Inventing Anna, la Recensione: troppa superficialità su Netflix

La serie di Shonda Rhimes spicca per la faziosità che rilegge in chiave femminista la storia di una truffatrice, sprecando l'ottimo potenziale della trama.

Inventing Anna, la Recensione: troppa superficialità su Netflix
Articolo a cura di

La storia di Anna Delvey, o Anna Sorokin a quanto recita il suo passaporto, descrive perfettamente la superficialità che guida molte scelte operate dall'élite americana. L'aristocrazia a stelle e strisce si è appiattita con lo scorrere delle generazioni: le nuove leve non hanno la forza emotiva e il carisma di chi li ha preceduti, e al confronto appaiono come dei ragazzini ammaliati dalla popolarità e dal successo, costantemente ancorati ai cellulari e capaci di guardare soltanto l'apparenza delle cose. La giovane immigrata tedesca è riuscita a prendersi gioco di tutti loro ostentando una ricchezza che nemmeno possedeva, sfruttando a suo piacimento persone importanti grazie ad una prima impressione folgorante e del tutto falsa.

Anna ha ottenuto qualsiasi cosa, vivendo nel lusso più sfrenato alle spese di coloro che rimanevano incantati da lei, e che per questo erano ben felici di soddisfare tutte le sue richieste. La storia di questa truffatrice seriale era una bomba sociale pronta deflagrare nuovamente, dopo che il carrozzone mediatico l'aveva abbandonata qualche anno fa seguendo notizie più fresche, ma Inventing Anna - che debutta tra le serie Netflix di febbraio 2022 - riesce a nascondere tutte le sue qualità sotto una narrazione edulcorata e fiacca, intrecciata con un femminismo stereotipato.

L'ereditiera tedesca

Anna Delvey compare a New York come una meteora, incastonandosi nella volta celeste dell'alta società come se quello fosse il suo posto da tutta la vita. La giovane ragazza dall'accento tedesco ha un gusto impeccabile che non solo le spalanca le porte all'ambiente modaiolo e chic della capitale americana della cultura, ma la porta anche a sedersi nei salotti di persone socialmente impegnate e dal grandissimo successo economico.

Anna ha coraggio da vendere, è sagace e molto ambiziosa, e queste sue qualità lasciano i suoi conoscenti attoniti ed estasiati, follemente innamorati dell'astro nascente che spicca il volo proprio davanti ai loro occhi. La ventenne non contiene le sue spese, indossa solo abiti d'alta moda e pranza nei ristoranti più lussuosi della città, e la situazione economica è destinata a migliorare perché al compimento dei suoi 25 anni avrà finalmente il possesso dell'eredità del padre, un imprenditore tedesco così ricco da intestare alla figlia un fondo da 60 milioni di dollari. Anna costruisce amicizie e intesse le sue conoscenze nel mondo dell'arte e dall'alta finanza, tenendo saldo il timone che la porterà alla creazione della Anna Delvey Foundation, un circolo ultra esclusivo che promette di scombussolare New York. La storia di questa ereditiera tedesca viene resa pubblica da Vivian, una giornalista che lavora per un settimanale di Manhattan, dopo lunghe interviste ad Anna Delvey svoltesi nel carcere di Rikers Island, dove la ragazza è detenuta per truffa e rapina e affronta un processo che potrebbe rinchiuderla in prigione per 15 anni.

Storia vera, ma solo ai margini

La premessa di Inventing Anna è scandalosamente vera. Anna Sorokin, questo è il vero nome della protagonista, è un'immigrata russa che ha vissuto in Germania prima di cominciare a viaggiare nelle capitali più chic del mondo, passando per Parigi prima di stabilirsi a New York. Nella Grande Mela Anna è riuscita ad entrare nei circoli d'élite grazie ad uno spiccato gusto per la moda e l'arte, inscenando il ruolo di ricca ereditiera tedesca al quale hanno creduto praticamente tutti.

La bugia è stata smascherata solo dopo qualche anno, in seguito alle segnalazioni da parte di hotel e ristoranti che non ricevevano i pagamenti di questa ragazza alla moda: Anna è stata quindi arrestata con l'accusa di furto e truffa, e la giornalista Jessica Pressler ha raccontato la sua storia nell'articolo How Anna Delvey Tricked New York's Party People. Shonda Rhimes, autrice e produttrice per la serie tv Netflix, ha raccolto il fulcro della storia e l'ha imbellettato, aggiungendo ulteriore finzione alle intricate bugie di Anna Sorokin, ricostruendo una trama molto più esagerata di quanto già non fosse nella realtà. Moltissimi eventi raccontati nelle puntate non sono accaduti davvero, e anche i personaggi più vicini alla protagonista hanno subito un trattamento estetico e caratteriale che li rendesse più rilevanti e riconoscibili. "Questa è una storia completamente vera, tranne che per le parti completamente inventate" recita una didascalia all'inizio di ogni episodio di Inventing Anna, e con il senno di poi possiamo affermare che eravamo stati avvertiti, perché la seconda parte è assolutamente azzeccata.

