Mike Recensione: la controversa serie Disney+ su Tyson

La serie, ideata da Steven Rogers, racconta la vita di uno dei più controversi e spaventosi pugili americani, analizzando luci e ombre

Mike Recensione: la controversa serie Disney+ su Tyson
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Mike, un titolo che è tutto un programma: un nome per nulla celebrativo che già svela gli intenti più profondi della miniserie ideata da Steven Rogers (Tonya, Natale all'improvviso) con la regia del celebre Craig Gillespie (Crudelia, Pam & Tommy) che figura tra i produttori esecutivi del progetto. Il leggendario Mike Tyson, il crudele e temibile Iron Mike, infatti, per quanto sia apparentemente il soggetto dell'intera opera, è solo una maschera perché quello che viene messo in luce è il suo lato più umano e fragile che si trova dietro l'altisonante pugile campione di pesi massimi diventato un mito moderno degli Stati Uniti. L'obiettivo è quindi semplice, ma al tempo stesso complesso: analizzare la psiche di un uomo così tanto tormentato, con un passato burrascoso, ma un coraggio da leone che gli ha consentito più di una volta di rialzarsi sia dal ring che nella vita di tutti i giorni.

Strutturata come un dialogo aperto e sincero tra Tyson e il pubblico, la realizzazione è efficace nel tratteggiare gli alti e i bassi dell'atleta, ma non riesce a fornire un ritratto completo della sua carriera sportiva, che spesso viene messa in secondo piano all'interno del racconto. Mike, entra a far parte del catalogo Star di Disney+, posizionandosi tra le più interessantiserie Disney+ di settembre 2022.

Tra eccessi ed errori, vittorie e sconfitte

In un contesto di finzione, Mike parte già molto carica e diretta: il protagonista, Mike Tyson (interpretato da un eccellente Trevante Rhodes), è su un palcoscenico pronto a raccontare, in uno show, tutta la sua vita.

Quale migliore occasione per aprire il cuore agli astanti e narrare tutte le sue evoluzioni ed involuzioni, dall'infanzia difficile a Brooklyn all'inizio della leggenda, dalla prima grande vittoria allo scandalo sessuale che lo ha visto coinvolto in prima persona. Cronologicamente, ogni episodio si sofferma su un aspetto dell'esistenza del pugile, ma sono comunque presenti diversi salti temporali con una narrazione che è lineare con qualche piccola frammentazione. Il risultato è accattivante perché la storia è di facile lettura, ma offre molti spunti di riflessione, anche se il racconto che il pubblico sta seguendo sembra appartenere ad universo distante. La chiave più potente della sceneggiatura è senza ombra di dubbio la forte empatia che si crea tra gli spettatori e Mike Tyson, generata con uno strumento un po' artificioso (e forse anche troppo abusato), ma che alla fine dei giochi risulta efficace: ci stiamo riferendo alla rottura della quarta parete. Spesso, infatti, il protagonista, ma anche i personaggi secondari della serie, si rivolgono direttamente ai fruitori, tirandoli in causa in prima persona e grazie a questo mezzo è praticamente impossibile non essere coinvolti dall'inizio alla fine.

Per quanto riguarda la ricostruzione degli eventi, i fatti storici e le continue ricadute del campione, è evidente che il ritmo sia in alcuni casi fin troppo accelerato, ma non sembra veramente mancare niente: con uno sguardo imparziale e oggettivo, in un continuo dialogo tra passato e presente, il Mike dello show televisivo accetta i suoi sbagli, accoglie le sue sconfitte e va a patti con le sue fragilità più scomode.

L'uomo è l'eroe dello show, non i suoi pugni

Detto questo, proprio perché centrale in Mike è la ricerca della redenzione e l'analisi dell'umanità del protagonista, le grandi imprese sportive che il grande campione di boxe ha consegnato alla storia di questa disciplina sono sì presenti, ma sono una parte fin troppo esigua del racconto. Per prima cosa, i tantissimi incontri che l'atleta ha disputato dal 1985 al 2005 vengono affrontati in modi diversi: se quelli più brevi sono effettivamente riassunti con efficacia, quelli più lunghi vengono fin troppo ridotti, mentre alcuni non sono menzionati per un'ovvia mancanza di spazio.

Purtroppo, il quadro generale è troppo parziale da questo punto di vista e anche il pugilato in generale è troppo secondario rispetto alla vita di Tyson nell'economia della storia, nonostante si dice a più riprese, all'interno della serie, che la boxe e Tyson siano una cosa sola. Se ad esempio abbiamo poche informazioni sul metodo di allenamento, strategie sul ring e la preparazione psicologica prima degli scontri, è stato invece fatto un ottimo lavoro nella caratterizzazione di tutti i cattivi padri sportivi che si sono susseguiti nella carriera di Iron Mike.

Dall'affettuoso, ma approfittatore Cus D'Amato (un Harvey Keitel davvero in forma) al mefistofelico, ma geniale Don King (un effervescente Russell Hornsby). Per quanto riguarda le interpretazioni attoriali, ci troviamo di fronte a delle performance intense e sentite, un po' troppo sopra gli schemi (e stiamo pensando proprio al protagonista, Trevante Rhodes), ma è chiaro che una storia come questa richiedeva anche della sana follia per condire gli aspetti più controversi del racconto.

Nota di merito per l'episodio 5, Desiree, tutto dedicato alla tragica storia giudiziaria che ha funestato Tyson nel 1991, quando fu arrestato a causa dello stupro dell'allora 18enne Desiree Washington (Li Eubanks). Lo show, infatti, condanna il crimine del pugile ponendo l'accento, con tatto e sensibilità, sui danni psicologici e fisici causati alla giovane.

Mike Mike è una miniserie perfettamente in linea con l'animo controverso e tormentato di Tyson, ma si sofferma principalmente su luci e ombre dell'uomo dietro i guantoni, tralasciando il mito pugilistico, la furia senza freni dalla carriera sportiva prorompente e controversa. In un immaginario monologo con il pubblico, il protagonista si confessa, ammette i suoi errori e si redime, rivelando gli aspetti più fragili della sua interiorità, creando una connessione profonda con gli spettatori. Con un montaggio fin troppo accelerato della storia e la boxe lasciata da parte, l'opera creata da Steven Rogers è una riflessione sincera ed intima di un grande atleta americano.

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