My Name Recensione: un k-drama da non perdere

My Name è uno dei prodotti più interessanti usciti di recente su Netflix. Azione, vendetta e intrighi in questo k-drama mozzafiato.

My Name Recensione: un k-drama da non perdere
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Quando nel 2020 Parasite vinse l'Oscar come miglior film, ogni buon appassionato di cinema fu contento di sapere che finalmente anche l'occhio del grande pubblico si era accorto di ciò che la scena coreana avesse da offrire (e se ancora non ve ne siete accorti, fiondatevi sulla nostra recensione di Parasite). Una situazione analoga a ciò che accadde sul versante giapponese nel 2001 quando La Città Incantata vinse l'ambita statuetta come miglior film d'animazione.

Non che ci volessero né l'uno né l'altro film per dimostrare ai cinefili più incalliti che l'Oriente avesse cinematograficamente qualcosa da dire, ma con l'aumento dell'interesse del grande pubblico aumenta contestualmente quello dei produttori e distributori. E proprio ora che anche in campo seriale viene finalmente riconosciuta la qualità del made in Corea, e la nostra recensione di Squid Game è lì a dimostrarlo, così come gli altri 5 drama coreani da non perdere su Netflix, è arrivato il turno di My Name, ultimo k-drama originale Netflix che va a sigillare le uscite Netflix di ottobre.

Vendetta, costi quel che costi

Yoon Ji-woo è una teenager che pratica arti marziali e vive una vita normale, finchè la polizia non arriva alle calcagna della gang mafiosa Dongcheon, di cui il padre fa parte, Dong-hoon, interpretato da Yoon Kyung-ho (che ricopre il ruolo di capofamiglia anche in Parasite). Quest'ultimo è costretto a fuggire e vivere una vita da latitante nel tentativo di non essere catturato e incarcerato. La sua scelta, però, insieme al fatto che questa informazione sia di dominio pubblico, vista la taglia che c'è sulla sua testa, rende la vita della giovane Ji-woo impossibile.

A scuola è vittima di bullismo (a cui, esasperata, risponde con la violenza) e anche fuori dall'istituto le cose non vanno meglio. Oltre a dover vivere sola e sentirsi inevitabilmente abbandonata, deve fare i conti con la polizia che cerca in ogni modo di estorcerle informazioni sul padre per catturarlo o convincerlo a costituirsi. L'insistenza, però, è ingiustificata, in quanto Ji-woo cerca di contattare Dong-hoon dal giorno della sua scomparsa, senza, però, aver mai ricevuto risposta. Questo fino al giorno del suo compleanno in cui riceve una sua chiamata. Decide di rispondere ma, infuriata, gli riferisce che la sua vita, per colpa sua, è un inferno e non vuole averci più niente a che fare, per usare un eufemismo.

Così Dong-hoon decide di infischiarsene della cautela e si precipita a casa per trovare la sua piccola, ma viene ucciso da una figura incappucciata sull'uscio di casa, sotto gli occhi di Ji-woo, che osserva la scena dallo spioncino della porta che il padre aveva bloccato per fare in modo che il killer non arrivasse anche a sua figlia. La polizia archivia il caso per mancanza di prove e indagati, e Ji-woo decide così di unirsi alla banda Dongcheon per trovare l'assassino e vendicarsi.

Choi Mu-Jin, miglior amico del padre della protagonista e boss dell'organizzazione mafiosa, le farà perciò seguire un durissimo addestramento, per poi infiltrarla nel reparto narcotici della polizia locale, dato che l'arma con cui Dong-hoon è stato assassinato appartiene proprio ai tutori dell'ordine.

Cornucopia di generi

La serie, quindi, sebbene sia definita come un drama riesce a coniugare generi diversi. Dalla tragedia si passa all'azione pura, con sequenze mozzafiato. Non solo, l'azione ha diversi risvolti, talvolta quelli di un poliziesco, altre quelle di un action in cui le arti marziali sono preponderanti. Tutto ciò coadiuvato dal lato noir e thriller dell'opera, che si sviluppano sia per ciò che concerne il tentativo di svelare il mistero riguardo l'identità del killer, sia dai momenti di tensione, assicurati dal suo ruolo sotto copertura.

Cercare di fare il doppio gioco, evitando di essere scoperti, non sarà per nulla facile e i rischi da correre si riveleranno innumerevoli. A questa mescolanza di generi e atmosfere si aggiunge il fatto che lo show di Kim Jin-min (Orgoglio e Pregiudizio) possa essere considerato una storia di formazione. La Ji-woo che impareremo a conoscere nel prologo cambierà ben presto, sia in seguito all'addestramento che al dolore che man mano la consumerà.

Anche i rapporti tra i personaggi, sia poliziotti che criminali, contribuiranno a farla diventare uno degli antieroi più carismatici del panorama televisivo recente. La ragazzina che subisce quasi inerme le angherie dei bulli diventerà presto una sorta di John Wick in salsa orientale. Ciò accade anche perché la dicotomia tra male e bene è praticamente assente (caratteristica tipica del cinema asiatico) e il fatto che Ji-woo abbia i piedi in entrambe le scarpe non fa altro che acuire questa sensazione, il che rappresenta un punto di forza, soprattutto perché evita di appiattire sia situazioni che personaggi.

Azione e inganno

Uno dei principali punto di forza delle serie è l'azione. Non solo per la maestria tecnica con cui le scene sono girate, tipiche di una certa tradizione orientale, ma anche per l'intelligenza con cui si incastra con la narrazione. My Name è un'opera violenta che racconta la crudeltà di questo mondo e lo fa senza addolcire la pillola. La realtà descritta è depravata, priva di alcun ideale o principio etico e morale. Una realtà in cui l'unica regola è che il più forte annienta il più debole e ognuno deve cavarsela da solo.

Proprio quello che la nostra protagonista imparerà a fare per riuscire a sopravvivere in un mondo così crudele e spietato. Non solo, all'interno di questo contesto degradato ci sarà occasione per Ji-woo di imparare nuovamente a fidarsi degli altri e costruire dei veri rapporti umani, cosa non facile dopo la perdita del padre e ciò che ne è conseguito.

La carne al fuoco, insomma, è tanta e il ritmo abbastanza serrato. Ogni episodio si conclude con un cliffhanger e la tensione viene smorzata per intervalli brevissimi. Nonostante ciò, una delle poche critiche che si possono muovere all'opera originale Netflix è che talvolta il ritmo potrebbe essere ancor più frenetico e l'azione più cruda e violenta. Dispiace che si abbia a volte l'impressione che, probabilmente per la sua natura di prodotto seriale, lo show non spinga sull'acceleratore mostrando tutto il suo potenziale.

Detto ciò è evidente che per diversi fattori, tra cui proprio il ritmo e il modo in cui viene mostrata l'azione, My Name rimane uno dei migliori serial TV che abbiamo avuto la possibilità di vedere sui servizi di streaming, e l'attesa per la seconda stagione, che è già stata annunciata e uscirà salvo rinvii e smentite il 14 Ottobre 2022, è davvero tanta. E l'attesa vi consuma, vi consigliamo 3 uscite Netflix di questa settimana da tenere d'occhio.

My Name My Name riesce a portare in TV ciò che sul grande schermo c’è ormai da decenni. In sé questa serie racchiude moltissime delle caratteristiche del cinema orientale, una su tutte l’azione, che mai era stata portata a questi livelli in un prodotto seriale. My Name è la prova che che l’Oriente ha qualcosa da offrire, anche per il pubblico mainstream, in un momento di crisi e stagnazione della produttività artistica occidentale, specialmente cinematografica.

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