Living with Yourself: Recensione della nuova serie Netflix con Paul Rudd

Abbiamo visto in anteprima la serie Living with Yourself, con protagonista Paul Rudd nei panni dello stesso (o diverso?) personaggio.

Living with Yourself: Recensione della nuova serie Netflix con Paul Rudd
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Living with Yourself, la serie televisiva creata da Timothy Greenberg con protagonista Paul Rudd che sarà distribuita su Netflix, narra la storia di Miles Elliot, un individuo come tanti che, improvvisamente, si ritrova a fare i conti con il proprio clone.
La prima stagione dell'opera, composta da otto episodi dalla durata di circa trenta minuti ciascuno, fonde gli stilemi caratteristici della commedia nera con quelli del dramma introspettivo, riuscendo a catturare l'attenzione dello spettatore in modo efficace nonostante l'intera serie non punti mai su concetti realmente innovativi o particolarmente originali.
Non resta quindi che addentrarci nell'analisi di questa prima stagione, ricca di spunti narrativi interessanti seppur non perfetta sotto alcuni punti di vista.

Io, me, lui

La tematica della clonazione ha da sempre affascinato un numero davvero elevato di registi, fumettisti e artisti, non solo da un punto di vista fantastico/fantascientifico, ma anche da quello etico e morale, per via soprattutto delle conseguenze relative all'atto in sé. La serie Living with Yourself, sfruttando la cornice della commedia nera, mette in scena una storia molto semplice in cui vediamo il protagonista compiere una scelta capace di cambiargli per sempre la vita. Il primo, anzi primissimo scoglio da superare per approcciarsi al meglio a questa serie è quello legato alla sospensione dell'incredulità, ovviamente non per quanto riguarda l'intero contesto narrativo ma per la semplice scelta effettuata all'inizio da Miles (Paul Rudd). Egli, infatti, decide - su consiglio di un suo collega diventato all'improvviso brillante - di recarsi in uno strano centro benessere capace di risolvere i problemi di chiunque attraverso una misteriosa pratica riabilitativa. Il nostro decide così di usufruire subito del trattamento speciale fornito dalla struttura, sborsando una lauta somma di denaro ai "dottori" del centro senza sapere minimamente a cosa sta andando incontro.

Da questo punto di vista, la serie scopre da subito tutte le sue carte, andando dritto al nocciolo della questione: Miles viene così clonato a sua insaputa e, dopo pochissimo tempo e per una svista del centro benessere, si ritrova a fare i conti con una versione migliorata di se stesso. L'attore Paul Rudd, il vero e proprio pilastro della serie, è riuscito con assoluta spontaneità e semplicità a caratterizzare molto bene i due personaggi principali (ovviamente interpretati sempre da lui) riuscendo a risultare credibile in ogni situazione.

Per quanto riguarda il ritmo, l'opera risulta avvincente nonostante si basi quasi esclusivamente su semplici scene di dialogo, particolare capace di rimarcare la grande abilità di Timothy Greenberg nel gestire al meglio un intreccio narrativo ricco di potenziali insidie, su tutte la ripetitività. Da questo punto di vista, la scelta di puntare su brevi flashback, inseriti durante la prosecuzione lineare della trama, risulta un ottimo espediente per fornire all'intera serie un taglio dinamico.
In vari punti, infatti, lo spettatore si ritroverà a vivere dei momenti già visti in passato, mostrati tuttavia da un punto di vista leggermente diverso, capaci spesso di fornire in modo efficace dettagli aggiuntivi su spunti di trama lasciati volutamente in sospeso.

