Game of Thrones 8X03: La lunga notte

Analizziamo gli eventi della terza puntata dell'ottava serie di Game of Thrones, La lunga notte è arrivata tra noi

Game of Thrones 8X03: La lunga notte
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Cinquantacinque giorni (anzi, notti). È quanto ci hanno messo a girare la battaglia tra l'esercito degli Estranei e quello dei vivi al centro di questa ultima puntata di Game of Thrones, andata in onda su Sky Atlantic in contemporanea con gli USA, alle 3 del mattino del 29 aprile (ma non preoccupatevi: come ogni settimana, la puntata è già disponibile su Now Tv, Sky on Demand e Sky Go, e verrà ritrasmessa in tv lunedì sera). Cinquantacinque notti, dicevamo, per mettere in piedi la battaglia più colossale che si sia mai vista sul piccolo schermo, una battaglia che, a detta di Peter Dinklage aka Tyrion Lannister, in teoria avrebbe dovuto fa sembrare la (già spettacolare) Battaglia dei Bastardi della 6x09 "un parco giochi". Ora che abbiamo visto l'episodio, possiamo dirlo con certezza: Dinklage aveva ragione, perché la Battaglia di Grande Inverno è davvero lo scontro più imponente e spettacolare che si sia mai visto nella serie, e in 82 minuti ha confermato ancora una volta che il formato televisivo può davvero essere indistinguibile da quello cinematografico. Lo ripetiamo: l'articolo contiene spoiler sull'episodio!

La lunga notte

Non è facile confezionare una buona battaglia in grado di tenere alta l'attenzione dello spettatore per un intero episodio (e che episodio: "La lunga notte", con i suoi 82 minuti, è la puntata più lunga della stagione e dell'intera serie). Se dura troppo, l'azione tende a stancare, soprattutto se non è ben scandita da momenti precisi e si limita a dare una visione d'insieme dello scontro perdendo di vista la dimensione umana.
La battaglia tra i vivi e i morti de "La lunga notte" aggira senza problemi questo ostacolo, tenendo alta l'attenzione - e soprattutto la tensione - del pubblico per tutta la durata dell'episodio, senza mai darci scene che si trascinano troppo e anzi mescolando in un unica puntata generi e toni diversi, dal survival horror (l'assedio dei non-morti) alla più classica azione (le battaglie ravvicinate), dalla suspense da film horror (Arya in biblioteca, le cripte) al dramma (gli ultimi momenti di Theon e Jorah), senza dimenticare gli elementi di puro fantasy (lo scontro tra Viserion e Rhaegal).

Il merito è soprattutto del regista Miguel Sapochnik, che aveva già diretto le indimenticabili battaglie al centro di "Hardhome" e "Battle of the bastards". Sapochnik non ha fatto mistero di aver studiato un'altra grande battaglia della cinematografia contemporanea per capire come gestire al meglio i tempi dilatati dello scontro: la battaglia al Fosso di Helm nel secondo capitolo de Il Signore degli Anelli, quaranta minuti di adrenalina e tensione. Non un'unica battaglia ma diversi scontri, con la tensione e l'ansia che crescono insieme all'assalto dei non-morti alle mura di Grande Inverno, mentre la dimensione dello scontro si fa sempre più umana e soggettiva, alternando momenti che inquadrano la portata enorme e soverchiante dell'assalto a focus sui singoli personaggi, la loro lotta disperata, la loro paura e la loro stanchezza. La confusione data dai toni scuri, dal fumo e dalla cenere è voluta: ci fa sentire nel bel mezzo della battaglia, smarriti come i personaggi che vediamo - o intravediamo - sullo schermo, a volte incapaci di distinguere i volti proprio come in un vero scontro notturno (e sì, la qualità della messa in onda di Sky in alcuni momenti non è stata perfetta, ma è da imputare a Sky e al più ai nostri device, non a HBO né al direttore della fotografia).

