Tutta la luce che non vediamo Recensione: Netflix non lascia il segno

L'adattamento del romanzo di Anthony Doerr arriva su Netflix con una produzione e un cast imponenti, ma non rispetta pienamente le aspettative

Tutta la luce che non vediamo Recensione: Netflix non lascia il segno
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Giunto in catalogo con tutti i clamori del caso fra le principali uscite Netflix di Novembre, Tutta la luce che non vediamo è uno di quegli investimenti su cui la piattaforma streaming non avrebbe mai avuto paura di scommettere: estetica imponente, cast sensazionale, ma soprattutto la direzione di Shawn Levy (Stranger Things, ma anche Una notte al museo e Deadpool 3) e la sapiente sceneggiatura di Steven Knight (Peaky Blinders, Taboo, Locke) a garanzia di un lavoro che punta in alto. Le menti dietro questa produzione senza precedenti sapevano sin dall'inizio di dover costruire una serie destinata al successo.

Il romanzo Premio Pulitzer di Anthony Doerr, qui tramutato in una miniserie da quattro puntate di circa un'ora l'una, ha sconvolto il mondo con il suo racconto delicato intorno alle ceneri della guerra. Non sorprende, quindi, che l'adattamento di questo dramma storico targato Netflix abbia subito attirato verso di sé l'attenzione di critica e pubblico. La storia di guerra descritta da Doerr con eleganza e passione è stata ripresa in buona parte da Levy e soci, con il regista e producer che non hanno esitato a puntare sul suo forte messaggio di speranza e redenzione per conquistare il pubblico.

Una scelta che sta decisamente pagando, vista la solida presenza dello show in top 10. A dispetto delle sue incredibili premesse, però, Tutta la luce che vediamo rischia seriamente di esser ricordata per ciò che non è stata, piuttosto che per i suoi traguardi.

La luce oltre il buio

Proprio come nel libro, la miniserie ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale esplora il curioso e agrodolce legame tra Marie-Laure (Aria Mia Loberti), una giovane ragazza francese cieca dalla nascita, e Werner (Louis Hofmann) un giovane soldato tedesco impiegato ai tracciamenti radio. La prima, fuggita da Parigi col padre recentemente scomparso, si trova dagli zii nella cittadella di Saint-Malo; il secondo, invece, è suo malgrado al servizio di un generale tedesco che desidera a tutti i costi ottenere un oggetto posseduto dalla ragazza.

Dove le barbarie sembrano celate anche agli occhi dello spettatore, le oscure macchinazioni del conflitto fra i due schieramenti riveleranno una passione comune che farà da collante fra i due protagonisti, segnando per sempre le rispettive esistenze. Partendo da un testo che riesce a mantenere un'eterea eleganza anche nel raccontare la brutalità della guerra, Shawn Levy e Steven Knight hanno deciso di prendersi diverse libertà creative per trasporre su schermo la storia dei due protagonisti.

Malgrado le innumerevoli possibilità a disposizione, il risultato dell'adattamento dalle pagine allo schermo lascia parecchio a desiderare. Senza considerare (per quanto abbia un peso) la poca aderenza agli elementi che hanno reso grande il romanzo, questi quattro episodi sorprendono per la resa estetica e l'impegno del cast, ma non si dimostrano mai pienamente all'altezza della storia che vogliono raccontare - anzi, palesano tutte le caratteristiche di un prodotto costruito ad hoc per un tipo di pubblico poco attento e poco interessato, con buona pace dei lettori.

Eppure le intenzioni, specie nelle prime fasi della narrazione, sembrano più che buone: il fatto che Netflix e Levy abbiano deciso di puntare sui sentimenti più puri per ispirare lo spettatore con una storia che vada oltre qualsiasi ostacolo è un'intenzione lodevole, ma ben più difficile da portare in scena senza un chiaro riferimento da seguire. La fiaba agrodolce che aveva sorpreso il mondo rivive sicuramente nelle atmosfere e nelle interpretazioni, ma perde presto coerenza con i toni e il significato ultimo del romanzo.

