La casa di carta: recensione della terza parte della serie Netflix

Da criminali a eroi: la banda del Professore è tornata in azione per combattere il sistema, tra protagonisti ben caratterizzati e cali di originalità

La casa di carta: recensione della terza parte della serie Netflix
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Solo pochi giorni fa l'uscita della terza parte de La Casa di carta ha fatto impazzire i numerosi fan della serie spagnola, impazienti di rivedere in azione il Professore e il suo gruppetto di malviventi rivoluzionari. La recensione del primo episodio ha evidenziato la positività del ritmo veloce della puntata e la forza con cui i personaggi - tra i più amati e iconici delle serie tv recenti - sono rientrati in gioco. Un nuovo colpo sta per iniziare sotto la supervisione del brillante Professore. I nostri moderni Robin Hood riusciranno a portare a termine la missione di svaligiare la Riserva Nazionale della Banca di Spagna e di riportare a casa il membro della banda messo sotto torchio dai Servizi Segreti?

Qualità e originalità altalenanti

È stato un ritorno in grande stile quello del Professore (Álvaro Morte) e della banda di rapinatori mascherati da Dalì su Netflix . Sia gli spettatori che hanno deciso di gettarsi a capofitto in una maratona furibonda di tutti gli otto episodi sia quelli che hanno centellinato la visione per gustarsela appieno hanno potuto apprezzare le migliorie apportate dal comparto tecnico, grazie a un budget più elevato rispetto alle prime due parti. La produzione ha dato il meglio di sé nelle scene d'azione ad alta tensione e nello sfruttamento del fascino di tutte le ambientazioni esotiche nelle quali questa terza parte ha inizio, nonché della suggestiva Firenze in cui ha luogo il nuovo addestramento.

Malgrado il primo frenetico episodio, ricco di colpi di scena, teatrini divertenti tra i personaggi e novità, la cura registica non è riuscita a nascondere i numerosi alti e bassi che hanno messo a repentaglio la qualità della serie rispetto alle stagioni d'esordio, ma che non hanno snaturato il vero scopo dell'opera: l'intrattenimento.
Il grande successo di pubblico delle prime stagioni de La Casa di carta ha reso inevitabile il duro confronto tra quelle e la terza parte. Dal paragone risulta penalizzata soprattutto l'originalità, che registra un notevole calo fin dal finale della prima puntata, da quel drammatico punto di rottura che sconvolge la serenità duramente raggiunta dalla banda.
La decisione di effettuare un nuovo colpo era prevedibile, perfino auspicata da chi voleva vedere nuovamente in azione i protagonisti, ma lo scopo finale della rapina alla Riserva Nazionale della Banca di Spagna, ossia la liberazione di Rio (Miguel Herrán), emerge in realtà come un mero pretesto per dare vita a un nuovo colpo e a un nuovo attacco al sistema, mettendo in secondo piano i numerosi metodi alternativi a cui la banda avrebbe potuto fare ricorso per portare davvero una piacevole ventata di novità alla stagione.

Personaggi nuovi e vecchi, tra piattezza e crescita psicologica

Nonostante l'inserimento di nuovi personaggi, atti a donare dinamismo a una vicenda vecchia già di due stagioni, a non reggere il confronto sono anche gran parte delle new entry, siano esse i nuovi membri della banda o le figure secondarie.
Di fatto è Palermo (Rodrigo de la Serna), amico di vecchia data di Berlino (Pedro Alonso) e grande estimatore dell'arte, a spiccare per una forte caratterizzazione. Passano invece un po' in sordina Bogotà (Hovik Keuchkerian) e Marsiglia (Luka Peros), quest'ultimo sfruttato pochissimo, malgrado in possesso di un asso della manica che avrebbe potuto fare molto di più, un furetto addestrato di nome Sofia.
Stessa piattezza tra i nuovi ostaggi che ci fanno quasi rimpiangere, anche quando si rivelavano una spina nel fianco, quelli delle prime due parti, per cui di tanto in tanto si ritagliava un piccolo spazio atto a sviluppare anche la loro storia all'interno della rapina.
A conti fatti l'approfondimento psicologico delle nuove figure in gioco risulta scarno, tranne in qualche interessante eccezione.
Un buon lavoro è stato invece effettuato sui membri di lunga data della banda, che risultano sempre più umani e fragili, vittime dei loro stessi sentimenti. Sentimenti che, come già abbiamo avuto modo di vedere nelle prime stagioni, possono condurre a errori fatali.

