High Score Recensione: Netflix racconta la storia del videogioco

La prima stagione di High Score porta su Netflix la storia del medium videoludico, tra pixel e stringhe di codice. E lo fa molto bene.

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Che succede quando inconsciamente non ci si rende conto dell'importanza di un prodotto in arrivo? Semplice, si rimane ancora più stupiti durante la prima visione. Questo è, senza tanti giri di parole, High Score, una docuserie sperimentale targata Netflix, atta a spiegare in maniera dinamica quanto sia stata travagliata, ma al tempo stesso epica, la primordiale nascita del videogioco e di come tante figure abbiano speso ogni barlume di energia fisica e mentale per contribuire ad un'industria che, paradossalmente, è nata, morta e risorta così tante volte da perderne il conto.

Un fulmine a ciel sereno

Se in questo momento il videogioco e tutto ciò che fluttua nella sua orbita genera ricavi pazzeschi, divenendo ormai di fatto uno dei settori industriali più remunerativi a livello mondiale, è grazie alla passione, all'amore e anche alla sana follia di tanti uomini e donne che sin dai primi anni '70 credettero che da un'anonima stringa di codice si potesse generare dell'arte e del business, senza troppo nascondere anche questo sacrosanto aspetto.

High Score è un fulmine a ciel sereno. Creata da France Costrel e narrata da Charles Martinet, lo storico e amato doppiatore americano di Super Mario, questa docuserie è un progetto vincente per un semplice motivo: parla contemporaneamente a chi è amante dei videogiochi e a chi è completamente neofita, andando oltre il mero aspetto tecnico. C'è tanto, tantissimo fattore umano in questa prima stagione; ed è bella, emozionante in determinati frangenti.

Non vi abbiamo ancora convinti con questa breve introduzione? Bene, mettetevi comodi perché siamo certi che dopo la lettura correrete subito ad accendere Netflix sul vostro dispositivo preferito per gustarvi in santa pace High Score! Anche perché stiamo parlando di solamente sei episodi con una durata media che varia tra i 30 e i 40 minuti a puntata. Insomma, si guarda che è un piacere.

I primi passi del Videogioco, tra grandi successi e altrettanti fallimenti

High Score ripercorre fedelmente le tappe più importanti che hanno segnato la crescita di un medium ancora così giovane come quello videoludico. Non andremo a ripetere nulla al riguardo; per quello, oltre alla docuserie, ci sono alcuni approfondimenti paralleli che vi consigliamo caldamente di recuperare per avere un quadro ancora più chiaro della situazione. Come detto poc'anzi, questo è un prodotto che vuole parlare ad una platea ampia e, come tale, non può permettersi di rifugiarsi in tediosi tecnicismi. Le primissime puntate della serie di Netflix mostrano in maniera lampante il primo boom e la conseguente prima grande crisi a cui l'industria videoludica ha dovuto far fronte. E sì, High Score non si è di certo risparmiata sul disastroso E.T firmato Atari.

A quel tempo - stiamo parlando degli anni '70 -, Atari era praticamente sinonimo di videogioco per via dei suoi titoli di punta - Space Invaders per citarne uno - e per l'accattivante politica aziendale capeggiata da Nolan Bushnell; un giovane studioso del MIT che in poco tempo riuscì a comprendere il potenziale commerciale di questo settore dell'intrattenimento. Bushnell crebbe col soprannome di "padrino dei videogiochi", il che è tutto dire. High Score mostra in maniera scrupolosa come Atari in quel periodo passò dalle stelle alle stalle e come quell'importantissima azienda, grazie al suo florido e predominante periodo commerciale, ispirò così tante nuove personalità da mettere in moto una vera e propria rivoluzione globale in formato pixels.

Stati Uniti vs Giappone... FIGHT!

Gli anni '80 videro la grande ascesa del Sol Levante nell'industria videoludica, basti menzionare Nintendo e Capcom tra le importanti aziende che grazie alle loro idee misero piede nel mercato americano, fino ad allora dominato in maniera incontrastata da Atari e dalle sue mirabolanti console casalinghe. La docuserie fornisce infatti un ottimo e interessante punto di vista sulla costante e a tratti divertente, esasperata competizione tra Giappone e Stati Uniti che, proprio come nella più classica delle partite 1v1, si sono studiati così bene da migliorarsi inconsciamente l'un l'altro. Se non si fossero copiati, se non avessero osato con mosse decisamente particolari di mercato - basti pensare a Ms. Pac-Man - probabilmente ora il videogioco non sarebbe così globalizzato e maturo come medium d'intrattenimento commerciale.

Da qui in poi, senza entrare nel dettaglio, la prima stagione di High Score ha, nelle puntate centrali, una serie di interessanti focus su personaggi importantissimi dell'industria, come Richard Garriot, Gail Tiden, Shigeru Miyamoto e John Romero. Questi ritratti permettono, soprattutto a chi mastica poco di videogiochi, di comprendere davvero chi siano gli uomini e le donne dietro ad un'opera videoludica. Ci sono persino alcune interessanti rivelazioni che potrebbero tranquillamente sorprendere anche il cultore di turno di Atari o della grande N. Insomma, tanta qualità associata ad altra qualità in questa docuserie targata Netflix.

Il fattore umano di High Score

L'elemento che più colpisce in High Score non è la meticolosità nel raccontare dei fatti noti ai più, bensì l'andare dietro le quinte, mostrando il lato umano di chi da sempre ha dato tutto se stesso per il videogioco.

Si passa da chi ha narrato le vicende del primo torneo americano amatoriale di Space Invaders (l'antenato dell'eSports per estremizzare) a chi, come Jerry Lawson, attraverso la toccante testimonianza dei figli, ha finalmente ottenuto il suo palcoscenico dopo essere passato a miglior vita. Lawson è infatti l'inventore di Channel F; una console che vantava cartucce intercambiabili che venne purtroppo immediatamente copiata da Atari, mettendo così all'angolo il suo inventore e la sua brillante intuizione. Un racconto triste, ma che senza questa serie sarebbe rimasto ulteriormente nell'ombra.

High Score High Score è una prelibatezza arrivata fin troppo in sordina che merita di certo una promozione ben maggiore, data la sua importanza culturale per tutti coloro che amano i videogiochi o che solamente adesso si sono avvicinati a questo straordinario mondo. Se queste sono le premesse, non vediamo l'ora di scoprire cos'ha in serbo per noi la seconda stagione, con PlayStation e Xbox sicure protagoniste, pronte ad essere messe a nudo dal buon France Costrel. Questi sono i prodotti originali che valgono ogni centesimo speso per l'abbonamento a una qualsivoglia piattaforma di streaming online. Brava Netflix per averci creduto.

8.5