Stick 'em with the pointy end

La scrittura dell'episodio, firmata dagli stessi creatori della serie, Benioff e Weiss, ancora una volta ci riporta ai fasti delle prime stagioni di Game of Thrones, quando la dimensione umana e l'attenzione ai personaggi valeva più del grande spettacolo che è diventata la serie col passare del tempo. Intendiamoci: The Long Night è spettacolo nel senso più raffinato del termine, intrattenimento sostenuto da un superbo impianto tecnico, ma non è solo battaglia, solo suspense, solo morte. E infatti le aspettative degli spettatori in questo senso sono state disattese: sì, è una carneficina, ma non muoiono così tanti personaggi, neanche quelli - come Brienne e Verme Grigio - che avevamo dato per spacciati dopo la 8x02. È meglio così; troppe morti in battaglia forse avrebbero ridimensionato la potenza drammatica della morte di Jorah, che difende la sua Khaleesi fino all'ultimo, e di Theon, il cui percorso di redenzione culmina con il perdono di Bran, il sacrificio per difendere quest'ultimo e la piena accettazione della sua identità: non un semplice ostaggio cresciuto prigioniero a Grande Inverno, non Reek, mutilato nella mente e nel corpo, ma un Greyjoy cresciuto Stark che è finalmente tornato a casa ed è disposto a morire per difenderla.
A morire quindi sono Jorah, Theon e Melisandre, che accetta la morte dopo aver adempiuto il suo compito di servire il Signore della Luce contro l'avanzata delle tenebre, oltre a Edd l'Addolorato, Beric Dondarrion e la giovanissima Lyanna Mormont, che muore uccidendo un gigante. Sei personaggi contro delle aspettative ben più pessimiste, ma del resto Game of Thrones è anche questo: quell'imprevedibilità che ammazza personaggi a un matrimonio invece che sul campo di battaglia per risparmiarli invece quando la situazione sembra disperata.

E se avevamo tutti previsto che gli scheletri degli Stark nelle cripte si sarebbero rialzati per attaccare vecchi, donne e bambini (regalandoci, oltre ad attimi di puro terrore, anche un bellissimo momento tra Sansa e Tyrion), forse nessuno aveva previsto le dinamiche dell'uscita di scena del Re della Notte. Game of Thrones si è rivelato spesso imprevedibile, dicevamo, quindi non è così assurdo che tutta la preparazione a questo scontro finale, durata otto stagioni, abbia condotto a una risoluzione così inaspettata. Dopo anni trascorsi con la convinzione che l'eroe destinato a sconfiggere il Night King fosse Jon (o, al più, Daenerys), alla fine scopriamo che non è lui. È Arya, che sparisce a metà episodio dopo un'allusione di Melisandre, un indizio neanche troppo velato su ciò che vedremo alla fine dell'episodio. È Arya, che dà finalmente un senso al suo addestramento a Braavos oltre la semplice sete di vendetta e, pochi attimi prima che il Re della Notte uccida Bran, gli salta addosso e lo finisce con la daga di Ditocorto, quella stessa daga che avrebbe dovuto uccidere Bran otto anni fa, quella stessa daga che ha dato inizio alla guerra tra Stark e Lannister.

Abbiamo parlato della superba regia e dell'ottima scrittura dell'episodio, ma non possiamo non fare una menzione d'onore alla colonna sonora di Ramin Djawadi. Il pianoforte che accompagna l'ultimo quarto d'ora della puntata è, da solo, in grado di alimentare la tensione, il dramma, la perdita di speranza e infine la catarsi in un crescendo emotivo senza precedenti che lascia sconvolti, frastornati e svuotati come i protagonisti dell'episodio.

E adesso?

La guerra contro gli Estranei si è risolta a metà stagione, e ora il tono della serie non può che cambiare e tornare a farsi più politico contro ogni previsione (lo stesso trailer proponeva immagini solo di questi primi tre episodi, forse per disorientare ulteriormente il pubblico). Il nemico ora è Cersei, che ha 20mila mercenari al suo servizio contro l'esercito ormai ridotto all'osso di Daenerys. Ma c'è tempo per tornare a giocare al gioco del trono e scoprire chi siederà sul Trono di Spade: per adesso godiamoci ancora questa puntata e il trionfo della vita sulla morte.