A livello narrativo si ha qui la possibilità di conoscere i protagonisti un po' più a fondo - nelle loro interazioni, nei dubbi, nei punti di debolezza - e di assistere a un'evidente evoluzione personale, anche grazie ai flashback. Tra un ricordo e l'altro - non senza cadere talvolta nel tono tipico delle soap - assistiamo allo sviluppo di rapporti interpersonali che puntano dritto al cuore dello spettatore. Tra questi, nuove scene tra il Professore e il compianto Berlino.
A quest'ultimo si deve l'ideazione dell'articolato piano della rapina alla Banca Nazionale, e sebbene il nuovo colpo possa apparire anche in questo caso come pretesto per "riportare in vita" l'amatissimo e controverso personaggio di Berlino, la scelta non risulta forzata. Il suo ricordo non ne snatura il carattere e il ruolo, e non lo trasforma (il rischio era alto) in un fantasma del passato del Professore.
La casa di carta 3 mostra dunque più di un difetto, ma ha ancora qualcosa da dire e mette in gioco una discreta dose di coraggio nel farlo, soprattutto nel finale, audace, sofferto e aperto.

Da criminali a eroi: il consenso popolare come punto di forza

Dopo il finale di stagione risulta piuttosto evidente il filo conduttore di tutte e tre le parti, che qui diventa il vero e proprio protagonista: la volontà di resistenza a un sistema marcio, che non si fa scrupoli a giocare sporco per ottenere ciò che vuole, anche a spese dei cittadini e dei risparmiatori. Se nelle prime stagioni a rendersi conto dei metodi discutibili della polizia era stata Raquel (Itziar Ituño), qui la consapevolezza si estende al popolo, dando vita a un vero e proprio consenso generale che si esprime meravigliosamente in una delle nuove lezioni del Professore. Attingendo a testimonianze reali e all'attualità, Sergio mostra una serie di fotografie che ritraggono proteste per la libertà e contro il sistema corrotto in tutto il mondo, con manifestanti che sfoggiano orgogliosamente le tute rosse, simbolo della banda, e l'iconica maschera da Dalì. La casa di carta, che già dai suoi esordi voleva sottolineare la natura ribelle dei suoi protagonisti e del colpo alla Zecca, qui si fa portavoce dei cittadini e diventa popolare. Una simile mossa rappresenta uno degli elementi che ancora riescono ad affascinare e a donare un po' di originalità alle iniziative del Professore.
Il sistema, presentato come vero e proprio villain della serie, è incarnato in questo caso da un interessante nuovo personaggio: l'ispettrice Alicia Serra (Najwa Nimri), figura subdola, quasi folle, che è pronta a tutto pur di distruggere il piano del Professore.
Oltre a imporsi sulla scena come personaggio dalla caratterizzazione molto particolare (il lecca-lecca che porta costantemente con sé ricorda uno di quei super-cattivi dalle abitudini bizzarre, capaci di istanti di tenerezza, ma anche di grandi orrori), Alicia Serra dimostra che l'inserimento di qualche novità degna di nota è ancora possibile per questa fortunata serie Netflix.

Sebbene chi ha atteso l'uscita della terza parte de La Casa di carta non abbia trovato quell'originalità e freschezza che si respirava nelle sue prime parti, il fine ultimo di intrattenere lo spettatore con scene d'azione ben realizzate e una tensione sempre crescente sembra essere stato raggiunto. Ammantare la serie e i suoi personaggi di un'aura rivoluzionaria è stato un modo per strizzare l'occhio allo spettatore, iniziando con lui una discussione basata su un sentire comune, l'impressione che lo Stato non sempre si muova in modo corretto e trasparente e che non sempre riesca a farsi protettore dei cittadini.
Ignorare il calo di qualità degli episodi centrali - che vengono oscurati da una puntata d'esordio molto promettente e da un finale davvero adrenalinico - risulta impossibile, ma nonostante qualche dialogo forzato, alcune scene fortemente sentimentali che ricordano un po' i meccanismi di una soap opera e un'originalità altalenante, La casa di carta si riconferma un prodotto che rientra perfettamente nella definizione di serie tv: i ritmi sono veloci, si desidera macinare episodio dopo episodio per scoprire cosa succederà e la tensione si mantiene alta quasi per l'intera stagione.
La quarta parte è già stata annunciata (l'incertezza lasciataci dal finale di stagione lo aveva fatto presagire) e non ci resta che attendere nuovamente risposte, nella speranza che la serie osi ancora di più e renda giustizia alla freschezza dei suoi esordi.

La casa di carta In questa terza parte de La Casa di carta si può notare un certo calo nella freschezza che aveva contraddistinto le prime due stagioni. Uno dei primi colpi di scena viene sfruttato come semplice pretesto per mettere in atto un nuovo colpo, che si differenzia poco da quello alla Zecca di Stato, non fosse per il nuovo consenso popolare che trasforma i rapinatori in paladini. Risulta riuscito solo a metà anche l'inserimento di nuove figure, alcune piatte e poco caratterizzate, altre piacevolmente approfondite dal punto di vista psicologico e pronte a diventare iconiche tanto quanto i personaggi che erano piaciuti nelle prime due parti. La serie sembra puntare tutto sull'efficacia delle scene d'azione e sui rapporti tra i personaggi, a volte validi a volte un po' esasperati, nonché su un ritmo incalzante che rende ogni episodio facile da divorare.

6.5