Toni glamour ed esagerati

L'aggiunta di eventi drammatici e di personaggi peculiari non è mai un difetto in quanto tale, anche quando la vera storia è già folle ed assurda da sé, perché ciò che importa è il modo in cui si mimetizza all'interno della narrazione generale, e bisogna capire se la fantasia si è inserita con naturalezza nella realtà prima di giudicare l'operato. Purtroppo la trama di Inventing Anna si rivela un costante ripetersi di situazioni diverse ma intrinsecamente uguali, che si portano avanti con fare esasperato per quasi dieci ore di una serie vaneggiante e fuori fuoco, dove esistono solamente gli estremi di una tematica e non si analizzano mai i grigi tra di loro.

Il fulcro della storia è l'inchiesta giornalistica di Vivian, che per tratteggiare un quadro completo e veritiero di Anna deve rintracciare tutti i suoi "amici", visto che la diretta interessata non ha alcuna intenzione di confidarsi con un'onesta lavoratrice. Di conseguenza ogni episodio è dedicato ad una delle conoscenze d'alta classe di Anna Delvey, e ci viene mostrato lo sbocciare e il fiorire del loro rapporto, prima dell'inevitabile declino causato dallo smascheramento delle bugie di questa finta ereditiera tedesca. La stessa struttura viene reiterata all'interno di ogni singolo episodio, fino alla conclusione che vede la protagonista rispondere delle sue azioni di fronte ad una giuria di suoi pari.

Il ripetersi di queste modalità dovrebbe essere ammorbidito dall'approccio glamour ed esagerato che confeziona il prodotto: il mondo dell'élite newyorkese diventa una passerella costante di personalità volutamente sopra le righe, eccessive e chiassose, ma alla lunga questa visione patinata della nuova aristocrazia americana lascia il passo alla noia di personaggi troppo simili tra di loro, sia nelle volontà che nelle reazioni.

La grande occasione mancata

La tematica proposta da Shonda Rhimes, rinvenibile dopo aver cancellato il trucco pesante di modalità artificiose e irrealistiche, è molto interessante e degna di attenzione: la serie tv smaschera gli egoismi che sottendono le conoscenze nelle alte sfere d'influenza, e il pregio più grande di Anna è il suo calarsi alla perfezione in quel contesto individualista riuscendo a muovere i fili di padroni diventati burattini alla sua mercé.

L'utilizzo sconsiderato delle persone è uno dei capisaldi del capitalismo americano, ma nella storia di Anna Sorokin esso diventa il motore di eventi che portano all'inganno dei padroni e non dei più deboli, almeno per una volta. Peccato che la serie di Shonda Rhimes faccia tutto il possibile per sviare l'attenzione da questa grande tematica proveniente dalla vera storia di Anna, trasformando l'arrivismo di una ragazza senza contatti nella crociata di una donna che vuole diventare padrona del suo destino, a discapito degli altri e anche della propria sanità mentale. I toni brillanti e glamour di Inventing Anna non sono il difetto peggiore della serie, e si potrebbe anche chiudere un occhio sulla superficialità con la quale vengono gettati via i temi di egoismo e sfruttamento del prossimo - anche perché bisogna ammettere che ce lo aspettavamo data la firma artistica del prodotto - ma questo riportare ogni singolo evento all'interno di una narrazione forzatamente femminista spicca per superficialità di come viene raccontato.

Tutto ciò che ti aspetti da Shonda Rhimes

La serie trascina con sé una critica verso il maschilismo oppressivo del mondo, che è dannatamente reale e presente in tutti i settori lavorativi, e per questo meritava un'analisi molto meno superficiale e una cornice meno caricaturale e stereotipata per tutti i comprimari maschili. Ma ormai è troppo tardi, e la modalità con la quale viene presentato il processo in tribunale ricalca in pieno gli stilemi glamour che hanno incorniciato il resto dello show, con il sistema giudiziario che diventa una passerella dove far sfilare i protagonismi di diversi individui.

Sul fronte tecnico c'è davvero poco da analizzare, conoscevamo la tipologia di un prodotto uscito dalle stesse fucine di Grey's Anatomy e Bridgerton: split screen, transizioni elementari e montaggi veloci si ripetono in maniera ossessiva e senza cuore, mentre una fotografia accecante illumina le scene di una New York glitterata e alla moda. La colonna sonora hip-hop al femminile - fissa sui temi di successo, soldi ed abiti costosi - riprende alla perfezione il mood che si vuole creare, mentre la recitazione delle protagoniste è elementare e poco incisiva, ricorrendo spesso all'esagerazione delle espressioni facciali e dei gesti inefficaci.

Inventing Anna La nuova serie di Shonda Rhimes è troppo superficiale. La storia di Anna Delvey poteva rappresentare un'interessante critica sociale, ma cade fin troppo spesso nello stereotipo. Inventing Anna nasconde sotto il trucco pesante di una messinscena sfarzosa un cuore degno di battere, ma la reiterazione ossessiva di modalità identiche e poco incisive porta ben presto allo sconforto di un'occasione mancata. Sul fronte tecnico, la nuova serie Shondaland ricalca in pieno tutto il pronosticabile di uno spettacolo nato dalle fucine creative di Grey's Anatomy, Scandal e Bridgerton: colori accecanti, colonna sonora monotematica e tecniche di regia artificiose e irreali, unite ad una recitazione non sufficiente e troppo spesso sopra le righe.

5