Kevin can Fuck himself Recensione: la dark comedy su Prime Video ci piace

Il mix di sit-com e drama è un'idea che funziona per raccontare il percorso di autoaffermazione di una donna invischiata in un matrimonio infelice.

Kevin can Fuck himself Recensione: la dark comedy su Prime Video ci piace
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Dopo uno sfogo della protagonista Allison sulla sua triste condizione e sulle rinunce che ha dovuto fare, in cui emergono i comportamenti manipolatori e abusivi del marito Kevin, Patty le confessa che per anni ha continuato a ridere alle battute di Kevin perché "sembrava innocuo". Una frase che ben inquadra il modo in cui noi spettatori siamo abituati a reagire alle gesta di quegli uomini al centro delle sit-com prese di mira da Kevin can F**k Himself, serie che ha debuttato il 27 agosto su Amazon Prime Video. Molti di questi atteggiamenti vengono per l'appunto ritenuti innocui perché limitati al mondo luminoso della sit-com, dove ogni cosa è un buono spunto per farsi una risata, e di conseguenza non si portano dietro nessuna ripercussione reale.

Ma nello show creato da Valerie Armostrong il mondo della sit-com si frantuma per Allison (un'ottima Annie Murphy) e così ci ritroviamo a testimoniare quanto sia provata emotivamente e desiderosa di liberarsi da una condizione diventata ormai insopportabile. La particolarità di Kevin can F**k Himself è quella di essere girata in due stili completamente diversi: da una parte come una sit-com, dunque con multi-camera, luci sparate a mille, recitazione sopra le righe, toni alti e pure le risate registrate; dall'altra come un drama, quindi camera singola, luci (a volte fin troppo) soffuse, toni più bassi e recitazione indubbiamente più sobria.

Nella nostra anteprima di Kevin Can F**k Himself, avevamo ritenuto questo strano ibrido come un esperimento riuscito, ma anche che avrebbe dovuto cercare di mantenere un buon equilibrio tra le parti sit-com e quelle drammatiche, che poi sono anche quelle che maggiormente sviluppano la storia. Ora, a visione ultimata siamo pronti a fare il bilancio definitivo di una serie non perfetta, ma che offre tanti spunti di riflessione e propone un'idea di base davvero intrigante.

Dietro la risata

Allison e Kevin (Eric Petersen) sono sposati da dieci anni e quando quest'ultimo è in scena accentra tutte le attenzioni su di sé. Quasi sempre lo vediamo accompagnato dal padre Pete (Brian Howe) e dall'amico e vicino Neil (Alex Bonifer) e sua sorella Patty (Mary Hollis Inboden), mentre è intento nell'ennesima, sconclusionata, iniziativa. Sia Allison che Kevin sono il perfetto prototipo di moglie e marito da sit-com ma, quando il marito non c'è, è come se il mondo sempre uguale della situation comedy tornasse a scorrere e a prendere un'altra piega, in cui si osserva com'è davvero essere al fianco di un uomo come Kevin.

La serie, dunque, si pone come una sorta di parodia di un certo modello di sit-com, utilizzata anche come metafora per un matrimonio pieno di ombre, nascoste però dall'egoismo dell'uomo che crede che il mondo giri intorno a sé e dunque incapace di vedere cosa non va. Per tutto il tempo Kevin è inconsapevole del malessere di Allison, la quale arriva addirittura a pianificare la morte del marito pur di liberarsene e di liberarsi.

Il percorso di maturazione e di autoconsapevolezza della donna avviene proprio nelle parti drama e presenta delle svolte narrative che in diversi frangenti ci hanno ricordato Breaking Bad, un po' perché con il passare del tempo Allison si fa meno scrupoli, ma soprattutto per la presenza di reazioni collaterali ai diversi schemi messi in atto dalla protagonista, che in diverse occasioni le si ritorcono contro in modi più o meno prevedibili.

