Feria la Luce più Oscura Recensione: una serie riuscita a metà su Netflix

La storia di un paesino spagnolo si intreccia con le mire di una setta religiosa, ma le svolte narrative più importanti non hanno il giusto impatto visivo.

Feria la Luce più Oscura Recensione: una serie riuscita a metà su Netflix
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Come possiamo giudicare buono e giusto un Dio che ha creato la fame, la malattia e il dolore? La realtà che circonda un corpo fatto di carne e sangue è puntellata da sofferenze che portano sempre alla tomba, in un viaggio in cui si susseguono lacrime e dispiaceri difficilmente giustificabili. Il Culto della Luce riesce a vedere oltre al velo che copre il Regno, un luogo creato davvero dalla bontà e dal piacere, dove il recipiente terreno si dimostra un inutile bagaglio da abbandonare lungo il cammino. Oltre all'altare che nasconde le sue porte, brillano però visioni di fuoco e fiamme, che dimostrano come anche i fedeli più incalliti possono travisare un messaggio apparentemente chiarissimo.

Tra le serie tv Netflix di gennaio 2022 si affaccia timidamente Feria - la Luce più Oscura, che racconta la storia di un piccolo paesino diventato il fulcro di macchinazioni religiose che mettono a repentaglio l'esistenza del mondo intero. La storia ideata da Agustìn Martinez e Carlos Montero, che per Netflix aveva già creato Élite (trovate qui la nostra recensione degli episodi natalizi di Élite), parte con il piglio giusto - grazie anche ad una regia dinamica che usa bene i suoi attori - ma si perde nella scarsa efficacia visiva che doveva rendere importanti alcune rivelazioni, mentre l'evolversi della trama abbandona in fretta la sua originalità per scadere nel banale di una conclusione telefonata.

Feria di sangue

Il falò di San Giovanni è l'evento dell'estate per i giovani abitanti di Feria, un paesino sperduto tra le colline in provincia di Siviglia. Nel bel mezzo della stagione degli amori, durante la notte più breve dell'anno, tutti i ragazzi si riuniscono per ballare e divertirsi insieme, lontani dalla monotonia di una città isolata dal mondo dove non succede nulla di particolare. Sofia (Carla Compa) è una sedicenne introversa, non ama gli stupidi eccessi alcolici che caratterizzano la festa, ma i suoi genitori la convincono ad andare al falò in compagnia di sua sorella Eva (Ana Tomeno), che ha solo qualche anno più di lei ma è spigliata e popolare, la classica reginetta del paese.

Un tuffo nel lago si conclude con l'evento surreale che fa perdere la memoria a Sofia, risvegliatasi il mattino seguente nel suo letto ignara di cosa sia accaduto. Un'intera squadra di poliziotti madrileni viene inviata a Feria per indagare sul raccapricciante spettacolo che si è palesato davanti alla miniera abbandonata: ventitré cadaveri nudi sono riversi nella polvere e nell'acqua sporca di ruggine. Le registrazioni delle telecamere di sicurezza sembrano incriminare i genitori di Sofia ed Eva, immortalati mentre si incamminano nelle gallerie, ma assenti tra i deceduti. Le indagini sveleranno l'esistenza di un folle culto che rinnega la carne, mentre le ragazze dovranno scendere a patti con l'eredità di sangue lasciata dai loro genitori.

Partenza in quarta

La sceneggiatura di Feria gioca con le aspettative dello spettatore, creando nei minuti iniziali il classico setting da teen horror che verrà frantumato dal raccapricciante ritrovamento alle porte della miniera: i temi della serie tv sono maturi, e l'utilizzo a tratti ossessivo del nudo integrale rigetta a gran voce il paragone con i prodotti dedicati ad un pubblico adolescenziale.

