Escape at Dannemora: Recensione della miniserie diretta da Ben Stiller

Su Sky Atlantic è andata in onda la miniserie con protagonista Benicio del Toro, basata sulla reale evasione di due detenuti nel 2015.

Escape at Dannemora: Recensione della miniserie diretta da Ben Stiller
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Dall'impossibile fuga di Frank Morris nel cult Fuga da Alcatraz ai machiavellici piani orditi da Michael Scofield in Prison Break, le evasioni sono delle attrazioni irresistibili nel panorama cinematografico e televisivo, un condensato di suspense e drammaticità che pochi altri generi riescono a eguagliare grazie a quella sensazione di attesa snervante quando mancano pochissimi centimetri alla tanto agognata libertà, sapendo perfettamente che ogni cosa potrebbe andare ancora male, magari un piccolo dettaglio trascurato o una guardia che non avrebbe dovuto trovarsi proprio lì. Sono emozioni forti e assuefacenti, che da sole spiegano il successo di questo particolare filone. Un'evasione da una prigione semplicemente cattura il pubblico in una ragnatela di adrenalina, incertezza e tensione ai massimi livelli. Ed è un aspetto che Escape at Dannemora, miniserie diretta da Ben Stiller andata in onda in Italia su Sky Atlantic, comprende magnificamente, senza però negarsi qualche sbavatura di troppo.

Voglia di libertà

La trama segue la vera storia dell'evasione di due detenuti, Richard Matt (un sontuoso Benicio del Toro) e David Sweat (Paul Dano) dal Clinton Correctional Facility, carcere di massima sicurezza situato nello Stato di New York, con seguente caccia all'uomo. Aiutati da una dipendente della prigione, Joyce "Tilly" Mitchell (Patricia Arquette, fresca vincitrice di un Golden Globe per la sua interpretazione), i due prigionieri riescono a mettere in atto una brillante fuga sfruttando la noncuranza con cui la prigione sorveglia alcune gallerie sotterranee. Qui Escape at Dannemora mostra brillantemente il suo lato migliore: lo sviluppo del piano, l'intuizione geniale di Richard sorretta dalla voglia di libertà di David, la difficoltà nel reperire gli strumenti adatti, persino il noioso lavoro giornaliero in sartoria; è tutto reso alla perfezione. Seguire il piano un piccolo passo dopo l'altro nell'attesa che finalmente quel muro possa rompersi in seguito a nottate passate in bianco regala delle soddisfazioni immense, ed è esattamente ciò che un prodotto del genere deve fare. Insomma, su questo versante la miniserie creata e scritta da Brett Johnson e Michael Tolkin non ha nulla da invidiare ai classici del genere, anzi ne impara squisitamente la lezione. Se già di base è piuttosto immediato farsi coinvolgere in imprese simili, diventa tutto ancora più facile attraverso un'ottima caratterizzazione dei personaggi e delle loro motivazioni. Richard e David sono protagonisti esplorati e sviscerati con dovizia di particolari, specialmente l'efferato assassino interpretato da Benicio del Toro, un affascinante miscuglio tra pazzia sanguinaria e un pittore dotato e sensibile.

Oltre le sbarre...

Persino la lentezza non può essere considerata al pari di un difetto intollerabile: è vero, Escape at Dannemora è alquanto flemmatica nei ritmi, ma è una lentezza sempre (o quasi, come vedremo) costante. Una decisione, quella di non premere mai troppo sull'acceleratore, giustificata anche dai suoi intenti, quella decisione di soffermarsi molto più a lungo sulle difficoltà affrontate dai due detenuti, su come procurarsi gli attrezzi e quando usarli per non destare sospetti. Non solo, il piano stesso di fuga prevedere delle operazioni tediose e ripetitive, come fare un foro abbastanza voluminoso in una conduttura, che richiedono intere e snervanti settimane per essere portate a termine. Escape at Dannemora ci tiene a mettere in evidenza questi piccoli aspetti, rinforzando il senso di cameratismo e di unità di intenti tra Richard e Matt. È altrove che questa miniserie inciampa, nello specifico in due momenti - il secondo e il sesto episodio - per motivi differenti: la Parte 2 è una bizzarra e dimenticabile copia della première, con tanto di situazioni e dialoghi riciclati e giusto qualche timido passo in avanti nei minuti finali; la Parte 6, invece, è una puntata flashback incentrata sul passato di Richard, David e Joyce, gestita però nella peggior maniera possibile attraverso lunghe sequenze che solo dopo decine di minuti, ricchi di eventi fini a sé stessi, si ricollegano ai protagonisti. Motivazioni diverse, come detto, ma anche un denominatore comune, ovvero l'assenza di comprimari di rilievo.

Tra disegni di cavalli e un finale elettrizzante

Sicuramente la penuria di personaggi sarà stata una logica conseguenza del fatto di star adattando una storia realmente accaduta e, dunque, avendo a disposizione un ristretto margine di manovra, è comprensibile. Anche il mancato focus sugli equilibri interni alla prigione, soltanto scalfito, può essere ricondotto a una problematica del genere, vista l'estrema vicinanza di questi eventi. Altrettanto comprensibile sarebbe stata la soluzione più ovvia, ovvero ridurre il numero di episodi, poiché avere in scena solo tre reali protagonisti circondati da comparse superficiali e incapaci di bucare lo schermo alla lunga risulta nocivo, se non addirittura ridondante.

Ma proprio quando Escape at Dannemora sembrava avviarsi a un finale asettico e insoddisfacente, arriva il gioiello del series finale, da considerarsi quasi come un meraviglioso road movie a sé stante, sia per lunghezza (sull'ora e mezza) sia per contenuti. Allora è davvero una miniserie dai due volti, questa nuova creatura di Showtime, una considerazione cui non si sottrae nemmeno la regia di Ben Stiller, a tratti brillante ed entusiasmante (il piano sequenza con cui si apre il quinto episodio è una goduria) e a volte disattenta e scialba, con enormi e confusionari long take panoramici mentre di sottofondo si sviluppano dialoghi fondamentali. Sicuramente un telefilm da non perdere, adatto indubbiamente pure ai non avvezzi al genere, ma non un prodotto che passerà alla storia come un nuovo cult.

Escape at Dannemora - stagione 1 Escape at Dannemora è una miniserie affascinante e a tratti elettrizzante, che riesce a prendere il meglio dal filone dei film e telefilm basati su delle evasioni, in primis l'immortale Fuga da Alcatraz. Grazie a due protagonisti ottimamente caratterizzati e a un series finale a dir poco monumentale, si potrebbe pensare di trovarsi al cospetto di un nuovo cult. Purtroppo non è così, perché la miniserie Showtime inciampa in alcuni errori piuttosto evitabili, in particolare in due specifiche puntate che denotano la mancanza di comprimari degni oltre i tre protagonisti. Ogni volta che prende il ritmo giusto (flemmatico, ma giusto), si perde in un dialogo già sentito o in una situazione un po' stantia. Non rovina assolutamente tutto il buono (ed è tanto) fatto da questa miniserie, ma lascia un retrogusto amaro in bocca pensando a cosa sarebbe potuto essere con due ore in meno di durata. Rimane, nonostante ciò, consigliatissima, anche solo per le sontuose prove di Benicio del Toro e di Patricia Arquette.

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