con la prima, perché - ancora una volta - seppur ci siano diversi difetti lo show riesce a portare al termine il suo compito di intrattenere e di aprire una finestra su un'epoca in cui storia e leggenda si fondono e che nel complesso è ben contestualizzata dagli autori.

El Cid 2 I due perni centrali su cui si basa la seconda stagione di El Cid sono lo scontro tra la progenie del Re Ferdinando e il percorso interiore del protagonista Rodrigo "Ruy" Diaz de Vivar, il quale sarà chiamato a maturare per sostenere il peso di tutte le responsabilità che ha, così come le tante aspettative che vengono riposte in lui. Anche in questo secondo arco narrativo gli intrighi, i tradimenti, gli agguati e le battaglie la fanno da padrone, ma la scrittura è risultata più altalenante, complice una fase centrale poco convincente e certe derive soap che hanno il più grande difetto nell’essere scontate e banali. Gli episodi finali però risollevano le cose e aprono alla possibilità di sviluppi intriganti.

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