Fedeltà Recensione: una serie Netflix su amori, tradimenti e intrighi

L'adattamento del romanzo di Missiroli è un'operazione che non convince perché manca il cuore dell'opera originale, tra personaggi, temi e situazioni.

Fedeltà Recensione: una serie Netflix su amori, tradimenti e intrighi
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Parlare di Fedeltà non significa solo discutere di uno dei romanzi italiani più interessanti degli ultimi anni, ma di un'opera che è riuscita a esplorare con uno spettro abbastanza ampio il concetto stesso rappresentato dal titolo; un mix riuscito di contenuto e forma che ha fruttato il Premio Strega Giovani nel 2019 al suo autore Marco Missiroli. Ora Netflix propone il proprio adattamento dell'opera tra le serie Netflix di febbraio 2022, ma il risultato non riesce a convincere pienamente, come lato cinema ci aveva lasciati perplessi la recensione di Dalla Mia Finestra, altro adattamento che non ha centrato l'obiettivo per ben altri motivi. Un vero peccato, perché Fedeltà aveva tutte le carte in regola per essere un degno rappresentate della serialità italiana made in Netflix, ma purtroppo non è riuscita a condensare temi e personaggi di capitale importanza nel risultato finale.

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In una Milano patinata Carlo (Michele Riondino) e Margherita (Lucrezia Guidone) sono una coppia affiatata, fino a quando un "malinteso" non porta nella mente dell'uomo Sofia, sua studentessa, e Margherita si lascia intrigare da Andrea, un fisioterapista bello e tenebroso. "Less is more" è uno dei mantra più abusati in sceneggiatura e solitamente è foriero di buoni risultati. Lavorare bene su elementi selezionati con criterio può senza dubbio rivelarsi più produttivo e soddisfacente che miscelarne troppi per contornare una struttura che latita e che è destinata a crollare per la propria inconsistenza.

Se il pensiero che ha sfiorato gli sceneggiatori di Fedeltà si riferiva minimamente a questo prezioso assunto quando hanno concepito il canovaccio della serie Netflix, allora lo hanno fatto nel modo sbagliato. Perché della ricchezza di personaggi e punti di vista del romanzo di Missiroli, Fedeltà sceglie sostanzialmente di mantenere i soli protagonisti, senza nemmeno preoccuparsi troppo di infondere uno spirito critico a Carlo e Margherita, trasformando lo show in una banale storia di corna quando in realtà questo non è, nemmeno lontanamente.

Fedeltà a se stessi

Il libero adattamento del romanzo di Missiroli decide volontariamente di mettere sullo sfondo le storyline secondarie per privilegiare le dinamiche tra Carlo e Margherita nel corso delle sei puntate che compongono la stagione, dimenticandosi che sono proprio i personaggi secondari ad arricchire di sfumature e di spunti l'opera originale e di conseguenza la storia in sé.

Sofia, Andrea e Anna non punteggiano la trama di Fedeltà, sono veri e propri filamenti dell'ordito e contribuiscono alla sua tessitura narrativa a tutti gli effetti, permettendoci di vivere a tutto tondo - e soprattutto di capire davvero - ciò che avviene tra Carlo e Margherita. Una banalizzazione in piena regola colpevole del crimine di appiattire un sottobosco di esperienze ed emozioni variegate che esplorano diverse realtà anche a livello sociale, il che si riflette in maniera negativa anche nella rappresentazione monocorde di Milano: pensiamo ad Anna, madre di Margherita, abilissima sarta rimasta imbrigliata nell'ordinarietà di una vita umile spesa per gli altri, e a quanto la sua indole e la sua condizione alimentino il percorso della figlia e del suo rapporto col compagno. Ripercorriamo la vicenda di Andrea, inesistente nell'adattamento Netflix e per questo completamente sovrapponibile a qualsiasi altra, dietro la quale si cela un mondo interiore - e non solo - che nelle poche puntate meritava di emergere (almeno quanto quella di Sofia) e che gli avrebbe garantito uno spessore differente anche solo nelle intenzioni, rispetto al bello e dannato che si esprime a monosillabi poco convincenti sia nella scrittura che nell'interpretazione. Dignità. Forse è questa mancanza ad offendere maggiormente personaggi che ne sono alla continua e vana ricerca e che deve prescindere dal poco tempo a disposizione sulla pagina.

Dignità di esistere in quanto esseri erosi dalle proprie pulsioni, dai rimpianti e da ricordi che la macchina da presa riesce a cogliere e a restituire solo in minima parte per colpa di una scrittura che rinnega i propri costrutti pagandone il prezzo soprattutto nell'ultimo decisivo atto, non lasciando allo spettatore nemmeno l'intrigante spettro grigio dei dettagli da interpretare per immedesimarsi e gioire o soffrire con quei personaggi che, protagonisti compresi, paiono troppo in balia di un copione da recitare e non da vivere, mossi da una regia troppo impegnata a cercare di non sfigurare per riuscire ad essere fedele a se stessa e allo spirito latitante dell'opera, restituendo una confezione accattivante che non regge sul lungo termine; perché è proprio della fedeltà a se stessi e di come quest'ultima si ponga nei confronti della fedeltà agli altri che lo show Netflix dovrebbe parlare. Ma per questo, forse, sarebbe meglio affidarsi al libro.

Fedeltà La questione dell'adattamento di un'opera letteraria è sempre spinosa e, pur pretendendo una propria ragione d'essere indipendentemente dalla fonte, quando viene banalizzata senza che gli elementi di originalità rappresentino il valore aggiunto per scavalcare il confronto e porsi come paradigma a sé è inevitabile fare luce su come una trasposizione, per quanto libera, fallisca nel tentativo di emanciparsi e regalare un punto di vista per lo meno interessante. Fedeltà, lo show Netflix tratto dal Premio Strega Marco Missiroli, appiattisce ogni sfumatura narrativa della controparte letteraria e si confonde spesso e volentieri nella semplicità dell'ordito imbastito per l'occasione. Tra dialoghi grezzi e troppo scritti, personaggi secondari inesistenti e miscasting evidenti, oltre ad una regia troppo impegnata a fare bella figura per accorgersi di perdere il timone puntata dopo puntata, la serie che doveva scavare nel profondo del concetto stesso del titolo in relazione all'individuo e alla coppia, dimentica anche di fare questo, presentandoci una banale storia di sospetti e corna che non ha nemmeno l'intenzione di esplorare le sfumature, le contraddizioni e le evoluzioni di Carlo e Margherita, ma (soprattutto) dei suoi personaggi secondari, mettendosi al pari di molti altri prodotti più riusciti, che avrebbe potuto superare in salto se solo avesse conservato il suo quid.

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