In ogni caso, Valerie Armostrong non si è limitata a imbastire un racconto su un matrimonio fallimentare, bensì ha concentrato molte delle sue energie nel rappresentare l'evoluzione del rapporto tra Allison e la vicina Patty e parlare dunque anche di solidarietà femminile e degli sforzi necessari per riuscire a tirarsi fuori da situazioni tossiche. Nel mondo di Kevin, quello della sit-com, le due hanno a malapena iniziato a conoscersi nonostante l'accumularsi degli anni, lo sottolineano più volte, ma ora hanno l'opportunità di rimediare, di scoprire, ad esempio, che Allison è molto più che la moglie servizievole e sempre impeccabile, ma priva di una vera e propria personalità.

A nostro avviso ciò si è rivelato tra i punti forti della serie, tanto da far passare in secondo piano il destino di Kevin. Grazie ai suoi privilegi, l'uomo ha il lusso di vivere in un mondo in cui tutti fanno il tifo per lui e in cui non deve rispondere delle proprie azioni, per quanto deprecabili, ma questo vuol dire anche che il suo personaggio è poco approfondito, senza una vera e propria evoluzione, sempre per il discorso che nella sit-com nulla cambia.

Una serie intelligente ma imperfetta

Ed è proprio la parte sit-com a rappresentare la croce e delizia di Kevin Can F**k Himself. Per quanto necessarie ai fini dello show - e capaci di essere più di un semplice esercizio di stile che fa affidamento unicamente sulla particolare alternanza di generi, le scene nella realtà di Kevin sono esattamente quelle che ci si potrebbe aspettare da una sit-com mediocre e non particolarmente originale, che fa affidamento su meccanismi ripetuti di continuo.

Sono scene che servono a rimarcare la mancanza di attenzione verso le esigenze di Allison e ad aumentare il senso di straniamento dato dall'accostare un mondo su misura dei Kevin a uno in cui tutti i veli di ipocrisia vengono squarciati, ma ciò non cancella il fatto che sono scene che alla lunga non fanno che ribadire lo stesso concetto e che, pur partendo dall'intento di decostruire i tropi della sit-com, possono risultare tediose in quanto vanno a occupare un discreto minutaggio. In tal senso avremmo preferito un migliore bilanciamento tra le due parti e di non doverci sorbire l'ennesimo progetto inconcludente di Kevin, che aggiunge poco o niente ai fini della trama principale se non aumentare l'esasperazione di Allison - e di noi spettatori - nei confronti del marito.

Ma nel complesso Kevin Can F**k Himself funziona e va oltre alla sua caratteristica più distintiva del cambio di generi; in più, fa in modo che guarderemo con occhi diversi un certo tipo di sit-com appartenente soprattutto agli anni ‘80 e ‘90. La serie è scritta con intelligenza e denota un'ottima consapevolezza dei concetti che vuole esprimere, il cast è indovinato e la storia riesce a essere accattivante quanto basta per lasciarci curiosi dell'evoluzione dello show nella seconda stagione, annunciata di recente. Insomma, ci troviamo di fronte a uno show con un'idea nuova, anche se non sempre eseguita al meglio, che mette sul piatto diverse riflessioni interessanti e che ha ampi margini di miglioramento.

Kevin Can F**k Himself La prima stagione di Kevin Can F**k Himself è una gradita aggiunta al catalogo di Amazon Prime Video: si tratta di una serie intelligente che utilizza l’alternarsi di sit-com e drama per riflettere sui cliché della prima, ma soprattutto per raccontare di un matrimonio fallimentare e dell’autoaffermazione femminile. Purtroppo, le parti di sit-com, per quanto funzionali, rischiano di essere come una tassa da pagare, e potrebbero mettere a dura prova gli spettatori. Il finale, comunque, lascia diverse porte aperte e ci auguriamo che lo show riesca ad alzare ulteriormente l’asticella.

7.5

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