Fubar Recensione: un Arnold Schwarzenegger in forma e poco altro su Netflix

Fubar è una serie che fa leva un po' troppo sul carisma del suo protagonista, offrendo per il resto un discreto intrattenimento con troppi difetti.

Fubar Recensione: un Arnold Schwarzenegger in forma e poco altro su Netflix
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Mentre Fubar conquista la top 10 di Netflix, una domanda ronza nella nostra testa una volta terminata la visione: se non ci fosse stato Arnold Schwarzenegger, la serie avrebbe riscosso anche solo una frazione di questo successo? Quasi sicuramente avrete già letto il voto finale, quindi già saprete che non riteniamo Fubar una produzione tanto disgraziata o dalla qualità apocalittica, ma non ci ha nemmeno soddisfatto appieno, sia sul piano strutturale che soprattutto sul versante action. Poi è evidente che il mercato a volte può essere totalmente imprevedibile e di conseguenza non ce la sentiamo di escludere a priori un miracoloso exploit figlio di qualche congiunzione astrale, ma non riusciamo a scrollarci di dosso la sensazione che la nuova serie originale di Netflix si sia adagiata sugli allori. Insomma, in un modo o nell'altro sapevano che il pubblico l'avrebbe guardata, a prescindere dalla qualità, per la presenza del buon Arnold, nel suo primo vero ruolo da protagonista in una serie live-action.

Altrimenti, infatti, sarebbe davvero dura giustificare un prodotto talmente ripetitivo e ingessato nei suoi schemi, così pigro nelle sequenze d'azione e capace di trovare le sue uniche valvole di sfogo positive in un cast di personaggi piacevoli e nella tematica familiare al centro di tutto, che comunque sorprende in diversi momenti.

Tra CIA ed emergenze familiari

Ma di cosa tratta Fubar? Protagonista è Luke (Arnold Schwarzenegger), un agente della CIA che ha mentito alla sua famiglia da sempre sulla sua occupazione. Bugie e misteriosi quanto continui viaggi di lavoro che gli sono costati in sostanza tutto, visto un doloroso divorzio e un rapporto non sempre idilliaco con i suoi figli.

Immaginate allora la sorpresa che lo attende quando, durante una missione sotto copertura in Guyana, scopre quanto simili in realtà siano lui e la figlia Emma (Monica Barbaro), poiché anche lei in segreto è diventata un'agente della CIA traendo in inganno chiunque. Non solo, i due dovranno persino forzatamente lavorare insieme per fermare il temibile Boro (Gabriel Luna), un trafficante d'armi con in possesso un pericoloso ordigno militare da vendere al miglior offerente. Una sinossi che paradossalmente può trarre un po' in inganno sulla natura di Fubar, che si divide in due nuclei ben distinti piuttosto che essere un puro spy thriller: l'inizio e la fine di praticamente ogni puntata è dedicato alle delicate missioni di Luke e Emma nella speranza di anticipare le mosse di Boro e catturarlo, mentre le sezioni centrali - esclusa qualche breve parentesi di briefing o aggiornamenti repentini - si trasformano in una sorta di piccolo dramma familiare.

Poco importa che l'argomento del giorno sia un rapporto padre-figlia interamente da ricostruire o le difficoltà di nascondere queste enormi tensioni al resto della famiglia per placare sospetti, perché sarebbe un po' dura e persino illegale spiegare tutta la verità. E, come anticipato in apertura, Fubar tutto sommato gestisce le sue anime abbastanza decentemente, evitando di prendersi troppo sul serio e offrendo un dignitoso intrattenimento.

