La linea verticale: la recensione della serie Rai con Valerio Mastandrea

In prima serata su Rai 3 e in streaming su RaiPlay il debutto della coraggiosa serie ospedaliera di Mattia Torre, tra dramma e commedia

La linea verticale: la recensione della serie Rai con Valerio Mastandrea
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Qualitativamente parlando - checché ne dicano i detrattori - questi non sono stati affatto anni infelici per il servizio pubblico e la sua serialità. A fronte di dieci, cento, mille Don Matteo, la Rai ci ha infatti più di una volta sorpreso con produzioni audaci, coraggiose e, soprattutto, di valore. È all'interno del fervore creativo generato da serie come Non uccidere, La porta rossa e Rocco Schiavone che si colloca allora un prodotto anomalo come La linea verticale, serie ospedaliera dal sapore agrodolce con un Valerio Mastandrea in lotta contro il cancro. Un oggetto insolito per il panorama italiano, quello creato da Mattia Torre e prodotto da Rai Fiction e Wildside, che guarda a un nuovo modo di fare televisione, attento soprattutto all'evoluzione del mezzo e a dinamiche oramai impossibili da ignorare. Sarà per questo che, oltre alla messa in onda in prima serata su Rai3 a partire da sabato 13, la serie è già stata interamente resa disponibile su RaiPlay, inaugurando una fruizione e un modo di vivere la serialità totalmente inediti, almeno per la nostra tv generalista.

Tra dramedy e binge watching

È senz'altro una sfida quella de La Linea verticale. Una sfida lanciata a Netflix e alla pratica dello streaming, certo, ma anche a un intero sistema produttivo finora impermeabile (o quasi) a qualsiasi novità. Una sfida che parla la lingua del binge watching e sfiora la transmedialità (la vicenda è tratta da un romanzo autobiografico dello stesso Torre), facendo proprie modalità e istanze d'Oltreoceano. D'altronde, è proprio alla serialità statunitense che guarda Mattia Torre, autore (assieme a Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico) di un'altra opera che di coraggio e sfide già se ne intendeva: Boris. Mette infatti in scena una commedia amara su malattia, morte e lotta per la vita che, dal formato (episodi brevi da 25 minuti) al tono, dall'intuizione comica fino al dramma più puro si rifà, senza troppi misteri, alla lezione di prodotti come Scrubs. Se c'è stata infatti una cosa (tra le tante) che la serie medica con Zach Braff ci ha insegnato è che anche la malattia e la morte possono trovare spazio nelle nostre narrazioni e nel nostro immaginario, senza per questo dover necessariamente dare vita a produzioni retoriche, melodrammatiche o facilmente sentimentali.

È all'interno di questa dramedy tutta italiana che Torre decide, allora, di ribaltare ruoli e prospettive e di fare dei malati i veri protagonisti della vicenda, filtrando, attraverso il loro punto di vista, ansie, paranoie e paure. Niente Braccialetti rossi, però, per Luigi e compagni, niente degenerazioni sentimentali o patetiche à la "Gli occhi del cuore": nel reparto di oncologia de La linea verticale, la routine della malattia può essere scacciata con un semplice sorriso e un pizzico di sarcasmo, con l'assurda realtà di un mondo altro racchiuso dietro le mura di un ospedale.

Un passo alla volta

Del resto è proprio un mondo a parte quello in cui, per otto episodi, si dispiega la personale Odissea ospedaliera di Luigi: 21 giorni di paura, dolore e speranza all'interno di un microcosmo egualitario che non fa differenze di età, ceto o condizione ("i pazienti sono solo disgraziati che cercano la salvezza"), regolato unicamente da una linea gerarchica, quella del personale, fatta di rabbia e prevaricazione.
Un bestiario tragicomico - dalle tipologie di medici e pazienti, a tutte le bizzarre regole non scritte che ordinano l'ecosistema sanitari - che si svela episodio dopo episodio, e che traccia un quadro del nostro presente e del nostro Paese, indicando (anche) una strada possibile da seguire. A fare il resto ci pensa Valerio Mastandrea, già insieme a Torre in Ogni maledetto natale e nella sottovalutata sit-com Buttafuori, con la sua voce guida, con i suoi sguardi in macchina, con il suo attaccamento alla vita fatto di sogni e speranze (le "apparizioni" del Professor Zamagna), offrendo al pubblico un personaggio con cui pare davvero difficile non empatizzare. E se, a tratti, quel sapiente equilibrio tra commedia e tragedia rischia di incrinarsi, spinto all'estremo da deliri surreali - la morte che segue l'oncologo, gli sprazzi di musical - e da qualche lirismo di troppo, come accade nelle scene con la moglie, poco importa. La linea verticale riesce, con la sua forza sincera e genuina, commovente e divertita, a mantenere la rotta, a restare in piedi come il suo protagonista, e ad andare avanti, sempre e comunque, per la sua strada. Un passo alla volta.

La linea verticale Un mix congeniale tra dramma e commedia fa di La linea verticale un'interessante e aggiornata dramedy nostrana. Uno Scrubs dal punto di vista dei pazienti dove la malattia non è più un tabù e la risata si confonde irrimediabilmente con la speranza.

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