Tempo e sostanza

Tutta la luce che non vediamo non può separarsi dalla sua essenza fiabesca: questo vale sia per i temi trattati, sia per le modalità in cui anche gli elementi più forti vengono trasmessi al pubblico. Non c'è niente di più emozionante del racconto di due anime dannate alla ricerca della luce per tenere milioni di spettatori incollati allo schermo, ma è importante preservare l'importanza del messaggio che il romanzo vuole comunicare oltre la semplice costruzione di un legame. Visto il poco tempo a disposizione, lo show targato Netflix ha messo così da parte tutti gli elementi all'apparenza complessi o particolarmente elaborati per farsi più diretto e immediato possibile.

Nulla di nuovo o di trascendentale per lo spettatore medio, specialmente nell'ottica di un prodotto potenzialmente "virale". Ma c'è una magia veramente unica fra le parole di Doerr che sfugge a un primo sguardo proprio perché si cela sotto la superficie. Oltre la devastazione della guerra e la speranza di due ragazzi si sviluppa un'analisi profonda sul bene e sul male,

dove la luce è anche ragione e dove la verità si fa salvifica per il mondo. Queste metafore, seppur abbastanza evidenti, non trovano mai abbastanza spazio fra le varie puntate e restano soltanto abbozzate, soffocando sfumature e ambiguità importanti tra riflessioni superficiali e piatte. Dietro l'incontrollabile emozione per determinate scene c'è un'intera storia che non vediamo, quella più politica e grigia che avrebbe reso ancor più intimo l'adattamento di Levy e soci. Tanti elementi funzionali al racconto si perdono in uno spettacolo spicciolo, a tratti banalmente melodrammatico, smorzando qualsiasi entusiasmo per una produzione fatta per esser vissuta tutta d'un fiato e che invece vive soltanto di picchi tecnici o emotivi (meno del previsto).

Nessuno si sarebbe aspettato una disattenzione così grande da Steven Knight, qui apparso svogliato e quasi schiavo delle intenzioni di Levy - che, dal canto suo, fa sicuramente quel che può ma palesa la sua inesperienza con prodotti di questo genere. Aspetti produttivi a parte, la delusione più grande resta in sede di scrittura: difficile stabilire se si tratti di presunzione o di semplice distrazione, tuttavia l'utilizzo esagerato dei flashback e alcune scelte discutibili annacquano la narrazione e non concedono il giusto spazio a personaggi o contesti per brillare.

Potenziale sprecato?

Sarebbe assurdo negare il fatto che lo show si lasci comunque guardare con trasporto, emozionando con grande semplicità. Merito soprattutto del cast, dove emergenti si affiancano a volti noti come Mark Ruffalo e un delizioso Hugh Laurie per conquistare il cuore degli spettatori (nonostante nessuno interpreti un personaggio che possa dirsi memorabile). Alla loro bravura e alla meravigliosa resa contestuale, infatti, si contrappone una netta divisione, quasi bambinesca e caricaturale, tra buoni e cattivi che stona completamente con gli stilemi di un racconto così pregno di significato.

Il risultato ultimo può riassumersi quasi in toto nel finale di Tutta la luce che non vediamo. Levy, a detta sua intenzionato a veicolare un messaggio di maggior speranza visti i tempi difficili che stiamo vivendo, comprime e stravolge un epilogo poetico esclusivamente per timore di appesantire il pubblico. L'adattamento manca di coraggio e rischia seriamente di apparire goffo e impacciato. Quasi una contraddizione con il senso profondo dell'opera, che mira invece a smuovere le coscienze per guardare oltre le apparenze e trovare la luce persino in mezzo all'oscurità. Un errore che, anche di fronte ai numeri, costerà sicuramente caro.

Tutta la luce che non vediamo Tutta la luce che non vediamo potrebbe facilmente essere una delle produzioni Netflix più ambiziose di sempre. Eppure, forse per mancanza di coraggio, forse per alcune scelte sbagliate, l'adattamento del romanzo Premio Pulitzer di Anthony Doerr si limita a spettacolarizzare la componente emotiva di una storia profonda e sfaccettata, qui soltanto abbozzata nel nome dell'immediatezza. Nonostante un cast interessante e una resa scenica di grande impatto, emergono delle criticità evidenti che rendono questa miniserie una visione godibile, ma le impediscono di sfruttare tutto il suo potenziale.

6.5