E ci riesce innanzitutto grazie ad un ritmo straripante: in Fubar non si perde tempo, qualcosa sta sempre succedendo o sta per accadere in pochissimi minuti. Un nuovo litigio tra Emma e Luke? È sempre dietro l'angolo. Boro è in movimento per rubare dal Kazakistan delle risorse cruciali? Una banale giornata di lavoro in ufficio da affrontare. Emergenze familiari? Tutto è possibile e il nostro buon eroe deve necessariamente trovare il modo di essere sempre in prima linea. Eppure una matassa del genere, che per molti show sarebbe ai limiti dell'inestricabile, qui non risulta mai schiacciante, non si perde mai di vista la bussola di cosa sta accadendo - e qui è quasi certamente l'unica volta in cui la struttura così ingessata della serie arriva in soccorso, rende facile l'orientamento.

Il cast stesso svolge in ciò una funzione essenziale, in quanto appare fin dai primissimi minuti chiaro e distinto, caratterizzato quel tanto che basta per permettere allo spettatore di inquadrare subito i personaggi su cui poi naturalmente Fubar costruirà archi e storyline più complessi lungo la stagione. Un lavoro semplice, a tratti addirittura sconcertante per la schiettezza con cui affronta il marasma di eventi messo in scena, che a volte arriva pure a sorprendere in alcuni episodi dove la linea di confine tra dramma familiare e operazioni di spionaggio si assottiglia pericolosamente sempre di più.

Troppe mancanze

Però poi alla distanza emergono in maniera prepotente i difetti e le mancanze di Fubar, partendo proprio dalla già menzionata struttura. Uno schema ripetuto per quasi tutta la stagione e che sì, rende navigabile la quantità estrema di avvenimenti, ma d'altro canto li rende al contempo particolarmente leggibili e prevedibili. Finisce la parte action? È tempo del dramma familiare fino alla prossima missione. Non solo, perché ad esempio ogni puntata o comunque la maggior parte si chiude con un cliffhanger in cui i protagonisti si ritrovano in una situazione all'apparenza senza via d'uscita.

Peccato che venga risolta nei 2-3 minuti iniziali del capitolo successivo, senza un briciolo di pathos e annullando quella sensazione di voler proseguire al più presto nel binge-watching. Perché continuare con tanta frenesia se ben prima di metà stagione è lampante che queste chiusure ad effetto non avranno alcun impatto tangibile sul proseguimento della trama?

Se poi si aggiungono alcune storyline eufemisticamente poco ispirate - sarebbe anche ora di abbandonare una volta per tutte nel 2023 lo stereotipo del nerd che per conquistare una ragazza crede di dover buttare via le sue passioni, non è più sostenibile - e delle sequenze d'azione raffazzonate e confusionarie, il quadro di Fubar diventa chiaro e non può essere dei più positivi. Non ci aspettavamo certo un livello di spettacolarità alla John Wick, ma neanche momenti che viravano più sull'imbarazzo che sull'immersione in una serie con un'icona del cinema action come protagonista. Si poteva e doveva fare di più, in ogni reparto.

Fubar - Serie Netflix Paradossalmente, considerando solo il cuore pulsante, Fubar può dirsi addirittura una serie riuscita. Perché in fondo l'intrattenimento, sebbene non della più alta qualità, è garantito dal ritmo forsennato e dalla voglia di non prendersi mai troppo sul serio. Anche perché la dualità del serial viene gestita sostanzialmente bene ed, anzi, riesce dove tanti altri show si sarebbero persi nella matassa immensa di avvenimenti. Fubar non si perde mai e in un paio di episodi riesce persino a sorprendere per come va in profondità nelle sue tematiche - profondità per un prodotto del genere, intendiamoci, non aspettatevi qualcosa alla The Bear. Però poi alla distanza emergono con troppa forza i difetti e le mancanze: una struttura troppo ripetitiva e arcaica che rende prevedibile lo svolgimento e annulla il pathos dei cliffhanger; alcune storyline eufemisticamente poco ispirate e ancor meno intriganti; ma soprattutto delle sequenze d'azione fin troppo raffazzonate e confusionarie, a parte rarissimi casi. E in una serie con protagonista Arnold Schwarzenegger si poteva e doveva fare qualcosa di più, specialmente in quest'ultimo campo.

5.5