La storia scritta da Martinez e Montero spinge subito sull'acceleratore, portando sullo schermo il dramma personale di Eva e Sofia in contrasto con un paese intero (e con il ricordo dei loro genitori), che vede in loro le eredi di due psicopatici assassini, per poi passare ai temi religiosi di una setta che rilegge la cristianità all'interno di un'ottica più spirituale che fisica. Nei primi episodi sono concentrate tutte le qualità di un progetto che sembrava voler trasmettere un messaggio importante all'interno della serialità spagnola - ancorata ai sentimentalismi di prodotti troppo vicini alle soap opera -, ma i suoi pregi indiscussi vengono diluiti, e infine persi, dalle scelte narrative di una trama che si dimostra incapace di mantenere le caratteristiche adulte, arrancando nel grigiore di personaggi che non compiono una vera evoluzione personale mentre seguono binari che si fanno sempre più evidenti.

Demoni e gattini

La gestione delle rivelazioni riguardanti il Culto della Luce progredisce tra alti e bassi: la religiosità apocrifa che sconvolge un paesino all'apparenza fortemente cattolico è profonda - ai limiti del fanatismo - e ha radici antiche, ma allo spettatore non vengono forniti i mezzi per aiutarlo ad afferrare la pericolosità di ciò che sta accadendo, mentre la potenza visiva dei riti della Luce non riesce a creare l'impatto necessario a suggerirne l'insidia.

L'episodio che racconta cosa è effettivamente accaduto alla miniera abbandonata - alternandosi nel passato remoto e quello recente di Feria - arriva infatti troppo presto, e solo in seguito si comprende l'effettiva portata degli eventi, grazie alle indagini della polizia e della psicologa Estrella (Sauce Ena) che scandagliano i miti fondamentali ad una religione dai forti connotati sessuali, nonostante il ripudio del corpo umano. La scarsa brillantezza dell'impianto visivo è dimostrata soprattutto dalla resa in CGI della creatura demoniaca che piega al suo volere gli abitanti di Feria: con il suo aspetto minuscolo e gli occhi da gattino non trasmette un briciolo di terrore, e in generale nessun evento soprannaturale riesce ad colpire a causa di una computer grafica non all'altezza.

I problemi di metà stagione

I difetti di Feria si dimostrano tutti negli episodi centrali della serie, tra una sceneggiatura che perde colpi - cedendo ai sentimentalismi adolescenziali che sembrava voler dimenticare - ed una trama che arranca nella lentezza di svolte narrative obbligate: Sofia intraprende il percorso già seguito dalla madre prima di lei, e tutta la buona volontà di sua sorella non fa altro che rimandare l'inevitabile conclusione. Quando i connotati del Culto della Luce si fanno più chiari, Feria diventa per assurdo più noiosa e prevedibile, per arrivare ad una scena finale da horror di serie B che spezza il pathos ricercato con fatica fino a pochi minuti prima.

La regia di Jorge Dorado e Carles Torrens si lascia apprezzare per i movimenti di una camera che si incrocia con i personaggi sullo schermo, ricreando un buon senso di dinamismo anche grazie all'utilizzo intelligente delle comparse che muovono i secondi piani. La recitazione degli interpreti principali è in gran parte sufficiente e spesso sentita, mentre i personaggi secondari si fanno notare per la continua ed esasperata gestualità: difetti risaputi che rovinano molte produzioni europee, ma che non inficiano la riuscita generale di Feria.

Feria - la Luce più Oscura La serie scritta dal creatore di Élite raccoglie nei primi episodi tutti i pregi che sembravano elevarla rispetto ad altre produzioni ispaniche, ma le svolte narrative si fanno sempre più scialbe con il passare del tempo, e l'impatto visivo dei riti e delle creature demoniache non riesce a trasmettere il doveroso senso di pericolosità. La nebbia che avvolge i connotati della setta religiosa smantella un episodio rivelatore che doveva essere importantissimo, ma solo le indagini successive riescono a far luce sulla ritualità di certi eventi. Buona la regia di Dorado e Torrens, che si lascia apprezzare per il dinamismo ricreato sullo schermo anche grazie all'uso sapiente delle comparse.

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