Game of Thrones 8x06 Recensione: La fine di tutto

Dopo otto anni e otto stagioni, siamo arrivati alla fine dei giochi: ecco chi è diventato re o regina dei Sette Regni.

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Dopo otto anni, otto stagioni e settantatre episodi, ci siamo: Game of Thrones, la serie tv più illegalmente scaricata al mondo, quella che ha tenuto milioni di persone incollate al piccolo schermo, che ci ha fatto lambiccare il cervello tra teorie improbabili e profezie poi mai avverate, la serie che ha reso l'allergia agli spoiler una vera e propria fobia collettiva si è conclusa. È stato un viaggio lungo, iniziato come un fedele adattamento di una delle più amate saghe fantasy contemporanee e poi proseguito oltre i romanzi di George R.R. Martin (che no, non ha ancora finito il sesto libro della saga, Winds of Winter, come ha confermato in un recente post sul suo blog), diventando un vero e proprio fenomeno di massa. Siamo passati dalle battaglie combattute off-screen perché troppo costose a battaglie costate quasi 15 milioni di dollari e girate in 55 notti, e ora siamo qui, a parlare dell'ultimo episodio di una serie che, a prescindere da quanto sia cambiata nel corso degli anni, ha comunque fatto la storia della televisione. Per l'ultima volta, l'immancabile disclaimer: attenzione, l'articolo contiene spoiler!

La fine dei giochi

Quindi, ricapitolando: Jon uccide Daenerys, il Trono viene distrutto da Drogon (perché ovviamente un drago è in grado di comprendere che è stata l'ossessione per il Trono a distruggere sua madre, certo), Bran viene eletto re perché è la memoria del mondo e quindi non può che regnare con saggezza, Tyrion diventa primo cavaliere (per la terza volta in vita sua: un record), Sansa ottiene l'indipendenza del Nord diventandone la regina, Arya va a esplorare il mondo e Jon, dopo essere stato condannato a tornare nei Guardiani della Notte, va nel profondo nord insieme ai bruti (e a Ghost, che finalmente tratta in maniera degna).
Prima di analizzare il destino dei personaggi e quello di Westeros, però, torniamo un attimo sulla puntata. "The Iron Throne", scritta e diretta dai creatori della serie Benioff e Weiss, riparte dalla devastazione di Approdo del Re, ridotta a un desolato ammasso di macerie ancora fumanti, con la cenere che continua a cadere sui cadaveri di centinaia di migliaia di innocenti mentre Jon, Davos, Arya e Tyrion si muovono verso la Fortezza Rossa (o ciò che ne resta).

Jon e Davos hanno un'ulteriore prova della svolta tirannica di Daenerys quando vedono Verme Grigio giustiziare dei soldati della Compagnia Dorata, mentre Tyrion piange sui corpi di Jaime e Cersei (e Peter Dinklage tanto per cambiare è perfetto nella sua interpretazione, e il dolore di Tyrion alla fine lo proviamo anche noi).
Dal punto di vista tecnico l'episodio non è perfetto come il precedente (che aveva ben altri problemi), ma ci regala una delle immagini migliori dell'intera serie: Daenerys che avanza nel cortile mentre dietro di lei Drogon spalanca le ali, facendola sembrare a sua volta un drago ("You're a dragon. Be a dragon", le suggeriva Olenna Tyrell nella scorsa stagione), un feroce angelo della morte. È un'immagine potente e terribile che precede un discorso altrettanto terrificante: quello di Daenerys è il discorso di un tiranno imperialista deciso a soggiogare un continente in nome di un disegno di giustizia nato come un'utopia e poi distortosi fino a diventare una neanche troppo velata promessa di morte e distruzione, di fuoco e sangue.

Di nuovo c'è qualcosa che non torna in una così repentina metamorfosi del personaggio di Daenerys, ma ormai i giochi sono fatti e non si può tornare indietro. Si può solo andare avanti, con Tyrion che, dopo aver rinunciato al suo ruolo ed essere stato imprigionato per tradimento, parla con Jon e cerca di mettergli la pulce del regicidio nell'orecchio. E anche in questo confronto Jon fa la figura dello scemo, dell'ignavo, dell'uomo che guarda il mondo andare a rotoli senza fare niente per porvi rimedio: dice che non vuole giustificare Daenerys per ciò che ha fatto ma dopo trenta secondi è già lì a dire che la sua regina ha commesso un eccidio perché Cersei era brutta e cattiva e le aveva ammazzato un drago e la migliore amica.

In questa stagione Jon sembra sempre costantemente bloccato, soprattutto dopo la sconfitta del Re della Notte. Forse è anche per l'esasperata passività di Jon se la scena in cui uccide Daenerys risulta anticlimatica, priva di impatto emotivo; la sceneggiatura affrettata della stagione poi rende il tutto particolarmente anticlimatico, e solo l'arrivo di Drogon che cerca di risvegliare la madre riesce a farci provare qualcosa. Peccato che gli istanti successivi sfiorino il ridicolo: Drogon non brucia Jon (che avrà anche sangue Targaryen, ma gli ha pur sempre ammazzato la mamma) ma il trono stesso, metafora neanche troppo sottile di come sia stata proprio l'ossessione per il trono a condannare Daenerys. No, non è poetico: è grottesco e quasi comico, perché un drago è un drago, una macchina di guerra, una creatura certo incredibilmente intelligente non una fine mente analitica in grado di offrire una critica ragionata al sistema monarchico di Westeros.