La serie, seppur strizzi l'occhio in vari momenti al genere comedy, riesce comunque a farsi prendere parecchio sul serio in numerosi punti: merito soprattutto di Paul Rudd, capace di risultare credibile tanto nei momenti leggeri quanto in quelli maggiormente seriosi. Il lato più scanzonato - da un punto di vista contenutistico - è stato riservato principalmente ai momenti in cui il protagonista interagisce con la collettività e le istituzioni (parecchio spassose, ad esempio, le sequenze in cui si ritrova a contatto con i tecnici che l'hanno clonato) mentre si è deciso di puntare su un registro maggiormente serioso nei momenti di confronto con se stesso e con sua moglie. Tra le criticità della serie possiamo annoverare la poca importanza data a tutti i personaggi secondari; se è vero infatti che l'intera opera è stata concepita per focalizzarsi sulla vita di un singolo personaggio, riservare un maggiore spazio ai comprimari - tra cui il collega causa scatenante di ogni cosa - avrebbe probabilmente donato un respiro corale al tutto, particolare che non avrebbe sicuramente guastato in termini di varietà di situazioni. L'unica eccezione riguarda Kate Elliot, la moglie del protagonista, caratterizzata in maniera soddisfacente come vedremo in seguito.

È davvero meglio di me?

L'opera fa della caratterizzazione dei personaggi principali il suo nucleo fondante e, da questo punto di vista, il risultato finale non può che dirsi pienamente riuscito. Il protagonista, seppur abbia un lavoro rispettabile e una compagna che lo ama, non è pienamente soddisfatto della propria vita.

Una volta che si ritrova a confrontarsi con il proprio clone - una sua versione migliorata sotto ogni aspetto possibile - la sua depressione non può che aumentare, soprattutto nel momento in cui si rende conto di come il suo doppio riesca ad eccellere tanto nei rapporti sociali con i colleghi quanto in tutti gli aspetti più infinitesimali della vita comune.

L'opera non instilla mai il dubbio su chi sia davvero il clone nella mente dello spettatore, rimarcando anzi gli aspetti caratteristici di ognuno in qualsiasi occasione utile; da una parte abbiamo così il Miles originale - trasandato, svogliato e depresso - mentre dall'altra abbiamo il suo clone, curato nell'aspetto, sempre propositivo e molto attento nell'ascoltare e valorizzare le persone con cui entra in contatto.

Il protagonista decide così di sfruttare le abilità del suo clone per prendersi una vacanza da tutto e da tutti lasciando a lui il compito di occuparsi di qualsiasi mansione sociale, scelta che inevitabilmente lo porta a sprofondare in una crisi esistenziale peggiore di quella di partenza. Il confronto con il suo io migliore diventa quindi per il protagonista un modo per capire tutto ciò che non va in lui (e quindi in noi), dato che il Miles originale non è nient'altro che una lente d'ingrandimento del nostro vivere quotidiano, che spesso ci porta a focalizzarci sulle cose futili tralasciando però gli aspetti più importanti della nostra vita.

Al tempo stesso però, il personaggio principale trova una nuova spinta propulsiva proprio nel momento in cui decide di superare il suo clone (che in realtà non è nient'altro che se stesso) cercando a tutti i costi di rimettere in sesto la propria vita dimostrando di essere capace, nei momenti critici, di riprendere il controllo della situazione.
Kate Elliot diventa quindi un personaggio fondamentale per capire al meglio le differenze sostanziali tra i due protagonisti; è proprio grazie a lei che lo spettatore riesce a riflettere in maniera approfondita su cosa significhi davvero essere umani, grazie ai momenti in cui l'apparente perfezione del clone diventa in realtà la sua più grande debolezza.
Il rapporto che intercorre tra i due Miles può quindi essere definito come un concentrato di amore/odio all'ennesima potenza, capace di far emozionare lo spettatore tanto nei momenti più leggeri e scanzonati quanto nelle scene maggiormente intrise di pathos.

Living With Yourself Living with Yourself è in definitiva una serie solida e soddisfacente, capace di far sorridere e riflettere lo spettatore sotto diversi punti di vista. Seppur più di qualcuno potrà trovare la storia non particolarmente originale (soprattutto per quanto riguarda la tematica della clonazione) in realtà il racconto riesce a intrattenere senza problemi, a patto di non porsi troppe domande riguardo l'incipit dell'opera. Molto buona la performance di Paul Rudd, capace, quasi esclusivamente da solo, di tenere in piedi l'intero intreccio narrativo.

7.8