The pack survives

Daenerys è morta, Jon è imprigionato e i sette regni non hanno un sovrano. Facciamo un salto in avanti di qualche settimana, con tutti i lord e le lady di Westeros riuniti alla Fortezza Rossa per decidere il destino del regno e dei prigionieri. Basta un discorso di Tyrion per mettere d'accordo tutti: è Bran il più adatto a diventare re di Westeros, e non importa se non può avere eredi; d'ora in avanti sarà il re con i lord e le lady di Westeros a selezionare il successore più adatto (e no, il popolo non avrà mai alcun potere decisionale: l'idea democratica di Sam viene accolta come una barzelletta da tutti i presenti, anche dalla meno classista Arya).
Jon, sulla cui discendenza si era tanto insistito, viene costretto a (ri)prendere il nero per evitare un incidente diplomatico con gli Immacolati, che in ogni caso poi partono alla volta di Naath per difenderla da eventuali invasori (con la loro partenza un po' viene da chiedersi che senso abbia quindi che Jon venga comunque esiliato al Castello Nero, ma ok).

Sansa chiede e ottiene la tanto agognata indipendenza del Nord, anche se fa un po' storcere il naso come gli altri lord presenti si limitino ad accettare la cosa senza avanzare proposte di indipendenza a loro volta, a maggior ragione considerando che in questo modo gli Stark sono ufficialmente la casata più importante dei sette regni, con una vera e propria egemonia su Westeros.
Ma è l'ultimo episodio e, come avevamo già detto la scorsa settimana, Game of Thrones ormai è nota per i suoi colpi di scena e la sua spettacolarità, non di certo per la profondità della sceneggiatura. E quindi non possiamo stupirci se anche il discorso politico ne risulta molto appiattito e di fatto più superficiale.

E a proposito degli Stark, è su di loro che si chiude la serie: su Sansa che viene incoronata e acclamata come Regina del Nord, i capelli sciolti come la regina Elisabetta I il giorno della sua incoronazione, lasciando presagire un futuro florido per il regno; su Arya che prende il largo per esplorare il mondo su una nave con il metalupo degli Stark che svetta sulla vela, lasciandosi alle spalle la sete di vendetta per tornare a inseguire i suoi sogni di bambina che voleva vivere avventure; su Jon che alla fine guida i bruti oltre la Barriera, lì dove aveva conosciuto l'amore e l'unico posto dove, forse, si si sia mai sentito veramente a casa. Il branco è davvero sopravvissuto.

Ma quindi... Bran?

Bran è il re dei sei e non più sette regni. Non Jon, che in ogni caso non voleva il trono, non Daenerys: Bran lo spezzato, il Corvo con tre occhi, lo storpio che conosce il passato e che quindi può dare a Westeros un futuro migliore. Era questa l'idea di Martin, e non ne dubitiamo; del resto a lui piacciono le storie circolari e il primo punto di vista che incontriamo nei libri dopo il prologo è proprio quello di Bran, quindi è facile immaginare che sarà proprio con un pov di Bran che si chiuderà la saga. Lo stesso Martin ha sempre affermato che le buone qualità di una persona non la rendono in automatico un buon regnante (pensiamo a Robert Baratheon: eroico, certo, ma comunque incapace a fare il re); Bran è al di sopra delle buone qualità perché è un libro di storia vivente, e conoscere gli errori del passato può aiutare a non commetterne in futuro (per quanto non sia comunque una garanzia).
E nella serie, Bran è al di sopra delle qualità ma anche dei difetti umani: non conosce la bramosia e l'ambizione di Cersei; non conosce la lussuria di Robert, la ferocia di Daenerys o il cieco onore di Jon. L'essere il Corvo con tre occhi lo rende davvero il miglior candidato al ruolo di re, ma essere al di sopra di qualità e difetti umani significa anche non conoscere la compassione o la misericordia. E può un re essere un buon re senza la compassione o l'empatia?

Cosa ci resta

Game of Thrones è finito. La serie dei record si è conclusa dopo una stagione molto discussa in cui Benioff e Weiss hanno premuto il piede sull'acceleratore per riuscire ad arrivare alla conclusione nel giro di sei episodi. Da questo punto di vista non possiamo dire che sia stata una ottima stagione, nonostante un lato tecnico spesso impeccabile o alcuni tra i momenti più toccanti della serie (la nomina di Brienne a cavaliere resta un punto altissimo non solo della stagione, ma dell'intera serie).

Siamo ben lontani dalla scrittura delle prime stagioni, a volte considerata persino troppo lenta ma che proprio per questo riusciva a dare il giusto spazio ai personaggi, dando loro modo di crescere con il dovuto respiro; ma Game of Thrones è diventata un grande spettacolo, votata più al plot twist che non a seguire i suoi protagonisti.
Se Martin avesse finito la saga in tempo, probabilmente non ci sarebbe stato questo cambiamento nella narrazione. Perché Benioff e Weiss hanno fatto un lavoro grandioso fintanto che hanno avuto un materiale da cui attingere, dei libri da adattare. Poi hanno superato i libri e sono andati un po' allo sbando, con un progressivo appiattimento dei personaggi in favore di momenti shock, colpi di scena e un finale già deciso da inseguire a tutti i costi.

Avremmo voluto delle stagioni finali narrativamente più in linea con quelle iniziali? Sì. Del resto è impossibile essere pienamente soddisfatti di una pizza surgelata dopo aver mangiato una vera pizza napoletana. Ma nonostante i difetti di scrittura e il ritmo accelerato, e a dispetto di una stagione conclusiva non all'altezza delle prime tre, Game of Thrones resta la serie che ha cambiato il nostro modo di vedere la tv; la prima serie che il pubblico ha vissuto come un blockbuster, la serie che più di qualunque altra ha fatto capire agli spettatori e agli stessi produttori tv che anche la televisione può essere come il cinema. Difficilmente assisteremo a un fenomeno globale di questa portata. And now our watch has ended.